Libia: è ancora caccia agli immigrati sub-sahariani
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Libia: è ancora caccia agli immigrati sub-sahariani

Il rifugio dei migranti è Sidi Bilal, un porto a circa 30 km da Tripoli, dove migliaia di persone cercano protezione tentando di fuggire da arresti e violenze gratuite.

Libia: è ancora caccia agli immigrati sub-sahariani
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15 Ottobre 2011 - 10.28


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di Marta Fortunato

In Libia oltre alla guerra civile regna il razzismo. Dallo scoppio della rivolta, il 17 febbraio 2011, essere neri significa essere dalla parte di Gheddafi. Così ora gli immigrati africani presenti nel paese sono potenzialmente in pericolo: “Quando vediamo una persona con la pelle nera la arrestiamo e la consegniamo al Consiglio Nazionale di Transizione” hanno raccontato alcuni ribelli ad Irin (servizio dell’ufficio dell’Onu per gli Affari Umanitari).

Il rifugio dei migranti è Sidi Bilal, un porto a circa 30 km dalla capitale libica, dove migliaia di persone cercano protezione tentando di fuggire dalle detenzioni, dagli arresti arbitrari e dalla violenza a cui sono stati soggetti negli ultimi mesi in Libia. Vivono in navi abbandonate e appena sentono dei rumori sospetti si nascondono sotto le coperte. Vivono in un continuo clima di terrore, hanno paura di essere picchiati, soggetti a tortura, privati di denaro, cellulare, passaporto.

L’aiuto e l’appoggio non mancano: l’organizzazione Medici senza Frontiere fornisce loro acqua fresca ogni giorno, alcuni abitanti locali regalano loro del cibo da cuocere e giovani ragazzi vendono ai migranti carne e sigarette. Ma le condizioni di vita rimangono precarie, i livelli di igiene bassissimi. Sidi Bilal è uno dei tanti campi presenti in Libia dove vivono principalmente coloro che non hanno soldi per tornare nel loro paese o coloro che cercano di partire per l’Europa. I campi nel sud della Libia sono i peggiori: “I migranti qui sono davvero spaventati e minacciati” ha dichiarato Qasim Sufi, capo missione dell’Organizzazione Internazionale per la Migrazione (Iom).

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E secondo il rapporto di Amnesty International pubblicato a settembre 2011, i ribelli hanno ucciso, torturato, detenuto illegalmente e picchiato un gran numero di sospetti mercenari. “Nella città di al-Bayda un uomo con la pelle scura che indossava un’uniforme da poliziotto, ma sospettato di essere un mercenario, è stato linciato dai manifestanti e successivamente portato fuori dall’ospedale ed impiccato”.

L’immigrazione verso la Libia dai paesi confinanti come il Chad e il Niger e da altri paesi africani come il Senegal, il Mali, il Niger e il Ghana, ha avuto inizio negli anni ‘80. Proprio in questo periodo la politica di Gheddafi, il quale era isolato a livello internazionale, è stata quella di sponsorizzare e di sviluppare un’unità panafricana in particolare con i paesi dell’Africa sub-sahariana. Così in poco tempo la Libia è entrata a fare parte della Comunità degli stati del Sahel e del Sahara (CEN-SAD) ed è diventata un crocevia principale per i migranti diretti nel sud dell’Europa, in particolare in Italia.

Tuttavia i migranti attirati nel paese per motivi economici rimanevano ai margini della società e non riuscivano ad integrarsi. “Venivano assunti e licenziati nello stesso giorno, e facevano di tutto per iuscire a sopravvivere” ha raccontato ad IRIN Jen-Philippe Chauzy, portavoce dell’Iom. Molti erano gli immigrati illegali, senza documenti e con pochi soldi, che venivano sfruttati e maltrattati. E a partire dagli anni ‘90 la autorità libiche sono state accusate di maltrattamenti contro gli immigrati presenti nel paese. Ora nel paese regna l’anarchia e a pagare il prezzo più alto, ancora una volta, sono gli uomini dalla “pelle nera”.

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