Egitto, vergogna italiana: gli vendiamo le armi e sponsorizziamo anche la fiera
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Egitto, vergogna italiana: gli vendiamo le armi e sponsorizziamo anche la fiera

Il ministro della difesa Guerini ha detto che dopo il caso Regeni sono stati diradati i rapporti: ma chi ha dato il via libera a Fincantieri a diventare il primo sponsor della fiera militare egiziana Edex 2020?

Edex 2020
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Luglio 2020 - 14.57


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Della serie: vergogne italiane nel mondo. Vergogne pesanti, a volte indicibili, che investono un Governo di cui fanno parte forze politiche si dicono progressiste e di sinistra. Ma cosa c’è di “progressista” e di “sinistra” nelle continue genuflessioni nei riguardi di autocrati che fanno quotidiano scempio dei più elementari diritti umani e delle libertà fondamentali? Due nomi non a caso: Abdel Fattah al-Sisi e Recep Tayyp Erdogan. Col presidente-carceriere egiziano, poi, siamo alla prostrazione più totale, come dimostrano ampiamente le vicende Regeni e Zaki. Ma è una “prostrazione” interessata, sollecitata, se non imposta, dall’onnipotente apparato militare-industriale, che sembra dettare le linee di politica estera dell’Italia, ancor più di Eni.

Vergogne italiane

L’ultimo episodio, in ordine di tempo, è avvenuto qualche giorno fa, occultato dai media nazionali. Audito dalla Commissione parlamentare d’inchiesta sulla morte di Giulio Regeni, il ministro della Difesa (Pd) Lorenzo Guerini ha detto che: in seguito all’omicidio di Giulio Regeni, la Difesa, in completa sintonia e raccordo con le altre amministrazioni dello Stato, in primis con la Farnesina, ha prontamente diradato il complesso delle relazioni bilaterali con l’omologo comparto egiziano…

Alla faccia del “prontamente” e del “diradato”! Abbiamo, anzi hanno, così “prontamente diradato”, da finanziare la principale fiera di armamenti egiziana.

“Se è vero quanto ha affermato il ministro Guerini in audizione – commenta Giorgio Beretta, dell’Osservatorio Opal.  e della Rete Italiana per il Disarmo – e cioè che “in seguito all’omicidio di Giulio Regeni, la Difesa, in completa sintonia e raccordo con le altre amministrazioni dello Stato, in primis con la Farnesina, ha prontamente diradato il complesso delle relazioni bilaterali con l’omologo comparto egiziano”, allora chi ha dato il via libera a Fincantieri a diventare il primo sponsor della fiera militare egiziana Edex 2020? O dobbiamo pensare che sia stata una decisione che Fincantieri ha assunto ad insaputa del ministro? Qui non si tratta di semplice interlocuzione o di rapporti commerciali con l’Egitto: la sponsorizzazione da parte di un’azienda a controllo statale come Fincantieri del salone militare Edex è un diretto sostegno alla politica militare del regime di Al Sisi nel Mediterraneo ed in Libia. E’ bene che gli italiani lo sappiano”.

Come si nota entrando sul sito di Edex 2020, Fincantieri è l’unico headline sponsor dell’appuntamento che si terrà al Cairo dal 7 al 10 dicembre 2020. Da specificare che, pur producendo anche mezzi militari, l’azienda è comunque detenuta per oltre il 70% dal ministero delle Finanze attraverso Cassa Depositi e Prestiti.

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Quanto a Luigi Di Maio, lui non è pregiudizialmente contrario alla vendita. Lui, confidano fonti della Farnesina, è dell’opinione che buoni rapporti con il regime del Cairo aiuterebbero le indagini, e non il contrario. Né sottovaluta gli aspetti geopolitici: nell’area sono in corso grandi manovre, e per questo ha sottolineato come l’Egitto “resti uno degli interlocutori fondamentali nel quadrante mediterraneo nell’ambito di importanti dossier come il conflitto in Libia, la lotta al terrorismo e ai traffici illeciti, nonché la gestione dei flussi migratori e la cooperazione in campo energetico”.

La vendita di armamenti è un grosso business, insomma, ma non solo. Le due fregate valgono 1,2 miliardi di euro. All’orizzonte ci sono opzioni per altre quattro fregate, venti pattugliatori, 24 caccia Eurofighter e altrettanti addestratori M-346. Una partita da oltre 10 miliardi di euro. E poi c’è il gas, trovato dall’Eni nel mare egiziano.

Pd spaccato

Lo sblocco delle commesse militari, però, riapre vecchie ferite dolenti. È partita sui social la campagna StopArmiEgitto, su iniziativa di Rete italiana per il disarmo, Amnesty International e Rete della pace. E non ci sono soltanto i mal di pancia grillini o la sofferenza di Roberto Speranza. Si è spaccato anche il Pd.

La deputata dem Barbara Pollastrini esprime “profonda amarezza” e considera la cessione delle due imbarcazioni come “una ferita”: “Patrick Zaki – ricorda – è ancora detenuto nelle carceri e così tanti oppositori al dittatore. Da quattro anni al Sisi boicotta le indagini sull’omicidio di Giulio Regeni. Promesse e impegni delle istituzioni sembrano scritte sulla sabbia. Non possiamo tacere”.Lia Quartapelle, capogruppo del Pd in commissione Esteri alla Camera da sempre avversaria all’operazione, ha avvisato: “La vendita delle due fregate porta con sè grossi rischi. Non solo gli sforzi internazionali dovrebbero andare verso la de-escalation militare nella regione, ma l’Egitto non è un nostro alleato: nel Mediterraneo abbiamo interessi diversi, con gli egiziani che fanno parte di un’asse regionale reazionaria e che in Libia sostengono il governo di Haftar, mentre l’Italia quello internazionalmente riconosciuto di Sarraj”. A questo quadro, afferma ancora, “si aggiunge la mancanza di collaborazione da parte egiziana sia sulla vicenda di Giulio Regeni che quella di Patrick Zaki, a testimonianza di una scarsa attenzione verso le richieste italiane. E’ quindi sia una questione di interesse nazionale che di prestigio della nostra nazione: per farci rispettare ed avere giustizia, avremmo dovuto dire di no”. “Voglio esprimere la mia profonda contrarietà alla vendita di armi da guerra all’Egitto, un Paese retto da un governo che ostacola la ricerca della verità sull’omicidio Regeni e che da quattro mesi trattiene in prigione Patrick Zaki“, le fa eco  Laura Boldrini, già presidente della Camera e oggi deputata del Partito democratico. E sulla stessa lunghezza d’onda sono Gianni Cuperlo e Matteo Orfini. Di contro il capogruppo in commissione Difesa al Senato, Vito Vattuone, ha detto che non “può venir meno la cooperazione con un Paese importante in un’area strategica tra nord Africa e Vicino Oriente”.

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Diversa l’opinione di Alberto Pagani, deputato del Pd e membro della Commissione Difesa, e di Carmelo Miceli, deputato Pd e responsabile della Sicurezza nella segreteria nazionale: “La decisione del governo italiano di autorizzare (come prevede la normativa vigente) la cessione all’Egitto delle due fregate Fremm richieste, che erano destinate alla Marina Militare Italiana, è ragionevole e politicamente opportuna – scrivono in un intervento – Legare le decisioni su un tema di questa portata solamente alla giusta insoddisfazione per l’inconcludenza delle indagini sul caso Regeni sarebbe l’espressione di una visione politica angusta, che non offrirebbe certo più opportunità alla ricerca della verità e della giustizia a cui tutti miriamo”.  Nella compagine governativa dem, decisamente a favore della vendita, a quanto consta a Globalist, si sono mostrati il ministro dell’Economia, Roberto Gualtieri, e il titolare della Difesa, Lorenzo Guerini.

Promemoria per gli “smemorati” di governo

Nell’Egitto di al-Sisi i “desaparecidos” si contano ormai a decine di migliaia. E più della metà dei detenuti nelle carceri lo sono per motivi politici. Per contenerli, il governo ha dovuto costruire 19 nuove strutture carcerarie. Un conteggio ufficiale non è stato fatto, ma attivisti per i diritti umani egiziani, con la garanzia dell’anonimato per non fare una brutta fine, hanno detto a Globalist che un conteggio in difetto, porta a non meno di 43.000 desaparecidos. Per comprendere l’enormità di questo crimine, va ricordato che, tra il 1976 e il 1983, in Argentina, sotto il regime della Giunta militare, sono scomparsi fino a 30.000 dissidenti o sospettati tali – 9.000 accertati secondo i rapporti ufficiali della Comisión Nacional sobre la Desaparición de Personas (Conadep) – su 40.000 vittime totali. 

Uno Stato di polizia tra i più brutali al mondo e che non risparmia neanche i più indifesi tra gli indifesi: i bambini.

“Ci sono bambini che descrivono di essere stati vittime di ‘”waterboarding” e di scariche elettriche sulla lingua e sui genitali, senza alcuna conseguenza giuridica per le forze di sicurezza egiziane,” spiega Bill Van Esveld, responsabile del settore diritti dei bambini di Human Rights Watch (Hrw)  In un recente rapporto di 43 pagine, Hrw sostiene di aver documentato abusi contro 20 ragazzi di età compresa tra 12 e 17 anni al momento dell’arresto. Quindici di loro hanno dichiarato di essere stati torturati in detenzione preventiva, di solito durante un interrogatorio tenuto mentre erano in isolamento. Sette bambini hanno riferito che gli agenti di sicurezza li hanno torturati con l’elettricità, incluso il “taser”.

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Tra le storie riportate nella denuncia quella di un ragazzo che ha raccontato di essere stato arrestato all’età di 16 anni e che temeva di non poter “sposarsi o essere in grado di avere figli” a causa di ciò che gli avevano fatto gli agenti di sicurezza durante la detenzione. Le accuse di Hrw sono confermate da Belady, un’organizzazione non governativa che aiuta i bambini di strada che ha raccolto testimonianze verificate dei ragazzi, delle loro famiglie e degli avvocati difensori, e documenti giudiziari, ricorsi alle autorità, cartelle cliniche e video. “I racconti strazianti di questi bambini e delle loro famiglie rivelano come il meccanismo di repressione egiziano abbia sottoposto i bambini a gravi abusi,” spiega Aya Hijazi, condirettrice di Belady. Hijazi, che ha la doppia cittadinanza egiziana e americana è stata arrestata per l’attivismo di Belady, che in arabo significa “la nostra nazione”. È stata arrestata insieme a suo marito e ad altri sei nel maggio 2014 con l’accusa di abuso di minori per poi essere assolta e rilasciata ma dopo aver trascorso in carcere quasi tre anni.

Il generale-presidente esercita un potere che si ramifica in tutta la società attraverso l’esercito, la polizia, le bande paramilitari e i servizi segreti, i famigerati Mukhabarat, quasi sempre più di uno. Al-Sisi si pone all’apice di un triangolo, quello dello Stato-ombra: esercito, Ministero degli Interni (e l’Nsa, la National Security Agency.) e Gis (General Intelligence Service, i servizi segreti esterni).  Se lo standard di sicurezza si misurasse sul numero degli oppositori incarcerati, l’Egitto di al-Sisi I° sarebbe tra i Paesi più sicuri al mondo: recenti rapporti delle più autorevoli organizzazioni internazionali per i diritti umani, da Human Rights Watch ad Amnesty International, calcolano in oltre  60mila i detenuti politici (un numero pari all’intera popolazione carceraria italiana): membri dei fuorilegge Fratelli musulmani, ma anche blogger, attivisti per i diritti umani, avvocati…Tutti accusati di attentare alla sicurezza dello Stato.

E a questo Stato di polizia che l’Italia vende armi. E sponsorizza la loro fiera. Se c’è del “rosso” nel Conte II, è un rosso vergogna.

 

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