Iran, esplosioni, fame e coronavirus: le tre piaghe del regime
Top

Iran, esplosioni, fame e coronavirus: le tre piaghe del regime

25 milioni di iraniani sarebbero stati contagiati dal coronavirus, almeno metà senza alcun sintomo, dall’inizio dell’epidemia; e altri 35 milioni potrebbero risultare positivi entro l’autunno

Covid in Iran
Covid in Iran
Preroll

Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

22 Luglio 2020 - 14.37


ATF

Iran, esplosioni, fame e virus “assediano” il regime degli ayatollah. La serie di esplosioni, incendi e misteriose rotture avvenute nell’ultimo mese in Iran continua ad attirare l’attenzione internazionale. Anche supponendo che la maggior parte degli incidenti sia legata a un basso livello di manutenzione delle infrastrutture del Paese, gli eventi influenzano l’immagine del regime e minano la forza che vuole trasmettere ai suoi cittadini. I media occidentali attribuiscono alcuni degli incidenti a una deliberata campagna di sabotaggio, sponsorizzata da Israele e forse dagli Stati Uniti, e stanno quindi indirettamente spingendo Teheran ad avviare una risposta che renderebbe evidente la sua determinazione a proteggere i propri interessi.

Sotto attacco

Il Tenente Generale Kenneth McKenzie, a capo del Comando Centrale degli Stati Uniti, che coordina le forze statunitensi in Medio Oriente, ha detto al Washington Post lo scorso fine settimana che l’Iran potrebbe rispondere con un’operazione contro Israele. Ha aggiunto che è probabile che scoppi una nuova crisi sulla scia dei “recenti attacchi alle centrifughe iraniane a Natanz e ai siti di test missilistici”. L’Iran dà la colpa a Israele, e a un certo punto la mia esperienza con l’Iran mi dice che risponderanno”.

In un briefing telefonico con i giornalisti McKenzie ha rimarcato che l’assassinio, a gennaio, da parte degli Stati Uniti del generale  iraniano Qassem Soleimani,  ha creato un nuovo equilibrio di deterrenza contro Teheran, ma “l’Iran mantiene ancora i suoi obiettivi per l’egemonia regionale e, tra questi obiettivi, c’è l’espulsione , degli Stati Uniti dalla regione”. Ha aggiunto che l’Iran sta “calcolando” come minare la presenza degli Stati Uniti “senza attraversare una linea rossa”, e ha detto che dopo l’assassinio è più difficile per gli iraniani prendere decisioni e formulare politiche, per paura di non leggere correttamente l’attesa risposta americana. “Penso che sarebbe un grande errore per Hezbollah tentare di effettuare operazioni contro Israele [dal Libano, come parte della risposta iraniana]. Non mi sembra un buon finale”, ha detto McKenzie.

Nelle ultime settimane ci sono stati ulteriori tentativi iraniani di attacchi cibernetici contro Israele, in una continuazione del tentativo di attacco contro le infrastrutture idriche israeliane in aprile. Anche questi tentativi sono stati evitati.

Anche l’establishment della difesa israeliana vede ancora un po’ di confusione in Iran dopo l’eliminazione di Soleimani, che ora viene descritto come “lo stratega mancante”. Il generale maggiore, comandante di Forza Quds, il reparto di élite  delle Guardie della Rivoluzione (Pasdaran), è stato il responsabile dell’attività di intelligence del suo Paese in tutta la regione. Il suo sostituto, Esmail Ghaani, è visto come un soldato esperto e organizzato, ma non come qualcuno che possa guidare la strategia regionale dell’Iran o acquisire un simile status di alto grado nella catena di comando del Paese oltre il suo rango originale.

Leggi anche:  Dall’ordine imposto al grido di libertà: l’eredità di Reza Pahlavi e le proteste iraniane

La recente catena di eventi sta mettendo il regime in difficoltà, perché si aggiunge all’assassinio di Soleimani, all’abbattimento accidentale dell’aereo passeggeri ucraino nello spazio aereo iraniano ai danni causati dalla pandemia di coronavirus che continua a imperversare nel Paese, e alle difficoltà economiche. Dall’inizio dell’anno c’è stato un calo di quasi il 50% del valore del rial, quasi la metà nell’ultimo mese.

Le decisioni del governo di tagliare i sussidi per i beni essenziali hanno riacceso la rabbia pubblica, e la settimana scorsa c’era già stato una ripresa di manifestazioni di protesta. La disperata situazione economica, sotto le sanzioni statunitensi, ha spinto il governo a riaprire l’economia. Come previsto, questo passo ha aumentato l’entità delle malattie da coronavirus. E i problemi di bilancio hanno portato a un taglio dell’assistenza iraniana agli Hezbollah, alle milizie sciite in Iraq e ad altre organizzazioni che Teheran opera per le proprie necessità in tutta la regione.

Ai problemi del regime si aggiunge il fatto che Israele, secondo quanto riportato dai media stranieri, ha intensificato negli ultimi mesi gli attacchi aerei in Siria, contro siti identificati con lo sforzo iraniano di trincea militare e il contrabbando di armi ad Hezbollah. Allo stesso tempo, le informazioni di intelligence inviate da Israele all’Agenzia internazionale per l’energia atomica (Aiea), basate su documenti dell’archivio nucleare rubati dal Mossad in un’operazione del 2018, hanno portato alla richiesta dell’Aiea di inviare ispettori per esaminare altri due siti che gli iraniani cercavano di nascondere.

Dalia Dassa-Kaye, direttrice del Center for Middle East Public Policy della Rand Corporation in California, ha dichiarato domenica in un’intervista alla Cnn che alti funzionari israeliani si rendono conto che l’Iran è isolato sulla scena internazionale e si trova in una posizione di debolezza., aggiungendo che la combinazione della politica di massima pressione esercitata contro l’Iran dall’amministrazione Trump, il coronavirus, e la morte di Soleimani stanno incoraggiando Israele ad avviare una propria pressione sul regime.

Secondo Dassa-Kaye, l’amministrazione statunitense non sta prendendo provvedimenti per frenare Israele, e in effetti sta dando alla leadership israeliana la possibilità di credere di avere il via libera degli Stati Uniti per agire. Ha stimato che c’è una ragionevole possibilità che ci sia Israele dietro l’esplosione nella struttura della centrifuga all’inizio di questo mese – come sostenuto da fonti di intelligence regionali che sono state citate dal New York Times, aggiungendo che è possibile aspettarsi ulteriori mosse israeliane. Ma avverte che Israele potrebbe fare una scommessa pericolosa quando presuppone che l’Iran non reagirà, perché è difficile prevenire un’escalation quando la situazione regionale è già così delicata.

Leggi anche:  Dall’ordine imposto al grido di libertà: l’eredità di Reza Pahlavi e le proteste iraniane

Ed è in questo scenario esplosivo che s’inserisce l’emergenza sanitaria.

L’incubo Covid-19

Hanno gelato l’Iran, ma anche il resto del mondo, le cifre diffuse nei giorni scorsi dal presidente Hassan Rouhani,secondo cui 25 milioni di iraniani sarebbero stati contagiati dal coronavirusalmeno metà senza alcun sintomo, dall’inizio dell’epidemia; e altri 35 milioni potrebbero risultare positivi entro l’autunno. Impossibile verificare il conteggio, che si basa soltanto su uno studio (non pubblicato) del ministero della Salute. A meno di poter estendere test sierologici e tamponi all’intera popolazione, più o meno 81 milioni di persone.

Al momento i test complessivi effettuati sono poco più di due milioni e i casi accertati sono un centesimo di quelli stimati dal governo: 271.606, con una progressione quotidiana di 2.000-2.500 nuovi infetti e di 180-200 vittime. I morti, finora, sono circa 14 mila, ma dalla somma sono esclusi i deceduti in casa; e la seconda ondata dell’epidemia — dopo due mesi di blando lockdown — preoccupa le autorità del Paese. Teheran ha ripristinato domenica il divieto di assembramenti, la chiusura obbligatoria di bar e locali, e lo stop agli incontri sportivi, eccetto la serie A. Sospese per una settimana anche le attività di moschee, palestre, scuole e centri culturali, parrucchieri ed estetisti.

 Il ministero della Salute si aspetta un raddoppio dei 200 mila ricoveri ospedalieri totalizzati in questi cinque mesi: “Potremmo fermare tutte le attività — aveva ipotizzato nei giorni scorsi Rouhani —, ma il giorno dopo la gente sarebbe in strada a protestare”, 

“La chiusura delle frontiere verso l’Iran ordinata dai principali paesi della regione (Iraq, Turchia, Armenia, Afghanistan, Pakistan) rischia di mettere in seria difficoltà le esportazioni nei settori non-oil, che nell’ultimo anno hanno garantito entrate per 3,5 miliardi di dollari al mese. Per il momento, l’effetto più dirompente si è avuto sul rial, la valuta locale, crollata del 7% nella settimana successiva all’annuncio dei primi decessi”, rileva Annalisa Perteghella, in un dettagliato report per l’Ispi.

Le sanzioni hanno ormai spostato l’asse di approvvigionamento iraniano verso la Cina. I rapporti con l’Occidente sono minimi per l’industria iraniana, e questo peggiora le cose. La dipendenza dalle supply chain cinesi, inoltre, appesantisce la situazione economica, perché la Cina è il Paese da cui si è propagato il virus e quello attualmente più colpito, le attività stanno lentamente ripartendo soltanto in questi giorni, e non riescono ancora a garantire gli approvvigionamenti.

Suicidi in aumento

In un rapporto firmato dalla responsabile della sezione Prevenzione suicidi, Maryam Abbasinjad, si parla di 100 mila suicidi o tentati suicidi in dodici mesi, su una popolazione di 80 milioni di persone. Nel rapporto si spiega che dal 2015 al 2019, l’incidenza dei suicidi, riusciti o falliti, era salita da 90 persone ogni 100 mila a 125 persone ogni 100 mila. Una cifra spaventosa anche se, in mancanza di una distinzione tra suicidi portati a termine e potenziali, rimane difficile fare un confronto con le statistiche di altri Paesi, dove i dati guardano solo a chi si è effettivamente tolto la vita. Lì le punte massime arrivano a 30-35 suicidi ogni 100 mila abitanti, come nei casi della Groenlandia, della Guyana o della Lituania.

Leggi anche:  Dall’ordine imposto al grido di libertà: l’eredità di Reza Pahlavi e le proteste iraniane

Non c’è dubbio però che in Iran il suicidio sia diventato un dramma collettivo, una forma – come afferma qualche funzionario della Sanità – di epidemia parallela al coronavirus. A togliersi la vita – spiegava il rapporto del 2019 – sono soprattutto persone con problemi economici, senza lavoro, spesso nella povertà assoluta. Il 73 per cento dei suicidi viveva nelle baraccopoli delle grandi città, soprattutto a sud di Teheran, ai margini del deserto, oppure nelle regioni occidentali e meridionali del Paese, ormai ridotte alla fame e a una lotta quotidiana per la sopravvivenza. Ci sono però anche giovani, studenti, una maggioranza di donne. Alle motivazioni economiche si aggiunge qualcosa di ancora più profondo, un filo che si è spezzato. All’orgoglio nazionale si sta sostituendo la disillusione: l’Iran è percepito come un Paese senza più promesse, senza felicità, senza sicurezze sociali e prospettive. Secondo dati del ministero della Sanità iraniano, un quarto della popolazione complessiva, e un terzo della popolazione di Teheran, soffre di depressione e di «problemi mentali».

L’appello di Khamenei

Tutte le autorità del Parlamento, del sistema giudiziario e del governo iraniani devono “rimanere unite” per far fronte alla grave crisi economica, che si manifesta nella “svalutazione della moneta nazionale, gli illogici aumenti dei prezzi e i problemi derivanti dalle sanzioni degli Usa”. Ad affermarlo è la Guida suprema, Ali Khamenei, in un incontro con i parlamentari in videoconferenza, avvenuto il 12 luglio scorso. Riferendosi alle contestazioni subite recentemente dal ministro degli Esteri Mohammad Javad Zarif in Parlamento durante un’audizione, Khamenei ha affermato che “i comportamenti non islamici, gli insulti e le accuse non sono permessi e sono haram”, cioè proibiti secondo i dettami islamici.

Molti iraniani sono stanchi delle sanzioni americane, ma sono anche stanchi per le spese del regime per Siria, Libano, Iraq, non ne possono più della mancanza di libertà e della cappa creata dal regime. Un vicolo cieco da cui è difficile uscire.

E così,  a dar conto con più efficacia sintetica della prostrazione che investe, trasversalmente, la società iraniana, è quanto dichiarato da un cittadino iraniano all’agenzia Reuters: Se non morirò per il coronavirus morirò di fame”

 

 

Native

Articoli correlati