Yair Lapid: "Gantz ha tradito gli elettori. Per questo l'ho scaricato"
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Yair Lapid: "Gantz ha tradito gli elettori. Per questo l'ho scaricato"

Parla il cofondatore di Kahol Lavan (Blu e Bianco), la coalizione centrista che aveva conteso al Likud di Benjamin Netanyahu la guida d’Israele dopo le elezioni di marzo

Yair Lapid
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

23 Maggio 2020 - 10.00


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Doveva essere la coppia del futuro per Israele. Ma la coppia è scoppiata di fronte alle avance di “Bibi, il predatore”. E la separazione è stata traumatica. Yair Lapi è stato assieme a Benny Gantz il cofondatore di Kahol Lavan (Blu e Bianco), la coalizione centrista che aveva conteso al Likud di Benjamin Netanyahu la guida d’Israele dopo le elezioni di marzo: Yair Lapid. Ora con il neo ministro della Difesa, tra 18 mesi  primo ministro nella staffetta con “King Bibi”, è rottura totale. E in questa intervista a Globalist spiega il perché.

“Gantz ha ceduto su tutto a cominciare dal principio che di fronte alla legge non esiste impunità per chi detiene una carica di governo. Gantz e Ashkenazi (neo ministro degli Esteri, ndr) hanno acconsentito a permettere all’incriminato di indicare i giudici che lo giudicheranno sulle sue questioni, sottolinea il leader di Yesh Atid, facendo riferimento alle imputazioni per corruzione, frode e abuso di fiducia a carico di Netanyahu in tre casi. 

Israele ha un nuovo governo, fondato sul “patto della staffetta” Netanyahu-Gantz. il suo ex alleato Gantz, per far fronte all’emergenza coronavirus. Una motivazione che non l’ha convinta. Da qui la decisione di rompere Blu e Bianco e collocarsi all’opposizione del nascente esecutivo.
“Utilizzare la crisi pandemica per giustificare un’operazione di potere è qualcosa di inqualificabile, che va ben oltre il cinismo della politica. La crisi causata dal coronavirus non ci dà il diritto o il permesso di abbandonare i nostri valori. Non si può strisciare in un governo del genere e dire che l’hai fatto per il bene del paese.”

Resta il fatto che i numeri alla Knesset dicono che questo governo può contare su una maggioranza ampia: a votare la fiducia sono stati in 73, 46  i contrari.

La politica non è un pallottoliere, e i numeri non sempre sono il metro di misura della solidità di una coalizione. Questo Gantz e soprattutto Netanyahu lo sanno bene. Per questo hanno moltiplicato a dismisura il numero di ministri (36) e vice (16). Non c’è dubbio che abbiamo   un grande governo, grande nel senso dell’ipertrofia ministeriale! In questo, in effetti, è il più ‘grande’ governo nella storia d’Israele”.

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Come definirebbe allora il governo appena nato?
“Di certo non è un governo di unità nazionale e non è un governo di emergenza. È un altro governo di Netanyahu. L’amara verità è che Gantz s’è arreso senza combattere. I risultati delle elezioni hanno dimostrato che Israele aveva bisogno di quell’alternativa come noi abbiamo bisogno dell’aria per respirare. Volevamo realizzare un cambiamento, creare una speranza, iniziare un nuovo percorso. E Gantz ha deciso di interromperlo”.

 

Mai al governo con un politico incriminato per gravi reati di corruzione, avete ripetuto in campagna elettorale. Invece…
“Invece c’è chi è venuto meno a questo impegno e l’emergenza sanitaria non può in alcun modo giustificare il tradimento, perché di questo si tratta, operato da Gantz nei confronti degli israeliani che hanno votato Kahol Lavan per porre fine all’era Netanyahu, e per ribadire, con il voto, che un politico che pretende dal governo di cui fa parte, addirittura come primo ministro, l’immunità, non è degno di guidare il paese. Una persona su cui pendono accuse gravissime, incriminato da un procuratore generale da lui stesso nominato, non può nominare un capo della polizia, un pubblico ministero, un procuratore generale, i giudici che si occupano del suo caso. Questa è la lista delle richieste di Netanyahu che Gantz e Ashkenazi hanno subito. È così che muoiono le democrazie nel XXI secolo. Non sono spazzate via dai carri armati che circondano il parlamento. Muoiono dall’interno”.

I sostenitori della scelta di Gantz potrebbero obiettarle che l’ex capo di stato maggiore ha ottenuto dicasteri chiave nel nuovo esecutivo, come quelli della difesa, degli esteri e della giustizia…
“Sì, in un governo guidato ancora da Netanyahu”.

Ma per 18 mesi, poi ci sarà la staffetta con Gantz...
“E lei è così ingenuo da credere che Bibi si farà da parte tra un anno e mezzo? Questa è una favola a cui qui in Israele crede solo Gantz. Tant’è che nell’accordo di governo Netanyahu è riuscito a far entrare che, nel caso in cui alla scadenza del suo mandato da primo ministro dovesse essere stato giudicato colpevole dei reati ascrittigli, Gantz porrà fine all’esperienza di governo e Israele andrà a nuove elezioni. Cos’è questo se non un ricatto andato a segno? Nessuno aveva minimizzato le difficoltà a dar vita a un esecutivo di svolta che ponesse fine alla “monarchia” politica di Netanyahu. Ma Gantz s’è arreso senza combattere, e da un ex generale questo non me lo sarei aspettato. Per arrivare a questo, Gantz ha portato alla rottura all’interno della coalizione che aveva dato vita a Kahol Lavan, e ora i rapporti di forza all’interno della nuova maggioranza pendono decisamente verso il Likud di Netanyahu e i partiti di destra che ha imbarcato in questa avventura”.

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Un’avventura che la vedrà all’opposizione.
“Assolutamente sì. Un’opposizione che non avrà nulla di estremistico, di demagogico, ma sarà dura, determinata, propositiva, questo è certo, e cercherà di gettare le basi per una vera alternativa a un governo nato contro natura. Yesh Atid – Telem continuerà sulla strada per la quale è entrato in politica. Dall’opposizione, lotteremo per i cittadini di Israele e proteggeremo la democrazia di Israele. Allo stesso tempo, lavoreremo tutti insieme per aiutare il pubblico a superare la crisi del coronavirus. La crisi non è gestita bene. L’economia sta crollando e le decisioni non vengono prese”.

C’è una parola-chiave nella sua idea di politica che la guiderà nel suo ruolo di oppositore?
Ve ne sarebbero tante, da formare un vocabolario, ma se dovessi sceglierne una, direi coerenza. Essere coerenti non significa non prestarsi a compromessi, la politica, se non vuole ridursi a sterile testimonianza “purista”, impone compromessi, soprattutto quando fai parte di una coalizione di governo. Ma sulle questioni fondamentali, sulla nettezza e la trasparenza dei comportamenti, la coerenza è un valore non negoziabile, è quello che dà o toglie credibilità. Nell’ultima campagna elettorale, avevo sostenuto, in totale sintonia con Benny (Gantz) che non avremmo partecipato ad un governo con un primo ministro accusato di gravi reati – abuso d’ufficio, corruzione etc. – consumati nello svolgimento delle sue funzioni. Si può essere d’accordo o no, ma era un impegno che ci eravamo assunti in campagna elettorale, davanti al paese. Coerenza vuol dire mantenere gli impegni. Io l’ho fatto. Gantz, no”. 

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Uno dei più autorevoli scienziati della politica israeliani, il professor Avishai Margalit, da tempo sostiene che Israele non è alle prese con una sia pur grave crisi politica ma deve fare i conti con una crisi di sistema. È anche lei di questo avviso?
“Margalit ha indicato un rischio reale. Netanyahu non ha semplicemente personalizzato a livelli che hanno sfiorato il parossismo la campagna elettorale che ha portato al voto del 9 aprile, ma è andato ben oltre. La crisi di sistema è iniziata con i suoi attacchi frontali agli altri poteri su cui si regge un sistema democratico, a cominciare dal potere giudiziario. Mai, nella storia d’Israele, s’era visto un primo ministro accusare di tradimento o di complotto la magistratura e la polizia solo perché avevano osato indagare su casi di corruzione che lo riguardavano. In un delirio di onnipotenza, s’è comportato come una sorta di “Re sole” a cui tutto era permesso. E ciò è stato ancor più chiaro nel modo in cui ha condotto le trattative, fallite, per dar vita ad una maggioranza parlamentare. La triste verità è che Benjamin Netanyahu persevera nel tenere in ostaggio la democrazia israeliana, piegando gli interessi del paese ai suoi interessi personali, comportandosi come un Erdogan israeliano. Ma la cosa ancora più grave è che gli è stato consentito di proseguire su questa strada”.

Tra i punti programmatici del governo in carica è l’annessione di parti della Cisgiordania.

La dirigenza palestinese insiste nel voler negoziare una pace che riporti indietro le lancette del tempo a oltre mezzo secolo fa. E questo è irrealistico. Ma la forzatura voluta da Netanyahu va anche oltre gli intendimenti del Piano Trump. La sicurezza non si ottiene a colpi di annessioni”.

 

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