Quel palazzo di Mostar monumento alla guerra
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Quel palazzo di Mostar monumento alla guerra

Nel centro della città bosniaca un grande palazzo rimane come monumento alla guerra: l’amministrazione non lo fa restaurare perché i proprietari sono serbi.<br>

Quel palazzo di Mostar monumento alla guerra
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9 Febbraio 2015 - 19.21


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Al centro di Mostar, al numero 53 di quello che un tempo si chiamava Bulevar Revolucije, affacciato sul lungofiume c’è un grande palazzo che ormai si è trasformato in un monumento alla guerra. E’ una costruzione signorile di più di settecento metri quadrati che era appartenute a due famiglie molto in vista, una delle quali quella di uno dei più famosi avvocati della Jugoslavia. Di quel palazzo oggi rimane un rudere che la municipalità non ha mai fatto restaurare e da affare di famiglia poco alla volta si è trasformato in vicenda politica, e adesso quasi in caso internazionale.

A combattere una battaglia che sembrava disperata ma poco alla volta comincia a mostrarsi vincente è un’elegante signora che si chiama Snjezana Znaor, è cittadina italiana per matriomonio vive a Belgrado con la magra pensione del marito scomparso e non ha mai smesso di lottare, non soltanto per la proprietà quanto contro le sorde discriminazioni che sopravvivono al conflitto armato di vent’anni fa. “In parte quella casa apparteneva all’avvocato Damial Vlasic, uno dei legali più conosciuti della Federazione e per anni anche lui non ha fatto che scrivere a politici, ministri e burocrati non soltanto di Mostar – racconta la signora – chiedeva soltanto che come per tutto il resto della città venisse riconosciuto il nostro diritto a ricostruire la casa ed a tornarci, ma in tutti questi anni non abbiamo ricevuto una risposta né un solo dinaro per mettere mano all’impresa, nonostante tutti i fondi europei e italiani dedicati a questo obiettivo”.

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Anche il padre della signora Znaor era un avvocato e questo ha aiutato sia lei che i 19 membri della famiglia a indirizzare sempre richieste e appelli alle persone adatte, ma neppure questo è servito: “Ci siamo rivolti numerose volte al sindaco di Mostar, gli abbiamo chiesto ripetutamente di permetterci di esercitare il nostro diritto fondamentale alla restituzione e ricostruzione della casa, ma da tutte queste sollecitazioni non hanno avuto risultati. Da anni disponiamo di tutti i documenti, progetti e permessi ma il Comune di Mostar non risponde, ed anzi pare abbia deciso di mettere in vendita un palazzo che non gli appartiene”.

Dietro e sotto questa vicenda scorrono tutte le tensioni che attraversano una città rimasta divisa in due – al di là del fiume Neretva la parte bosgnacca e musulmana, al di qua le comunità croata e serba che pure fianco a fianco continuano a vivere vite separate con istituzioni diverse, scuole differenziate e perfino due distinti corpi di pompieri – nonché la livida forza di rancori mai sopiti.

“Io non sto cercando elemosine ma solo diritto di vivere normalmente e da sola nella casa che mi appartiene – continua Snjezana – fra l’altro, mi chiedo cosa è accaduto degli accordi firmati in pompa magna circa il ritorno dei profughi e degli sfollati, e vorrei sapere cosa fanno le istituzioni internazionali che si occupano di diritti umani fondamentali, dei ritorno e della ricostruzione delle case distrutte durante la guerra. Chiedo ai politici e il sindaco di Mostar, Ljubo Beslic, dove sono finite le centinaia di milioni di fondi stanziati per la ricostruzione, con quali criteri sono stati distribuiti e perché la sua amministrazione sembra voler continuare a voler lasciare intenzionalmente divisa la nostra città “.

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Prima della guerra civile ,Snjezana Znaor aveva due boutiques ed un bar-discoteca nel centro storico, oggi sopravvive alla nostalgia nel quartiere belgradese di Zemun : “ Figli e nipoti vivono fra Belgrado, Los Angeles e la Francia “ e se mi chiedete di che nazionalità sono, posso dire soltanto che mio padre era croato di nascita e mia madre Dusanka era di Capin e faceva parte di una famiglia di famosi partigiani serbi, però io sono stata educata a non dipendere né dalle origine nazionali nazionali né da quelle e religiose . Per tutto il tempo della guerra ero rimasta a Mostar con mia madre, dopo la devastazione della casa siamo riparate a Belgrado da un nostro nipote ma Sarajevo e Mostar rimangono il mio sogno e il mio desiderio. Sogno che un giorno tutta la nostra famiglia possa rientrare nella nostra casa di un tempo e vivere come si faceva allora “.

Qualcuno però nell’amministrazione cittadina continua a combattere sordamente questo progetto: “All’inizio del 2006, abbiamo ricevuto una donazione ufficialmente pubblicata anche da un quotidiano di Mostar,dopo un po’ ho chiamato il responsabile della ricostruzione che bruscamente mi ha risposto mi ha risposto che nel progetto di ricostruzione erano indicati due imprenditori edili, mentre per legge avrebbero dovuto essere tre. Qualche mese dopo mi hanno spiegato che la donazione straniera destinata al nostro palazzo era stata dirottata verso una scuola di musica. Il nostro avvocato si è recato all’amministrazione comunale e ha chiesto l’accesso ai documenti del caso, ma non ha ottenuto il permesso . Abbiamo chiesto spiegazioni ad amministratori, ispettori, alla direzione urbanistica : nessuna risposta”.

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