Gli indignados di Israele non si fermano più
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Gli indignados di Israele non si fermano più

Oltre 450 mila in piazza per protestare contro il carovita e la politica economica del governo. Ma la piazza non reclama contro la politica sulla Palestina.

Gli indignados di Israele non si fermano più
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redazione Modifica articolo

4 Settembre 2011 - 16.48


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Il governo Netanyahu sabato sera ha fatto i conti con una nuova ampia contestazione sociale. Dopo sei settimane di manifestazioni la protesta degli indignados israeliani ha portato nelle strade di Tel Aviv, ma anche di Gerusalemme, Haifa, Eilat e Kiryat Shmona oltre 450 mila parsone. La manifestazione sociale piu’ ampia della storia del paese. E’ stato superato il record di 300.000 presenze (250.000 solo a Tel Aviv) fatto segnare meno d’un mese fa.

Al Boulevard Rotschild di Tel Aviv ed in altri attendamenti eretti in queste settimane sono stati moltiplicati gli sforzi organizzativi della manifestazione. Sul palco ieri sera aa Tel Aviv hanno parlato i leader della protesta come la regista di film indipendenti Daphni Leef, 25 anni e Itzhik Shmuli, 31 anni, dell’Unione degli studenti universitari. Entrambi sono stati tra i protagonisti dei preparativi della manifestazione e credono poco alla trattativa con il governo Netanyahu. Ma hanno ribadito che la lotta va avanti.
Gli “indignados” israeliani pero’ rimangono sostanzialmente apolitici e, pur protestando per il carovita e la politica economica del governo, non sfidano apertamente Netanyahu, il suo militarismo e la sua linee di finanziamento alle colonie ebraiche costruite nei Territori occupati palestinesi che sottraggono enormi risorse al paese.
Qualche giorno fa il quotidiano Haaretz scriveva che la mobilitazione avrebbe deciso se Israele continuerà «ad essere un Paese dove si paga molto per ricevere poco e dove la maggior parte della ricchezza è custodita nelle mani di pochi, oppure ci sarà un cambiamento». Cambiamento al quale però è difficile credere. I sondaggi non danno in calo la destra al potere, fautrice della politica economica neoliberista. Se si tornasse a votare subito, i partiti nazionalisti e religiosi riceverebbero 69 dei 120 seggi alla Knesset. Il partito centrista Kadima crollerebbe da 28 a 18 seggi, mentre i laburisti avrebbero solo 10 seggi.

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