Sarebbe bello se il Papa invitasse a Roma al Tayyeb per pregare allo stadio con i musulmani d'Italia
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Sarebbe bello se il Papa invitasse a Roma al Tayyeb per pregare allo stadio con i musulmani d'Italia

Francesco e al Tayyeb si chiamano reciprocamente così, “fratello”. Ma cosa dovrebbero fare lunedì a Roma i due “fratelli” Ahmad al Tayyeb e Jorge Mario Bergoglio?

Sarebbe bello se il Papa invitasse a Roma  al Tayyeb per pregare allo stadio con i musulmani d'Italia
papa Francesco e Ahmad Tayyeb
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Riccardo Cristiano Modifica articolo

6 Novembre 2022 - 11.47


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 E’ stata una cerimonia bellissima? Certamente, ma non basta dirla bellissima per definirla, è stata anche contagiosa. I cattolici del Bahrein, quasi tutti lavoratori immigrati, di origini asiatiche per lo più, hanno riempito lo stadio nazionale e partecipato alla celebrazione eucaristica con Papa Francesco. Molti di loro hanno detto – e c’è da crederci- che si è realizzato il sogno della loro vita.

Paese, al di là delle verità ufficiali, non proprio ospitale con “l’altro”, in tutti i sensi, il Bahrein è il luogo dove quei cristiani  vivono da anni, e loro volevano vedere il papa per sentirsi riconosciuti lì, dove vivono, dove sono, per quello che sono e che rimangono in quello che è il loro luogo di vita, il Bahrein . Un sogno? Sì, lo hanno definito un sogno, ma contagioso. 

Infatti osservando le immagini in televisione e ricordando quelle di poco precedenti e relative ai colloqui affettuosi tra il papa e l’imam della principale autorità islamica sunnita, Ahmad Tayyeb, che lo invitato, accolto e accompagnato in tanti incontri interreligiosi di questi giorni, mi è venuto da sognare, anche a me. Anche il nostro è un Paese che ospita tanti lavoratori stranieri, di fede diversa dalla nostra non poche volte. Se i cristiani in Bahrein sono circa il 10% della popolazione locale, in Italia i lavoratori stranieri  musulmani credo siano un pochino di più.

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E allora vedendo la felicità di quei cristiani insieme al “papa di Roma”, così a suo agio con il suo interlocutore affettuoso e riguardoso, l’imam al-Tayyeb, ho sognato che lui, al Tayyeb, al termine della visita, commosso dall’entusiasmo dei cattolici per l’incontro umano e religioso con Francesco, dicesse al papa: “caro fratello Francesco, grazie, ci vediamo lunedì” a Roma. Almeno ufficialmente, ma io non credo che accada solo nell’ ufficialità, Francesco e al Tayyeb si chiamano reciprocamente così, “fratello”. Ma cosa dovrebbero fare lunedì a Roma i due “fratelli” Ahmad al Tayyeb e Jorge Mario Bergoglio? E’ stato questo il mio sogno. Ho sognato che il papa avesse invitato al Tayyeb a Roma, con il consenso delle autorità italiane come al Tayyeb ha invitato Francesco con il consenso delle autorità dei Bahrein, per recarsi allo stadio della capitale italiana dove pregare insieme ai tanti lavoratori musulmani immigrati in Italia il nostro stesso Dio, il Dio di Abramo, il clemente, il misericordioso. Ogni sura del Corano inizia così, “nel nome di Dio, il Clemente, il Misericordioso”. 

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Questo sogno mi ha fatto dimenticare le tante polemiche nostrane per impedire l’edificazione di moschee in Italia, perché ho visto il papa entrare anche nella grande cattedrale di Nostra Signora d’Arabia, interamente costruita su territorio dello Stato, bellissima, moderna, capace di accogliere migliaia e migliaia di fedeli, ma non tutti quelli che sono andati allo stadio. Dimenticare queste polemiche, questi toni e sguardi ruvidi, mi ha fatto piacere, come credo abbia fatto piacere a tanti musulmani illuminati vedere finalmente i loro fratelli nella vita in Bahrein di fede cristiana vivere con gioia il loro incontro con Francesco, il papa venuto da così lontano anche per stare con loro. 

Nel mio sogno l’iniziativa di invitare lunedì al Tayyeb a Roma per questa grande pregherà islamica a Roma che ho sognato svolgersi lunedì è stata accolta non solo dal presidente Mattarella, ma anche dalla seconda e terza carica del nostro Stato, così interessati alla fede e ovviamente dal governo, un governo laico ms che so ance dalle loro affermazioni attento alla fede, al cattolicesimo che ispira tanta parte della cultura italiana. 

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Personalmente non apprezzo molto l’idea di reciprocità, cioè quel criterio per cui io faccio una cosa se la fai anche tu. Non credo che si debba essere generosi o magnanimi o illuminati se anche gli altri lo sono. Ma certo la reciprocità aiuta a essere  fraterni, non c’è dubbio che sia così. E così, mentre sognavo, mi trovavo ad apprezzare anche questa reciprocità, che in ore così difficili per i nostri rapporti umani tra stanziali e migranti, tra abbienti e non abbienti, tra credenti e non credenti, tra credenti e diversamente credenti, tra progressisti e conservatori, tra poveri e impoveriti, mi aiutava enormemente a non guardare in cagnesco la realtà nella quale vivo con tanti problemi, ma a credere che insieme ai miei simili, tutti diversi da me ma comunque non certo nemici, anche io ce la farò, magari anche grazie a loro. Che bello è stato pensare di andare allo stadio solo per osservare la mia città, i miei viali, regalare il sogno di abbracciare nella preghiera un leader religioso della loro fede venuto in Italia per pregare con loro. 

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