Cuore e crocevia, questo rappresentano per papa Francesco il Lussemburgo e il Belgio. Sono Paesi al cuore dell’Europa e delle sue Istituzioni comunitarie, soci fondatori di quella che è oggi l’Unione europea. Questi Paesi sono stato segnati dalle «più rilevanti vicende storiche europee». Possono essere considerati icone di un presente complesso e di una Europa che vive conflitti irrisolti. Parlando ai lussemburghesi, Francesco ha riconosciuto che nei luoghi di confine «tra potenze che confliggono» si scaricano a terra le tensioni.
Parlando del passato, ha parlato del nostro presente nel quale le logiche dei «blocchi» si stanno scaricando nei confini orientali del Vecchio continente. Ha parlato così della necessità di «trattative» e di un «lavoro diplomatico» che ponga fine ad «avventure dai costi umani immensi» che stanno rinnovando «inutili stragi». Siamo all’«impazzimento della ragione», ha esclamato: «siamo vicini alla guerra – e ha proseguito dopo una pausa di silenzio – quasi mondiale». Non c’è altro orizzonte praticabile oggi che «oneste trattative in vista della soluzione dei contrasti, con l’animo disposto a individuare onorevoli compromessi, che nulla pregiudicano e che invece possono costruire per tutti sicurezza e pace».
Francesco, dunque, ha scelto due piccoli Paesi centrali come «luogo ideale, quasi una sintesi dell’Europa, da cui ripartire per la sua ricostruzione, fisica, morale e spirituale». E l’unico modo per venir fuori dal pantano è quello di imparare a «fare della propria identità non un idolo o una barriera, ma uno spazio ospitale» alla ricerca di nuovi equilibri.
Oggi abbiamo disperato bisogno di qualcosa che abbiamo perso: di uno «spazio ospitale». Non un’utopia, ma un progetto comune.
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