Perché Tivoli 'la Superba' può essere città internazionale e non più la seconda periferia di Roma
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Perché Tivoli 'la Superba' può essere città internazionale e non più la seconda periferia di Roma

Tivoli è scesa a «seconda periferia», subordinata (si pensi a tutte le operazioni contro la criminalità organizzata) ai quartieri periferici dell’oriente capitolino: Tor Bella Monaca, San Basilio, Ponte di Nona per citare

Perché Tivoli 'la Superba' può essere città internazionale e non più la seconda periferia di Roma
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Tommaso Verga Modifica articolo

2 Marzo 2024 - 20.31


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Un testardo diniego che ha impedito a Tivoli di essere in grado di contrastare gli effetti negativi della crisi del settore industriale iniziata a inizio anni ’70. In precedenza, i titolari del numero ragguardevole delle attività industriali, tra le scelte, avevano fatto fronte alle difficoltà proprie dei primi tempi dello sconosciuto capitalismo familiare con la vendita delle imprese.

Ne è esempio il gruppo «cartiere Tiburtine», ceduto dalla famiglia Segrè alla «United Paper Mills», la multinazionale finnica che nel 1967 chiuse “Mecenate”, lo stabilimento al Colle, trasferendo la produzione di carta-kraft nella nuova azienda costruita a Pontelucano, chiusa anch’essa qualche anno dopo. Entrambe verranno occupate dalle maestranze. Con successo. Nel 1973 le ‘Tiburtine’ di Pontelucano verranno rilevate dal gruppo ‘F.lli Taschetti’ di Lecco. Per una ripresa non lunga come ci si augurava.

La cessazione delle «Cartiere Tiburtine» fu un preambolo. Tutti i titolari delle aziende del settore, cartiere e cartotecniche, fermarono gli impianti. Che per Tivoli a fine Anni ’70, si tradusse nella «frenata» di 12 «continue», macchine che producevano full time bobine di carta-kraft. Contemporaneamente, nella città sì iniziò a indirizzare i capitali verso la «finanziarizzazione», vendere denaro rendeva più, di molto, della produzione e allestimento della carta. Alla crisi del settore si aggiunse quella dell’altro grande “fornitore di reddito” rispondente ai nomi di Leopoldo Pirelli e di Tronchetti Provera.

Ai 300 licenziamenti di giugno 1992 se ne aggiunsero altri 700, provocando lo «sfascio» del meccanismo sul quale Tivoli sosteneva la condizione privilegiata acquisita nei secoli (si pensi che nei mesi di maturazione degli olivi, le aziende producevano a personale ridotto, con i lavoratori in cassa mutua impegnati invece nel raccolto).

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Un progressivo declino sta segnando le condizioni odierne della città, una decadenza che l’incendio del San Giovanni Evangelista ha figurativamente rappresentato, raccordo con la dedizione fornita da quanti hanno fatto mancare l’attenzione alla salvaguardia del perduto anche nei sentimenti «bene comune». Nitida raffigurazione dello stato delle cose.

Che oggi collocano «la Superba» in una ideale «seconda periferia» di Roma. Rimane nei ricordi degli anziani, la relazione (per quanto scomoda) con il centro capitolino, mantenendo comunque il rispetto per una comunità in grado di produrre autonomamente ricchezza e benessere, rispettosa dell’«ascensore sociale», capace di realizzare un proprio progetto di vita. Oggi non più. Tivoli è scesa a «seconda periferia», subordinata (si pensi a tutte le operazioni contro la criminalità organizzata) ai quartieri periferici dell’oriente capitolino: Tor Bella Monaca, San Basilio, Ponte di Nona per citare.

Aver rifiutato (respinto) negli anni, ogni proposta-progetto che intendeva ripristinare condizioni di vita migliorate sul piano «territoriale», a fronte di interventi scomparsi nella città. Si pensi al Prusst dell’Asse Tiburtino (“Programma di recupero urbano e sviluppo sostenibile del territorio”) contenente il progetto compiuto per la realizzazione della “Città termale”, costato alla Provincia di Roma 516.456,90 € (e tuttora depositato negli uffici della Città metropolitana di Roma Capitale).

Il paradosso illustrante un modo di intendere “come governare” e il senso che si fornisce alla stessa politica, vede le quattro delibere richieste ai soggetti istituzionali designati alla costituzione della Città termale – un Abano Terme alle porte della Capitale –: per Roma l’ex V Municipio; Castel Madama; Guidonia Montecelio e Tivoli) approvate senza riserve.

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Perché non se n’è venuto a capo? Perché Guidonia ha continuato a costruire edifici anche sulle aree che aveva destinato alla Città termale. Tivoli invece il Consiglio comunale ha sì approvato il Prusst e i suoi contenuti, ma, contemporaneamente, lo stesso organismo ha semiprivatizzato la «Acque Albule SpA», la società titolare delle acque solfuree, convenendo sull’ingresso nella società di Bartolomeo Terranova, socio privato, il quale, con ogni probabilità, la Città termale alle porte di Roma la realizzerà in proprio, sotto la denominazione di una delle sue società (Fincres srl, Sirio Hotel srl, Montefin srl se ancora in vita, ed altre).

Contrariamente a quando descritto sin qui, va sottolineata (a prescindere dalla campagna elettorale), l’iniziativa di «Tivoli.globalist», una nuova testata on line, che si propone quale “linea editoriale”, l’obiettivo di riportare Tivoli ai fasti che hanno consentito alla città di essere conosciuta in tutto il mondo. «L’internazionalizzazione» di Tivoli, assumendo la cultura come motivo portante di una futura città.

Va considerato che «Tivoli.Globalist» ha proposto una serie di incontri su temi e con persone “che potessero dire qualcosa”. Ha aperto l’iniziativa, un riesame del terrorismo neofascista che a Tivoli ha goduto di ampia cittadinanza negli anni di piombo partecipando con gli aderenti del Circolo La Rochelle agli omicidi dell’agente Antonio Marino a Milano e dei giudici Mario Amato e Vittorio Occorsio a Roma.

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A seguire, la platea cittadina è stata intrattenuta da Patrick Zaki, lo studente egiziano che ha scontato anni di prigione per aver criticato il regime di al-Sisi.

Il «femminicidio» ha invece costituito il tema dell’incontro di San Valentino, alla presenza di qualificatissimi dirigenti della Polizia di Stato.

Prossimamente, il 6 marzo, alle 17,30, alle Scuderie Estensi, “Scommettiamo sulla Pace, in attesa del Giubileo”, sarà l’argomento sul quale monsignor Paglia intratterrà i presenti.

Incontri dalla numerosa partecipazione, che ha ampiamente soddisfatto Gianni Cipriani, l’organizzatore fondatore di «Tivoli.Globalist», a dimostrazione che «non tutto è perduto», che a Tivoli, a prescindere da una sbiadita campagna elettorale tutta centrata dalla ricerca del nome del sindaco («a prescindere» avrebbe commentato Totò), si può programmare un futuro in grado di rispondere alle esigenze dei tiburtini.

Non solo. Perché l’«Asse tiburtino», di fatto una sorta di “città metropolitana”, è “obbligato” a rispondere ai bisogni che si formano a causa dello stato di “seconda periferia” – la Sabina interna, il Giovenzano, i trenta paesi della X Comunità montana qualificati ufficialmente a “rischio estinzione” –, che si rivolge a chiunque ritenga possa lenire il disagio. Una dimostrazione: quanto costa alla ‘città Tivoli-Guidonia’ l’accesso all’istruzione di giovani provenienti da altrove? Non si parla soltanto di costi di gestione ma, ad esempio, di affollamento delle aule, problema che avvilisce e svaluta inevitabilmente la qualità dell’insegnamento.

Tema centrale: ridurre ogni forma di dipendenza dalla Capitale – lavoro, studio, salute, cultura – e recuperare le capacità di un territorio in grado di provvedere a se stesso.

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