La crisi del modello liberal-democratico: paura e sfide dell'Europa contemporanea
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La crisi del modello liberal-democratico: paura e sfide dell'Europa contemporanea

Il direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, ha dedicato un saggio alla crisi del modello liberal democratico, cioè del sistema politico con cui abbiamo identificato l’Europa del dopo guerra,

La crisi del modello liberal-democratico: paura e sfide dell'Europa contemporanea
padre Antonio Spadaro, direttore de La Civiltà Cattolica
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

1 Luglio 2023 - 17.13


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“Secondo molti analisti politici, l’incubo che si aggira per l’Europa di questi tempi sarebbe la definitiva scomparsa del «centro», cioè delle forze politiche centriste. Le difficoltà incontrate da numerosi progetti che si richiamano alla liberal-democrazia derivano anche dalla difficoltà a fare i conti con l’evidenza di un mondo che cambia velocemente. Le categorie politiche del passato sembrano non reggere più, sia in termini di interpretazione sia in termini di proposta”.

Comincia così l’articolo del direttore de La Civiltà Cattolica, padre Antonio Spadaro, dedicato alla crisi del modello liberal democratico, cioè del sistema politico con cui abbiamo identificato l’Europa del dopo guerra, quello che ha tenuto insieme i diritti individuali e il principio democratico della sovranità popolare nell’epoca dei boomers,  “ cioè il periodo dell’esplosione demografica (baby boom), parallelo al boom economico registrato tra il 1946 e il 1964”.

Ma la storia non si è fermata al 1964: “ La socialdemocrazia europea ha finito con l’aderire a questa visione, spingendo l’equilibrio verso un welfare inclusivo, esteso: nell’epoca liberal-democratica e social-democratica si sono tenuti insieme le garanzie sociali e i diritti individuali, sostituendo lo stato sociale al vecchio laissez faire, la massima che fu usata dai fisiocrati e dai primi liberisti per ottenere l’abolizione di ogni vincolo all’attività economica. Ecco: è proprio questa tensione liberale e democratica – dove democrazia ha il significato di stato sociale – a essere in crisi. La questione, dunque, non può porsi in termini di qualità politiche dei leader, o di esistenza di uno spazio politico adeguato, che si chiami «terzo polo» o con altro nome. Per cogliere le ragioni della difficoltà liberal-democratica occorre partire non dalle idee, ma dalla realtà che muta. Come sta mutando?” 

Siamo al cuore della sua lettura della difficoltà dell’oggi, che parte da alcune indiscutibili novità che Spadaro trova fotografate da Andrea Graziosi in “ Occidenti e Modernità. Vedere un mondo nuovo” (Bologna, il Mulino, 2023). Boom economico e boom demografico furono due volti della stessa medaglia: grazie all’ingresso di molti giovani nella nuova realtà: inoltre “la rapida crescita economica, sostenuta dalla demografia e dalla grande mobilità umana da campagne a città; un veloce aumento dell’industrializzazione, dell’urbanizzazione e dell’istruzione; la crescita dei diritti degli individui e delle donne; una vivacissima produzione ideologica come fattore dinamico; e il predominio dell’Europa e dell’Occidente sul resto del mondo”.  

Ma alla crescita demografica è subentrata la decrescita e questo ha messo in crisi il welfare socialdemocratico che ha avuto nello lavoro a tempo indeterminato e nella pensione a 60 anni introdotta da Mitterrand i suoi simboli più forti. 

“E la crescita dei diritti dell’individuo si è affiancata al progressivo sfarinamento dei diritti sociali, quali occupazione non provvisoria, la pensione a 60 anni, l’assistenza sanitaria e così via”. Si possono qui inserire due chiose: i diritti possibili sono diventati individuali e non più sociali per un omaggio al nuovo modello liberista che consente diritti individuali ma non sociali? Chi contesta “il desiderato centro liberal democratico” in nome di agende radicali in realtà rimpiange il vecchio modello liberal democratico e socialdemocratico? Sono due domande legittime, che il prosieguo del testo non pone, ma non esclude. Padre Spadaro vede emergere un timore, la catastrofe ambientale, e un’illusione, la sconfitta della morte per via  dell’aspettativa di vita in continua crescita, come cause opposte dello stesso prodotto, la non generatività. E proprio qui sono le cause “strutturali più rilevanti della crisi del modello liberal-democratico. Si poteva pensare di porvi riparo con i migranti, più o meno forzati, che abbondano, ma rendere società complesse autentiche società omogenee è estremamente complicato, come dimostrano i fallimenti dell’assimilazionismo e del multiculturalismo e le resistenze opposte all’interculturalità”.

Si presenta così di tutta evidenza il tema della paura. Impaurito dalla catastrofe ambientale, impaurito dalla generativitià ritenendosi ormai immortale, l’uomo europeo è impaurito anche dallo straniero, non capendo che con l’interculturalità e l’integrazione i migranti potrebbero ridare forza alle conquiste del recente passato, come lavoro garantito e pensione a 60 anni.

Proseguiamo nella lettura: “ Ma il fascino del modello liberal-democratico – posto fisso e pensione a 60 anni – rimane molto vivo, pur non essendo in queste condizioni sociali difendibile, come ha fatto presente Macron. Perché? La riduzione della popolazione, l’allungarsi dell’aspettativa di vita, la delocalizzazione, che consente di produrre altrove a costi più bassi, sono le cause apparentemente separate dell’emergere di un mondo nuovo, sostanzialmente non più liberal-democratico, ma neo-liberista. In un mondo nel quale scarseggiano sia il vecchio sia il nuovo proletariato, la pensione a 60 anni diviene impossibile, la delocalizzazione indispensabile. Si può dunque vedere nel neo-liberismo, incarnato dallo slogan «La società non esiste, esiste solo l’individuo», il motore che ha tenuto in marcia l’europeo, che non vede più le lotte dei poveri, ma la rabbia degli impoveriti, e anche degli impauriti”. Eccola dunque la paura, questa nuova bussola umana troppo spesso trascurata, alla quale anche il professor Manlio Graziano ha dedicato attenzioni importanti, indicando la geopolitica della paura ad esempio. Che origina proprio nella tesi di politica mondiale che cita padre Spadaro:

“ Dominique Moïsi, nel suo interessante Geopolitica delle emozioni (Milano, Garzanti, 2009), ha saputo cogliere l’importanza della paura nella nuova geopolitica. Egli ne ha riassunto così l’emergere all’inizio del nuovo millennio: l’Asia, la terra della speranza, aveva ancora la certezza che il suo futuro sarebbe stato migliore di quello di ieri e di oggi; i Paesi islamici, terra di umiliazione, volevano liberarsi del presente; l’Occidente, terra di benessere, temeva che i suoi privilegi, o le sue conquiste, stessero svanendo”. 

Siamo a una delle più importanti deduzioni del direttore de La Civiltà Cattolica, relativa alla primavera araba e all’errore esiziale di averla tradita: “ Il 2011 è arrivato con la straripante piena della speranza araba: la speranza di potersi scrollare di dosso il peso opprimente di regimi dispotici, saccheggiatori, e unirsi così al resto del mondo. Ma la paura europea ha impedito di cogliere come questa speranza mediorientale fosse il prodotto del suo modello e, dopo il «tradimento» della «primavera araba», ha temuto che i fuggiaschi dai regimi potessero ulteriormente restringere il residuo benessere”. La paura molto spesso si autoalimenta, ma può aggravare ciò che si teme, impedendoci anche di vedere ciò che potrebbe salvarci, come ad esempio le nuove energie che ci servono nei migranti:  “Non sarà la paura un problema radicale del modello liberal-democratico?” 

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