Il cattolicesimo borghese che nega il Vangelo e la perla di grande valore
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Il cattolicesimo borghese che nega il Vangelo e la perla di grande valore

Con il buon Dio bisogna mettersi completamente in gioco. Il buon Dio non è un borghese piccolo piccolo. 

Il cattolicesimo borghese che nega il Vangelo e la perla di grande valore
Chiesa
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Rocco D'Ambrosio Modifica articolo

29 Luglio 2023 - 16.00


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Una delle espressioni più interessanti, per leggere la realtà cattolica, è quella di “cattolicesimo borghese”. Spesso citato, pur non avendo – che io sappia – una definizione precisa e condivisa, sembra riferito a un tipo di cattolico, borghese appunto, che si accontenta di un richiamo a certi principi della dottrina cattolica (famiglia, salvaguardia della vita, bioetica) e dimentica o tradisce tanti altri (bene comune, solidarietà, accoglienza e promozione degli ultimi, giustizia e legalità, lotta agli abusi, alla tratta umana e alla corruzione, promozione della pace e della salvaguardia dell’ambiente naturale). Va aggiunto che per lui, essendo borghese, la situazione economica ha una sua grande rilevanza.

Il cattolico borghese è ricco, spesso molto ricco e se non lo è, perché appartiene alla classe media, lo vuole diventare, vuole “farsi strada”, direbbe Milani. Ama la beneficenza ma non la carità (che è cosa ben diversa), dona anche ai poveri (magari un po’ di denaro o abiti dismessi) ma non vuole incontrarli, magari fare il volontario con loro un paio di ore alla settimana. Crede che la Chiesa sia un’istituzione sociale molto utile ma guai se questa “invade” campi che toccano la sua posizione socio-economica o gli equilibri di potere nazionali e internazionali con la loro “economia che uccide” (Francesco).

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Nelle sue forme più pacchiane il cattolico borghese ama apparire tale, sbandierare rosari in luogo pubblico, farsi fotografare o riprendere in TV con immagini sacre alle spalle e cosi via. Mazzolari aggiungerebbe che ha ereditato “la vecchia malattia borghese di presentarsi dietro alte conoscenze, non avendo proprio nulla di presentabile”.

Con questo non voglio assolutamente dire che il Vangelo non può essere accolto e vissuto anche da coloro che sono di estrazione borghese. Il Vangelo va annunciato a tutti e in tutti gli ambienti e può essere accolto da tutti, ma… alle condizioni del Vangelo e non di altro/altri. E’ evidente che alcuni atteggiamenti borghesi continuano a contaminare settori cattolici e non viceversa, cioè l’adesione alla fede non ispira nuovi atteggiamenti in questi settori. Forse il tutto potrebbe essere sintetizzato con un’affermazione semplice: il cattolicesimo borghese è una forma di credenza da “pancia piena”, cioè del “ho già tutto – ho capito tutto – non ho niente da ricercare o cambiare – il mondo è sempre andato cosi e cosi deve procedere”. E’ una malattia che nega il significato del Vangelo stesso. Gesù ci invita a cercare e ricercare, ricercare e a non stancarsi mai. E una volta trovato il tesoro che è il Regno di Dio – potremmo anche dire Dio stesso – custodirlo come il tesoro più prezioso; la perla più rara (Mt 13, 44-52). E’ possibile tutto questo? O è una bella favola?

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Il cercare un tesoro è una fatica costante, che ti prende giorno e notte, ti fa rivedere mappe e itinerari. Nel cercare un tesoro ci si applica molto e si spera di ottenere molto. Il risultato non è affatto certo; dipende anche dall’impegno e dalla fatica che ci mettiamo. Forse la nostra fede, alcune volte, è segnata da un minimo sforzo e vogliamo, spesso esigiamo, dal buon Dio, il massimo della ricompensa. Con il buon Dio bisogna mettersi completamente in gioco. Il buon Dio non è un borghese piccolo piccolo.   

Il credente autentico “vende tutti i suoi averi e compra quel campo”, come il mercante che “vende tutti i suoi averi e compra la perla di grande valore”. E lo stesso dicasi dei pescatori che si applicano al lavoro: “tirano a riva la rete, si mettono a sedere, raccolgono i pesci buoni nei canestri e buttano via i cattivi”. Il Regno di Dio è una cosa seria, molto seria. Sembra questa un’ovvietà. Ma – sono convinto – non è così ovvio: infatti sono tante le tentazioni che ci inducono a non prendere la nostra fede sul serio, a ridurla a un’ideologia tra le altre, a una tradizione, ormai senza gusto e senza senso, a renderla “borghese”. 

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La fede non si vende, né si compra; non si pubblicizza, né si pone in competizione. La fede è quella dello scriba che fatica per diventare discepolo del regno dei cieli; che fatica, ogni giorno, per estrarre cose nuove e cose antiche dal suo tesoro. Fatica, si stanca, si perde, sbaglia, pecca… ma è felice. Perché solo con la fatica si trova il tesoro. 

Sempre Mazzolari in una polemica con Quasimodo scriveva: “È troppo comodo far la rivoluzione a Milano, in Galleria, o a Roma, in via Veneto respirando nebbia e fumo di sigarette di contrabbando, facendo il cortigiano a mecenati rossi e neri, agli avventurieri indollarati…”. Il rischio per il prete di Bozzolo era quello di finire “per star bene, troppo bene, da borghesi”. E poco evangelici.

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