Esternalizzare le frontiere: soldi al Gendarme turco Erdogan e agli aguzzini libici
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Esternalizzare le frontiere: soldi al Gendarme turco Erdogan e agli aguzzini libici

Abbiamo elevato il “modello” turco a qualcosa da replicare in Libia. E intanto abbiamo rifinanziato di nostro quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica.

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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Giugno 2021 - 18.16


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Abbiamo accettato di riempire di altri miliardi il dittatore di Ankara. E non basta. Abbiamo elevato il “modello” turco a qualcosa da replicare in Libia. E, intanto, per non farci mancare nulla, abbiamo rifinanziato di nostro quell’associazione a delinquere denominata Guardia costiera libica.

E’ lesa maestà affermare, con il dovuto rispetto per la persona, che sul Mediterraneo il governo Draghi sia in sostanziale continuità, al di là dei toni, con il passato “securitario” tanto caro a Matteo Salvini e, ahi noi, a Marco Minniti? 

E’svilire il ruolo di “salvatore della patria” che la stampa mainstream ha affibbiato a Draghi, raccontare i cedimenti nei confronti della Germania che sul tema migranti il premier ha consumato nel vertice di Bruxelles nei confronti della cancelliera? Ed è una lettura politicista rilevare come la Germania, principale sponsor dell’accordo con Ankara, è attesa a breve dalle elezioni politiche, le prime del post merkelismo: necessita fisiologicamente di risolvere al più presto il dossier migranti e di chiudere la cosiddetta rotta balcanica, la cui ripresa potrebbe influire sul consenso interno alla Cdu, tallonata dai Verdi.

 Ed ancora: è fare il gioco di chissà chi ricordare che nonostante una mozione votata a stragrande maggioranza dal Senato, l’assegnazione della cittadinanza onoraria italiana a Patrick Zaki è ancora a carissimo amico?

Ed è accanimento politico, documentare le continue giravolte diplomatiche del ministro degli Esteri Luigi Di Maio, che da filocinese è passato ad un filoatlantismo che neanche Luttwak..

Ed è stravolgere la realtà affermare, come ha fatto Oxfam nel commentare l’esito del vertice Ue chiusosi ieri, che “la partita italiana giocata dal premier Draghi nel summit appare coerente con la linea securitaria di gestione dei flussi migratori condivisa a livello comunitario. Un indirizzo ribadito al Governo con una risoluzione parlamentare di maggioranza già prima del summit, con le richieste portate al tavolo europeo, che guardano alla mera “difesa” delle frontiere.

“Da un lato il Governo italiano cerca di coinvolgere l’Ue in un consolidamento dell’accordo con quelle stesse autorità libiche, responsabili di violenze e torture nei centri di detenzione ufficiali e non. – ha rimarcato Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia  –   Dall’altro cerca il superamento dell’Accordo di Dublino, ma spingendo sulla retorica del peso sopportato dai paesi frontalieri, per ottenere una ridistribuzione dei richiedenti asilo tra i paesi membri, senza tener conto che le quote assegnate all’Italia, potrebbero addirittura essere superiori agli arrivi attuali”.

Il Governo continua a nascondersi dietro il paravento dei corridoi umanitari, che – occorre ricordarlo – sono iniziative totalmente a carico della società civile, mentre rimane irrisorio il numero delle persone portate in sicurezza attraverso l’azione diretta del Governo. L’Italia dal 2017 ha reinsediato dalla Libia solo 66 persone, impegnandosi l’anno scorso a prenderne in carico 150 tra quelle presenti in Libia e Niger. Numeri che non disincentivano minimamente il traffico di esseri umani.

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“Preoccupa inoltre come sia totalmente scomparsa dal dibattito politico la discussione rispetto all’introduzione di nuovi canali di ingresso regolari, come il permesso per la ricerca di lavoro, questi sì realmente efficaci per contrastare il traffico di esseri umani.  – conclude Pezzati – Dulcis in fundo, c’è da registrare una sostanziale adesione a proposte care alla Lega (evidentemente col consenso del PD!), come quella secondo cui debbano essere gli Stati di bandiera delle navi che effettuano operazioni di salvataggio in mare ad offrire un porto sicuro e farsi carico dell’accoglienza de migranti, in barba a quando sancito dalla Convenzione di Amburgo. Sembra quindi che, quanto successo nel periodo del primo Governo Conte non sia servito a dimostrare la miopia e la disumanità con cui l’Europa dei diritti ha gestito la questione migratoria”.

“Bisogna essere chiari – sottolinea l’Alto commissario delle Nazioni Unite per i rifugiati (Unhcr) Filippo Grandi in una conversazione con la Stampa – ci sono persone che arrivano in Europa e non possono essere considerate rifugiati perché non sono minacciate in patria e dunque non hanno bisogno di protezione. Queste persone, in assenza di ostacoli, devono tornare nei loro Paesi. Sarebbe meglio che ad occuparsene fosse l’Europa, ma, giacché così non è, vanno bene anche gli accordi bilaterali di riammissione come quello tra Italia e Tunisia”. “Tra Turchia e Libia – aggiunge però – ci sono molte differenze. La gente viene rimpatriata in Turchia con dei rischi, ma lì, in generale, c’è un buon sistema di accoglienza e protezione. In Libia non c’è nulla di tutto ciò e noi ne siamo fuori. Avere un accordo con Tripoli per limitare gli arrivi rafforzando la Guardia costiera libica non è di per sé una cattiva soluzione, ma bisogna rinforzare tutte le istituzioni, soprattutto quelle che si occupano dei migranti. Recuperare le persone in mare per sbatterle in quei centri di detenzione con un trattamento disumano non è accettabile. Se ci fosse un accordo che garantisce il rispetto dei diritti sarebbe un’altra cosa”.Proprio quella dei migranti cosiddetti ‘economici’ è però “una questione complessa”, conclude Grandi, “la migrazione economica va regolamentata perché è necessaria nei Paesi più industrializzati, tanto per compensare la bassa natalità quanto per evitare l’immigrazione irregolare che, alla fine, rischia di essere dannosa per l’asilo, spesso l’unico canale d’ingresso e dunque sovraccarico. Non di rado poi le cause che spingono a partire sono diverse ma le rotte si sovrappongono. In Libia ci sono migranti economici e rifugiati, ma in quella situazione sono entrambi vulnerabili”.

Fallimento altro che “modello”

18 giugno 2016-18 giugno 2021. A 5 anni esatti dall’annuncio dell’accordo tra Unione Europea e Turchia sui migranti siamo di fronte a un totale fallimento delle politiche europee sulla gestione dei flussi migratori, che hanno di fatto calpestato i diritti fondamentali di decine di migliaia di innocenti. Da allora infatti non è passato un giorno senza che moltissime famiglie rimanessero intrappolate nei campi sulle isole greche, in condizioni disumane.

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È la denuncia lanciata da Oxfam, in occasione dell’infausto anniversario di un accordo, nato con l’esplicito obiettivo di bloccare i migranti in Grecia per poi rispedirli indietro verso la Turchia. Una politica che non ha prodotto altro che condizioni di vita spaventose, episodi di violenza sui migranti alle frontiere e ritardi enormi nelle richieste di asilo, rendendole impossibili in molti casi. Tutto questo nonostante le famiglie arrivate sulle isole greche provenissero spesso da paesi in conflitto da molti anni, come Siria, Afghanistan o Iraq. Nel 2021 gli arrivi in Grecia sono stati 1068 di cui 566 via mare.

Dopo l’incendio che ad agosto 2020 ha devastato il centro di Moria, nel nuovo campo di Mavravoni a Lesbo, quasi 8 mila persone – in maggioranza famiglie con bambini piccoli – nonostante il freddo invernale vivono in tende anche solo a 20 metri dal mare, senza riscaldamento per le inondazioni e i blackout.

Eppure, nonostante questo palese fallimento, il nuovo Patto Ue sulla migrazione, presentato lo scorso settembre, non fa che seguire lo stesso approccio di chiusura ed esternalizzazione delle frontiere europee inaugurato con l’accordo con la Turchia.

Da qui l’appello all’Unione Europea per un radicale cambio di rotta, che implichi uno stop definitivo alla costruzione di nuovi campi nelle isole greche, come prevede proprio il nuovo Patto europeo. Appello rivolto anche al governo Draghi.
In una lettera aperta (firmata da Oxfam, Amnesty International, Caritas Europa, Danish Refugee Council, Greek Council for Refugees, Human Rights Watch, International Rescue Commettee, Refugee Rights Europe) diretta all’Unione europea e agli Stati membri, si si chiede quindi che:

1) Nessun richiedente asilo sia sottoposto a detenzione, così come previsto nei nuovi centri di accoglienza che dovrebbero essere costruiti sulle isole greche. Soprattutto nel caso di donne e bambini reduci da viaggi lunghi e pericolosi.

2) Ai richiedenti asilo siano garantite, senza eccezioni, condizioni di vita dignitose: l’UE non può eludere i propri obblighi in materia di tutela diritti umani attraverso la creazione di una “fase di pre-ingresso” che contraddicono le normative europee in materia.

3) Ai richiedenti asilo venga garantita la possibilità di usufruire di assistenza legale, non escludendo il supporto legale fornito dalle Ong e dall’Unhcr, per affrontare il lungo e complicato percorso previsto. Nel caso delle cosiddette procedure accelerate alla frontiera infatti spesso i diritti dei richiedenti asilo vengono violati.

4) Venga previsto un controllo indipendente ed efficace sulle reali condizioni dei centri di accoglienza sulle isole greche. L’Ue e gli Stati membri devono consentire il monitoraggio esterno e la verifica da parte di parlamentari e Ong.

Di queste richieste non c’è traccia nel documento finale del vertice Ue. 

Libia, i mercenari restano, i medici “partono”

Scrive Francesco Coluzzi su fanpage.it: “Libia, in cui vengono rinchiusi migliaia di migranti e rifugiati, sono in aumento. Così tanto da portare i volontari di Medici senza frontiere ad una scelta drastica ma incredibilmente simbolica: “Non è una decisione facile da prendere, perché significa che non saremo presenti lì dove sappiamo che le persone soffrono quotidianamente – spiega Beatrice Lau, capomissione dell’Ong in Libia – I continui e violenti incidenti che causano gravi danni a migranti e rifugiati, nonché il rischio per la sicurezza del nostro personale, hanno raggiunto un livello che non siamo più in grado di accettare”. Per questo “fino a quando la violenza non cesserà e le condizioni non miglioreranno, non potremo più fornire assistenza medico-umanitaria in queste strutture”.

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Medici senza frontiere sospende le sue attività nei centri di detenzione di Al-Mabani e Abu Salim a Tripoli. Un gesto forte che chiede, questa volta, risposte concrete: la fine delle violenze e il miglioramento delle condizioni per i rifugiati e i migranti bloccati in quei centri. “I nostri colleghi hanno visto e ascoltato testimonianze di uomini, donne e bambini vulnerabili, già detenuti in condizioni disperate, soggetti a ulteriori abusi e a rischi potenzialmente letali – spiega Ellen van der Velden, responsabile operazioni Msf in Libia – Nessuna persona intercettata in mare dalla Guardia costiera libica, finanziata dall’Ue, dovrebbe essere costretta a tornare nei centri di detenzione in Libia”. Le violenze nei centri di detenzione libici continuano ad aumentare. L’Ong segnala che, da febbraio di quest’anno, maltrattamenti, abusi e violenze contro migranti e rifugiati detenuti nei centri libici sono aumentati costantemente. Spesso la violenza viene consumata davanti alle equipe di Msf: con persone che vengono colpite mentre escono dalle celle per essere visitate. Vengono usate anche armi semiautomatiche contro i detenuti. Migliaia di persone, stipate in celle sovraffollate, vivono una condizione di violenza quotidiana, fisica e verbale. Il tutto in condizioni di vita disperate: senza ventilazione adeguata, al buio, con poco cibo, senza acqua potabile e strutture igieniche. Fino a quattro persone per metro quadro. Tutti detenuti arbitrariamente dopo essere stati catturati dalla Guardia costiera libica, conclude Coluzzi.

E di fronte a questo scempio di legalità, di umanità, cosa hanno congegnato i leader europei prima nel vertice di Bruxelles e successivamente nella Conferenza di Berlino sulla Libia? 

Staccare un nuovo assegno da 3 miliardi e mezzo a favore del “dittatore” turco. Con la “genialata” partorita nella Conferenza di Berlino di pagare Erdogan per controllare anche le partenze dalle coste di Tripoli. Altro che fargli ritirare i mercenari qaedisti che dalla Siria, Erdogan ha spostato in Libia. Che quei tagliagole restino pure ma che almeno servano per bloccare i migranti.

E così oltre ai trafficanti di esseri umani riciclati nella Guardia costiera libica a fare da carcerieri di rifugiati e migranti si aggiungerebbero, nel parto tedesco, pure i militari turchi e i miliziani al seguito dislocati a Tripoli e dintorni. Un disastro geopolitico per l’Italia, oltre che una vergogna sul terreno umanitario. Perché così si rafforza il ruolo della Turchia nel Mediterraneo, alimentando i disegni neo-ottomani di Recep Tayyp Erdogan. Qualcuno provi a spiegarlo a Di Maio…

 

 

 

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