Quello che sta girando in questi ultimi giorni su Twitter e Facebook è un chiaro segnale: si va avanti tutti insieme. “Prendete la vostra videocamera digitale e documentate la protesta” tweettano da New York. “Adesso basta, non importa se di destra, centro, sinistra, grillini, o che so io… Tutti abbiamo il diritto e il dovere di sognare il migliore dei mondi possibile”: lo dicono a Roma ma era quello che la gente intonava a Tel Aviv, Haifa e Gerusalemme poco più di un mese fa.
Il movimento degli indignados israeliani, o J14, raggruppava la gente più diversa sotto l’ombrello della giustizia sociale. Hanno creato un movimento forte, che ha portato quasi 1/7 della popolazione del paese in piazza il 4 settembre scorso. “Ci siamo ispirati alle proteste della primavera araba- confessa Nadav Franckovich, 30 anni, attivista del J14- quelle che penso possano essere chiamate le “Rivoluzioni di Facebook”. E’ questo che ha permesso al mondo di organizzarsi e di creare la giornata del 15 ottobre. Anche il J14 parteciperà alla manifestazione globale: ci riprenderemo le strade di Tel Aviv, marceremo da diversi punti della città fino alla piazza del Museo”.
Il silenzio degli ultimi tempi, le tende di boulevard Rotschild smantellate, il rapporto Tajtenberg approvato dal governo Netanyahu: tutto dava il movimento quasi per spacciato, soprattutto se si pensa alle divisioni interne che erano sorte qualche tempo prima dell’ultima grande manifestazione. L’eroina della piazza Daphni Leef, assieme a Stav Shaffir, voleva tenere il movimento fuori dalla politica e lasciarlo sul piano prettamente sociale. Yitzhak Schmuli, leader dell’unione studentesca, sembrava più propenso a dialogare con il governo per raggiungere un accordo sulle riforme. Gli elementi più radicali, invece, spingevano perché il movimento si politicizzasse e diventasse più efficace. “Non credo- continua Nadav- che i dibattiti interni al movimento possano incidere così tanto sulla partecipazione della gente, in questo momento. IGli elementi di disaccordo sono comunque minori rispetto a ciò che ci unisce. Il movimento sembra silente perché non sono più state organizzate manifestazioni, ma continua a essere attivo: occupazioni di edifici, azioni contro il governo e le grandi aziende, boicottaggio di un certo tipo di prodotti che hanno portato al ribasso di prezzi e addirittura al licenziamento di un dirigente. Abbiamo anche in programma uno sciopero generale per il 1 novembre. Le manifestazioni mondiali non faranno altro che fortificare il J14”.
Sicuramente, non li fermerà l’approvazione del rapporto Tajtenberg, avvenuta qualche giorno fa. “Questo voto- spiega Nadav- non avrà l’impatto che il governo sperava di guadagnare. Alcuni suoi punti sono un chiaro risultato positivo per il nostro movimento, punti che non sarebbero mai stati considerati senza le proteste. Ma comunque il rapporto non riesce a rispondere alle problematiche maggiori poste dal movimento: l’allargamento del budget e la cancellazione dei cosiddetti “decreti speciali” (“Hasderim Rule”) approvati dal Governo per aggirare le leggi del Parlamento. Il Trajtenberg sembra saltare certi passaggi e passare direttamente al risultato, ignorando quello che sta nel mezzo e che impedisce lo svolgimento della vera democrazia. Ecco perché la gente non crede che sia motivo di vero cambiamento. Sembrano parole vuote: niente potrà costringere il governo ad applicare realmente le sue raccomandazioni”.
Nadav sa che i tagli alla Difesa sono un buon segno per il potenziale del movimento. “In Israele l’esercito è qualcosa di sacro, ed è molto potente: sicuramente si inventeranno una “scusa” per far riconsiderare questi tagli al Governo. Anche se il budget militare è enorme e i tagli suggeriti sono infimi, già il fatto che un governo di ultra-destra come quello attuale abbia toccato la Difesa per far diminuire la pressione provocata da un movimento sociale, è una speranza per le rivendicazioni future. Questo ci spinge a non fermarci finché non vedremo il vero cambiamento”.
Difficile calcolare il numero dei partecipanti alla manifestazione di domani. “Non aspettatevi un numero alto come quello delle marce precedenti –conclude Nadav- Ci sarà la liberazione di Gilad Shalit tra qualche giorno, e la gente gli sta dando grande attenzione. Chissà che, come affermano alcuni, lo scambio di prigionieri in questo preciso momento non sia stato un puro calcolo politico: un tentativo di far tornare l’opinione pubblica sulle questioni tradizionali di sicurezza nazionale, identità e patriottismo. E far risalire la popolarità del Governo”.
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