Safari umani in Amazzonia e non solo
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Safari umani in Amazzonia e non solo

Viaggi scandalosi arricchiscono i tour operator che sfruttano le popolazioni indigene della jungla, ma suscitano non poche preoccupazione in tutto il Perù.

Safari umani in Amazzonia e non solo
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20 Marzo 2012 - 16.54


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Succede dappetutto nel mondo. L’ultima in India, dove due italiani sono stati rapiti proprio mentre fotografavano due donne “indigene”. I cosiddetti “safari umani”, che arricchiscono tour operator che sfruttano le popolazioni indigene della jungla amazzonica, suscitano non poche preoccupazione in tutto il Perù. La crescita delle attività economiche e del flusso turistico nella regione del Manù hanno coinciso con il notevole aumento degli avvistamenti dei Mashco-Piros, una delle tribù peruviane che in condizioni normali non ha contatti con l’esterno, nonché una delle ultime cento comunità indigene intatte al mondo.

L’associazione per la difesa dei diritti umani Fenamad ha avanzato forti critiche nei confronti di quei tour operator che fanno soldi portando i turisti “vicino a dove vivono” queste tribù. Dimostrare che sono sempre di più i turisti e i viaggiatori in cerca di un “contatto” con gli indigeni non è affatto difficile, ma “gli indios che vivono isolati non sono un’attrazione turistica” ci dice Rebecca Spooner di Survival International. “E sono proprio quelli che si definiscono ‘guide turistiche’ che dovrebbero saperlo meglio di chiunque altro”.

I “safari umani” hanno fatto scandalo in India, dopo la denuncia della rivista inglese The Observer, che aveva rivelato come alcune agenzie turistiche, con la complicità della polizia, offrano avvistamenti di un gruppo indigeno nelle Isole Andamane, gli Jarawa, venuti in contatto col resto del mondo solo alla fine degli Anni ’90.

I Mashco-Piros vivono nel parco nazionale del Manù, nella regione peruviana del Madre de Dios, poco lontano dal confine con il Brasile.
Più di un secolo fa, furono spinti fuori dal loro territorio – lungo il corso superiore del fiume Manù – dai raccoglitori di gomma per l’industria automobilistica e ciclistica di Europa e America. La tribù fu in pratica costretta a ritirarsi in aree sempre più remote della jungla.
Dopo la pubblicazione su Survival International di alcune loro foto, accompagnate da un appello affinché vengano lasciati in pace, un mese fa, un portavoce del Dipartimento Nazionale per le Aree Protette del Perù (Sernanp) ha posto l’accento sulla necessità di rimanere lontani da “comunità che cercano di restare isolate dal mondo esterno”.

Resta il fatto che un’altra inchiesta indipendente, pubblicata ancora una volta dall’Observer, ha dimostrato come guide turistiche senza scrupoli fanno tutto tranne che rispettare tale monito. “Popolazioni indigene che vivono senza contatti con l’esterno sono state avvistate lungo il fiume Madre de Dios, nel Manù. Fatemi sapere quanti giorni avete a disposizione e vi preparerò un itinerario su misura” ha detto una guida contattata (in forma anonima) dall’inviato del giornale. “Non possiamo garantire avvistamenti al 100%. Ma se siamo fortunati…Nel 2011 si sono fatti vedere prima a maggio, poi a ottobre” ci ha detto un altro. “Il periodo migliore per incontrare questi indios è alla fine della stagione secca, quando le tartarughe depongono le uova lungo le rive del fiume” spiega un terzo operatore turistico. “Tra luglio e settembre ci sono maggiori possibilità, soprattutto lungo il fiume. Più ci si allontana più è alta la probabilità di avvistare gli indigeni. Il modo migliore per vederli è unirsi al nostro tour nella Riserva Naturale di Manù, che inizia e finisce a Cuzco, della durata di otto giorni/sette notti”.

Bisogna dire, però, che ci sono anche agenzie che rispondono in modo ben diverso. La Manù Nature Tours di Cuzco, per esempio, ci ha detto “No, noi non offriamo alcuna possibilità di incontrare questi indios. Ogni tentativo di contatto con questi uomini è molto pericoloso: basta che uno di noi abbia il raffreddore che rischiamo di sterminarli tutti. Senza contare che cercare di entrare in contatto con loro può comportare la galera, tanto in Perù che in Brasile”.

Anche l’Atalaya Tours ci ha risposto nello stesso modo: “Avvicinarsi a popolazioni che vivono isolate è assolutamente proibito. Noi organizziamo tour del Parco del Manù, ma siamo tenuti a rispettare tutte le leggi che proteggono i nativi. Senza contare che siamo contrari ad ogni tentativo di sfruttamento economico di visite del genere”.

Secondo la Fenamad ci sarebbe “forte apprensione, perché i Mashco-Piros sono una popolazione estremamente vulnerabile, e non solo a causa della loro sensibilità a malattie per noi comuni. Gli avvistamenti infatti avvengono in zone di grande transito sul fiume, dove, cioè, passano molti mezzi per il trasporto commerciale turistico”. Glenn Shepard, un antropologo che ha studiato in Manù, ci racconta come alcuni operatori turistici si avvicinino al territorio dei Mashco-Piro lungo il fiume, per permettere ai turisti di fotografarli, ‘proprio come fossero dei giaguari’”.

In India i turisti si avventurano nel territorio dei Jarawa lungo la Andaman Trunk Road, mentre in Perù viaggiano lungo la sponda sinistra del fiume Madre de Dios, dove vivono i Mashco-Piro, avvistati anche su entrambe le sponde del fiume Manù. L’anno scorso è venuto fuori anche un video, nel quale un turista giocava a inseguire indigeni nudi, per poi chiedersi se non fosse il caso di lasciare loro da qualche parte cibo e vestiti.

Ovviamente nessuna delle agenzie che vende tour del Manù offre apertamente contatti ravvicinati coi Mashco-Piro, anche se alcune ammettono la presenza di popolazioni “non contattate” nella foresta pluviale. “Sono i governi che devono proteggere le comunità indigene. Ma i tour operator devono seguire un codice etico di comportamento, senza contare che è il turista stesso che deve essere informato per primo” ci dice Mark Watson, direttore di Tourism Concern.

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