Controcampo: il 'metodo' Spadaro per interpretare Gesù
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Controcampo: il 'metodo' Spadaro per interpretare Gesù

Il metodo non cambia il messaggio, ma lo toglie al letteralismo della parola, che rischia di volerci far imporre a tutti la stessa somiglianza con Dio. Il libro di padre Antonio Spadaro, direttore de la Civiltà Cattolica

Controcampo: il 'metodo' Spadaro per interpretare Gesù
Padre Antonio Spadaro
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

23 Gennaio 2023 - 16.24


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Padre Antonio Spadaro, gesuita, direttore de La Civiltà Cattolica, ci consegna “Una trama divina. Gesù in controcampo” (Marsilio, euro 16,00). Un libro su Gesù? Un altro? Ma non sappiamo già tutto di lui? A questa domanda mai posta in realtà all’autore, Spadaro risponde con un volume che ci coglie impreparati alla lettura e che quindi ci sorprende. Perché se è vero che già riteniamo di sapere tutto di lui, di Gesù, e quindi non ci interessa leggere altro al riguardo, basta un rapido sguardo alle primissime pagine per scoprire che forse nulla sappiamo. O forse, per meglio dire, che, con il metodo che è stato seguito per presentarcelo, l’equivoco è sempre a portata di mano. Pagina 36, pochissime righe dopo la conclusione dell’introduzione. Spadaro cita il Vangelo secondo Giovanni, 15, 9-17: “nessuno ha un amore più grande di questo, dare la sua vita per i propri amici”.


E’ il verso evangelico citato da Vladimir Putin all’inizio della guerra Ucraina per lodare i soldati al fronte, pronti a dare il sangue per la patria e riconquistare l’Ucraina, parte inseparabile ed eterna del “mondo russo”. Dunque loro sono lì, al fronte, per il più grande gesto d’amore, dare la vita per i propri amici, cioè i russi, e quindi per la loro madre. Siamo ancora convinti di sapere tutto di lui? Sì, serve cambiare metodo!  

Seguendo il metodo che qui ci viene proposto si scopre un altro testo, perché compare la trama. Come? Vorrei partire da un esempio, un commento a una pagina evangelica, che mi ha molto colpito. Siamo a pagina 112 del testo. Il titolo è “un evento cosmico”. E’ il racconto di quei giorni, proprio quelli, sì. Presentando il racconto l’autore ci dice che Gesù parla a lungo con i suoi discepoli, tono cupo, sordo, basso. Poi il suo sguardo si fa visionario e apocalittico. E cita il Vangelo: “In quei giorni, dopo quella tribolazione, il sole si oscurerà, la luna non darà più la sua luce, le stelle cadranno dal cielo e le potenze che sono nei cieli saranno sconvolte”.

Non sappiamo altro: tribolazione, caos. Questa parola, usata dall’autore, colpisce. Caos? E’ questo che accadrà, la premessa all’ordine è il caos? Il testo ci soccorre: “Allora vedranno il Figlio dell’uomo venire sulle nubi con grande potenza e gloria”. Dunque Lui arriva quando le luci si spengono. Ma come? “Allora Egli manderà gli angeli e radunerà i suoi eletti dai quattro venti, dall’estremità della terra fino all’estremità del cielo”. C’è l’immagine di una forza centripeta, Si arriva da ogni parte! Dunque ha voglia Putin – come tantissimi altri come lui, anche dell’ordine opposto a lui- a compattare, a radunare, uniformare. Il suo, i loro piani verranno sconvolti, quel giorno! Lo mostra l’immagine, che l’autore ci illustra così: “non ci sono appartenenze esclusive. Le differenze sono raccolte e accolte”. Bisogna fermarsi, per forza! Qui c’è apertura, futuro, per ogni diversità!  Dunque quel giorno sarà il giorno del pluralismo, finalmente! Il metodo cambia la nostra comprensione, o no? Ecco la trama! Possiamo non capire, equivocare una frase, più difficile equivocare la trama. E la trama prevede che siamo tutti a immagine e somiglianza di Dio, ma tutti diversi, no? 

Dunque il metodo non cambia il messaggio, ma lo toglie al letteralismo della parola, che rischia di volerci far imporre a tutti la stessa somiglianza con Dio! Ma non è Dio che somiglia a me, siamo noi tutti che somigliamo a lui. E questo pluralismo nell’immensità possiamo arrivare a immaginarlo badando  alla scena, al suo significato profondo ma alla fin fine evidente, se guardiamo. 

A mio avviso il primo problema che si pone è, “in cosa crede chi crede?” Chi crede in questo Dio ritiene non solo che esista, ma che si sia rivelato, cioè che ci abbia detto qualcosa, del genere “se credete farete così”. Il motivo per farlo ognuno lo troverà come ritiene, come gli è possibile, umanamente. Ma il senso io lo capisco così: “tu puoi capire solo quello che fai (crei) tu. Io che ho fatto, creato te, come sei, ti spiego quale sia il senso di te, nel lavoro della Provvidenza”. Se fosse questo il senso della “rivelazione”, le parole saranno importanti, ma come essere certi di capire cosa vogliano dire? Cosa significa “nessuno ha un amore più grande di questo, dare la sua vita per i propri amici”, tanto per rifare l’esempio citato? Ci serve un metodo, per capire e Spadaro ce ne propone uno, almeno così capisco leggendo la sua introduzione al volume: “ La tradizione che risale a Ignazio di Loyola vuole che il modo per meditare non sia innanzitutto quello di riflettere sulle parole, ma quello di leggere il brano evangelico, chiudere gli occhi e ricostruire la scena in cui i personaggi agiscono. Chi contempla non è passivo, ma entra nella scena attivamente interagendo con tutti. Se non si vede non si entra nel mistero e non si interagisce. Interiorizzare significa interagire”. 

Dunque dobbiamo vedere le strade dove cammina Gesù, le persone con cui parla, i loro tratti, i loro abiti. Sono ricchi, sono poveri? L’incontro, il racconto, si svolge lungo autostrade, viottoli, sentieri in pianura? Oppure si svolge in cima a un monte? Il lettore dei vangeli dunque è chiamato a immergersi nella realtà contemplata e a interagire pienamente con essa senza filtri. 

Questo metodo ci allontana dal lettaralismo, dall’astrattezza della parola separata dal suo contesto, dal suo ambiente. Una volta immaginata come la vediamo nei vangeli possiamo rivederla per strada, nel nostro quartiere, o nel mare dove ci siamo bagnati durante l’estate passata. Ecco allora che quella che abbiamo davanti diventa una storia, più che una sentenza. L’equivoco è sempre possibile, le storie possono cambiare di senso nel corso del tempo, ma restano storie, con una trama, un suo senso. Seguire a occhi chiusi il racconto della Passione di Gesù Cristo, immaginare, vedere, soffrire con lui, rende più difficile leggere quella frase con un senso letterale che, isolandola dal suo contesto, ci appare plausibile, ma che portandola nella “trama divina” diventa ridicolo. Si potrà ancora equivocare, ma il metodo appare efficace, convincente. 

L’introduzione di padre Antonio Spadaro al suo libro ci pone davanti ad un’affermazione immediata, d’esordio: “Gesù è un personaggio che cammina tanto per città e villaggi. Dio è sempre in uscita: i suoi sentieri sono imprevedibili.” Eppure tolte le stazioni della Via Crucis questa immagine di un Gesù in cammino per le strade del mondo, in città, in villaggi, in campagna, nel deserto, ci è poco familiare. Ci avevamo mai pensato che la sua è una storia sempre in cammino, oggettivamente sempre “verso” gli altri, “verso” il mondo? Le continue riproduzioni di singole frasi ci aiutano a coglierlo? Era forse un uomo che si metteva davanti ai cronisti del tempo per fare le sue affermazioni, le sue conferenze, o era un uomo che “usciva”? 

Il metodo che ci presenta “Una trama divina” è un metodo che facendoci entrare nella vita, nel modo di vivere di Gesù, lo porta nella nostra vita. Non lo fissa. E ci aiuta a capire. Certo, anche leggere ci aiuta a ritenere che tanto Putin che i terroristi si sbaglino capendo come capiscono Giovanni 15, perché leggendo si scopre che Matteo 19 ci informa che Gesù invita a fare discepoli in tutte le nazioni. Ma il destino delle frasi è quello di poter essere separate, isolate, anche spezzate. La ripresa invece non può spezzare la trama, capovolgerne il senso. 

Il metodo che qui ci viene proposto ci porta a cercare la storia, più difficilmente equivocabile quando ne seguiamo lo svolgimento. Forse, davanti ai Vangeli, Spadaro ci invita a diventare tutti registi, artisti capaci di non tradire la trama? 

Si può credere in un uomo che sta sempre per strada senza mai uscire, restando sempre tra le proprie pareti, tra le proprie muraglie cinesi? Questo è il primo punto che emerge leggendo, cercando di cogliere il senso di un metodo che poco abbiamo impiegato. 

Ma la forza delle immagini sta nel fatto di essere un flusso, come la nostra immaginazione. Non si può isolare un’immagine, farne un fotografia, senza perdere il senso della trama. Abbiamo dunque un “uomo in uscita”: la sua vita si svolge in un flusso continuo, almeno negli anni di predicazione. Se questo è il messaggio che accompagna tutto il flusso della sua predicazione, non riusciamo a immaginare un luogo dove faccia ritorno, costantemente. Vuol dire anche questo l’autore quando ci avverte che “non si può addomesticare Dio”?  

“C’è sempre qualcuno che vuole addomesticare Dio, ma anche qualcuno che vorrebbe addomesticare chi si accosta a Dio per contenere la sua fede, la sua fiducia, in forme accettabili, permesse, ordinate, codificate, sostanzialmente borghesi”. E’ il famoso episodio dei bambini, che irrompono nella sua discussione con i farisei. Si parlava di cose serie, molto importanti, quando arrivano i “piccoli”. Che fanno “casino”. La cosa sorprendente, che non sorprende nessuno, è che i discepoli di Gesù rimproverano i bambini, non chi li ha portati da Gesù mentre discute con i farisei: “ E’ come se i discepoli dicessero che il bambino, proprio perché bambino, va rimproverato, sedato, ammaestrato. Il bambino è immaturo. Possiamo dedurre la loro irrequietezza dal rimprovero, però. Fossero stati zitti e buoni non ci sarebbe stato alcun bisogno di rimproverarli, di adattare queste creature anarchiche alle buone norme della società”. Tutto questo emerge dal racconto, ma non dalla semplice lettura della frase, delle parole “lasciate che i piccoli vengano a me”. La logica letteralista non consente di entrare nel cuore del racconto, di capire il suo senso. Osservare, immaginare Gesù intento a discutere con i farisei, l’aria preoccupata, l’irrompere dei bambini, la reazione dei discepoli: solo questo consente di capire perché Gesù risponda così, per farci capire che “Dio non non si addomestica”, come invece cerchiamo sempre di fare.  Dio va, non sta, almeno questo mi pare di cogliere.  

Il personaggio in questo modo ci coinvolge. Al punto di credere? Di dover credere? La domanda sorprende, spiazza. Davanti a qualsiasi film, o romanzo, vogliamo sapere come andrà finire. Come finisce la storia? Lo dobbiamo sapere, volgiamo sapere! Questo non ci obbliga a credere che sia vera la storia, ad esempio, la storia di Giulietta e Romeo, ma quella storia entra a far parte di noi, al punto che scegliamo di non andare a dormire per finire di leggere, per sapere come finirà. E senza di noi quella storia si perderebbe, finirebbe nel nulla. 

Questa disponibilità il volume di Antonio Spadaro ce la chiede anche per la trama divina, per capirla, conoscerla, sapere dove ci porti con questo racconto. Perché no? Spadaro ci fa sapere che questo meccanismo per il poeta inglese Samuel Taylor Coleridge si chiama “fede poetica”, cioè “ volontaria sospensione dell’incredulità”. Leggendo mi sono detto che questa momentanea sospensione dell’incredulità cambia sempre la nostra realtà. E la storia di un uomo in uscita sa entrare dentro di noi, quando ci viene presentata così. 

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