L'abaya è discriminazione delle donne attraverso l'annullamento del corpo: sinistra e femministe lo capiscano
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L'abaya è discriminazione delle donne attraverso l'annullamento del corpo: sinistra e femministe lo capiscano

. Ritenere che le forme di discriminazione delle donne attraverso la copertura (annullamento) del loro corpo siano una forma di libertà è una mistificazione della realtà, della storia e della memoria

L'abaya è discriminazione delle donne attraverso l'annullamento del corpo: sinistra e femministe lo capiscano
Donne con l'abaya
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Giuliana Sgrena Modifica articolo

6 Settembre 2023 - 20.28


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In tutti i paesi musulmani che ho visitato non ho mai visto una studentessa andare a scuola con l’abaya (abito lungo che copre tutto il corpo e che spesso comprende anche il capo). Finora non ho visitato l’Arabia saudita – paese originario delle restrizioni più rigide per le donne – ma, proprio lì, l’abaya è vietata alle ragazze che devono sostenere gli esami. Anni fa in Algeria era stato imposto il divieto del niqab (che copre anche il viso) per evitare che gli esami fossero sostenuti da chi non era tenuto a farlo.

Naturalmente non è il caso della Francia di cui si discute in questi giorni, dopo il divieto all’uso dell’abaya nelle scuole deciso dal ministero dell’istruzione. Come già con la legge del 2004, che vietava l’uso dei simboli religiosi nei luoghi pubblici approvata anche dalle comunità musulmane, il governo francese si erge a difensore della laicità, principio sancito dalla costituzione d’oltralpe. Il risultato di allora fu sicuramente rassicurante per il parlamento francese: poche le studentesse ritirate dalla scuola statale, alcune per iscriversi alle scuole cattoliche, altre per seguire lezioni on line, altre infine disperse, probabilmente rimaste senza istruzione. 

La storia si ripete, questa volta a non voler rinunciare all’abaya sono 67 studentesse. Perché sono così determinate a voler nascondere il proprio corpo, perché questo è il ruolo dell’abaya, che non risponde a un dettame culturale o tradizionale. Infatti all’interno di uno stesso paese, come l’Iraq, possiamo trovare donne senza velo, con l’hijab o con l’abaya.

È un fatto che in Europa l’abaya fa parte del pacchetto della buona musulmana, infatti, generalmente, viene venduto nei negozi che diffondono anche il Corano. Un dubbio sull’autenticità «islamica» dell’abaya sorge quando in Francia per far fronte al divieto imposto dal governo, i religiosi e gli influencer islamici propongono di camuffare l’abbigliamento come abito pre-maman!

Per chi è contro il divieto dell’abaya, il velo che copre tutto il corpo non rappresenta solo un simbolo religioso, ma sicuramente un’opposizione alla laicità. E non solo in Francia. Ritenere che le forme di discriminazione delle donne attraverso la copertura (annullamento) del loro corpo siano una forma di libertà è una mistificazione della realtà, della storia e della memoria di donne che hanno fatto rivoluzioni o che si apprestano a farle, come in Iran. 

Eppure l’Europa continua le sue campagne, sponsorizzate da organizzazioni islamiche, di «inclusione» con le immagini di donne velate. Come se il velo includesse tutte le donne musulmane in Europa o nel mondo. Campagne che in Europa, eccezion fatta per la Francia, trovano l’opposizione solo della destra. Possiamo noi, sinistra, femministe, lasciare la difesa della lotta delle donne musulmane per i loro diritti – che sono diritti universali – a forze reazionarie che usano l’opposizione a simboli islamici non per difendere i diritti delle donne ma per difendere la supremazia della cristianità?

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