Haiti: cinque anni dopo il sisma è ancora piena emergenza
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Haiti: cinque anni dopo il sisma è ancora piena emergenza

Riccardo Venturi, vincitore del World Press Photo 2011, torna a Port au Prince con un nuovo progetto per raccontare le condizioni precarie della popolazione.

Haiti: cinque anni dopo il sisma è ancora piena emergenza
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22 Dicembre 2014 - 17.32


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A cinque anni dal tragico terremoto che il 12 gennaio 2010 ha mietuto oltre 220 mila vittime e sconvolto l’esistenza di tre milioni di persone, le condizioni della popolazione di Haiti sono ancora critiche. “Le stime ufficiali parlano di oltre 170 mila sfollati, mentre sono 600 mila gli haitiani che vivono l’insicurezza alimentare”, riferisce Riccardo Venturi, fotoreporter vincitore con “Haiti Aftermath” del Primo premio General News al World Press Photo 2011. In questi giorni è tornato nella capitale Port au Prince, scossa da una profonda crisi politica e da violente mobilitazioni antigovernative, che hanno portato alla morte di un manifestante, esplose contro la corruzione e per reclamare elezioni politiche e amministrative rimandate da circa tre anni.

“Sabato 13 dicembre – spiega Venturi – la capitale è stata sconvolta da una protesta contro il presidente Michel Martelly, di cui si chiedono le dimissioni. Purtroppo qui la polizia scende in piazza con scudi, caschi, elmetti, pochi manganelli e molti fucili. Io ero lì ed è stato uno scontro aspro. Come conseguenza, si è dimesso il premier Laurent Lamothe”. Il suo posto è stato preso dalla ministra della salute Florence Duperval Guillame, da ieri nuova prima ministra ad interim. Nella repubblica caraibica Riccardo Venturi è rimasto fino al 18 dicembre scorso, per concludere il suo progetto a lungo termine. “Un viaggio di verifica – spiega a Redattore Sociale – per fare un punto sulle trasformazioni che stanno attraversando l’isola, mantenendo viva l’attenzione sulla realtà del popolo haitiano e sui suoi bisogni”.

Il paese, provato da dittature decennali, instabilità politica, catastrofi naturali e povertà, è ancora in preda all’emergenza sanitaria. “Il colera – che secondo la Pan American Health Organization, dall’ottobre del 2010 al novembre 2014, è stato contratto da oltre 700 mila persone, uccidendone più di 8.600 – è ormai diventato una malattia endemica. Sono 50 mila i contagi registrati ogni anno”, ribadisce Venturi, in questi giorni impegnato con Save the Children, nelle cliniche dei quartieri nevralgici, per monitorare l’attività dei centri medici e l’andamento del virus.

“Numeri enormi per un territorio, che da più di cent’anni aveva debellato l’infezione. Una parte delle istituzioni locali sostiene che i responsabili dell’epidemia siano stati i membri delle forze di pace nepalesi del Minustah, la Missione di stabilizzazione delle Nazioni Unite ad Haiti, accusati di aver contaminato con deiezioni infette il fiume Aribotide, il principale corso d’acqua del territorio, complici tubature, fognature e infrastrutture già inadeguate e poi disastrate dallo sciame sismico”.

Un malcontento, quello nei confronti delle Nazioni unite, esacerbato nei giorni scorsi anche dalla condotta dei peacekeeper dell’Onu, che hanno aperto il fuoco sui manifestanti nel corso delle contestazioni e che serpeggia da tempo pure fra la comunità haitiana internazionale.

Nonostante l’Onu abbia infatti stanziato 2,2 miliardi di dollari per risolvere il problema dell’accesso all’acqua potabile, ad ottobre più di 1.100 parenti delle vittime residenti a Brooklyn hanno presentato una class action contro l’organizzazione presso la Corte Distrettuale degli Stati Uniti, per ottenere un risarcimento e chiedere il riconoscimento della responsabilità sulla vicenda. Iter, peraltro, affrontato nel 2013, sempre a New York, da altre 8.300 vittime.

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