Gli occhi spiritati dei mondiali: la favola di Salvatore Schillaci, detto Totò
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Gli occhi spiritati dei mondiali: la favola di Salvatore Schillaci, detto Totò

Parla Salvatore Schillaci, il grande attaccante che è stato l'indimenticato eroe dei mondiali di calcio Italia '90.

Gli occhi spiritati dei mondiali: la favola di Salvatore Schillaci, detto Totò
Salvatore Schillaci
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7 Gennaio 2023 - 12.31


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Di Antonello Sette

“Noi abbiamo un giocatore che gioca al calcio meglio di Pelè…Totò, Totò Schillaci”…Dai cori della curva Sud del Celeste di Messina alla Juventus di casa Agnelli e, un anno dopo, i mondiali di Italia ’90, di cui fu l’immagifico eroe, con i suoi occhi spiritati, simbolo indelebile delle notti magiche cantate da Gianna Nannini. Salvatore Schillaci, detto Totò, più di duecento gol sparsi per il mondo, a distanza di oltre trenta anni ancora non si capacita della sua epopea.

“Non me l’aspettavo neppure io”, racconta Schillaci al Foglio. “Il calcio era la mia passione sin da bambino. Non sapevo fare altro che tirare calci a un pallone e avevo la testa ingombra di sogni. Da grande volevo giocare nella Juve, di cui ero diventato tifoso sin dai primi vagiti. L’exploit di Italia ‘90 è stato una sorpresa anche per me. Neppure chiudendo gli occhi, lo avrei potuto immaginare. Ho colto l’attimo del mio momento magico e sono salito sul treno che trasporta i sogni. Quel treno passa una sola volta nella vita. Bisogna farsi trovare pronti e avere anche un po’ di fortuna. Il grande merito, che mi riconosco, è di aver giocato, sin dall’inizio della mia avventura, tutte le partite, come se ognuna fosse quella della vita. Lottavo, segnavo, lottavo, senza un attimo di tregua. Poi ci sono gli anni speciali, come quello, dove ogni cosa che tocchi si trasforma in oro”.

La sua storia assomiglia al sogno fatto in Sicilia da Candido Munafò, che come lei voleva andare a Torino, raccontato dalla penna magica di Leonardo Sciascia. Partendo, nel suo caso specifico, dal Celeste di Messina per arrivare dritto e spedito alla corte dorata degli Agnelli…

“Io non dimentico. Senza Messina e il Messina non sarei mai arrivato a Torino e non ci sarebbero state le notti magiche con il cuore in gola di Italia ’90. Sono arrivato lì da Palermo, quando avevo diciassette anni. Messina era nel mio destino. Mi ha adottato ed è stata il mio trampolino di lancio. Sono stati sette anni straordinari. A Messina ho lasciato dei ricordi che conserverò dentro di me per tutta la vita”.

Quel Messina era allenato dal professor Franco Scoglio…

“È stato un padre per me. Ha capito le mie caratteristiche e in campo mi faceva fare quello che volevo. Con lui sono migliorato tecnicamente e fisicamente. Quando parlava di me, si avvertiva tutto l’affetto che nutriva nei miei confronti. Gli devo tantissimo”.

Che ricordi ha dell’Avvocato?

“Il primo incontro con Gianni Agnelli e Giampiero Boniperti lo ricordo come una cosa meravigliosa. Venivo da Messina ed ero, improvvisamente, al cospetto del gotha del calcio. Ero emozionato, come uno scolaretto nel primo giorno di scuola e facevo fatica a pronunciare anche una sola parola. Boniperti mi disse: “Finalmente ti abbiamo preso”. Aggiunsero che amavano la mia terra  ed erano felici che la maglia bianconera fosse indossata da un siciliano.   Mi sembrava davvero di sognare. Mi avevano fortissimamente voluto nella squadra, di cui ero sempre stato tifoso. L’Avvocato era un grande conoscitore di calcio. Ci chiamava di prima mattina, ogni volta che c’era una partita e si informava delle condizioni fisiche e psicologiche di ciascuno di noi. Roba d’altri tempi. Roba unica”.

Torniamo a Italia ’90. Che ricordi ha di quella maledetta notte del 3 luglio, quando fummo eliminati dall’Argentina di Maradona ai rigori. Credo sia tutt’ora il più grande rammarico dell’Italia tifosa, anche perché quella squadra, Totò Schillaci a parte, poteva contare su campioni del calibro di Roberto Baggio, Gianluca Vialli, Franco Baresi, Paolo Maldini, Carlo Ancellotti, Beppe Bergomi, Giuseppe Giannini, Ciro Ferrara, Giancarlo Marocchi, Pietro Vierchwod, Roberto Donadoni, Walter Zenga, Stefano Tacconi…

Io credo che quella sia stata una delle nazionali più forti di sempre. Avevamo tutte le carte in regola per vincere i mondiali. Abbiamo perso solo per un episodio. Da allora, tutte le volte che vedo ai mondiali una squadra alzare la Coppa, Italia compresa, ripenso a quello che poteva essere e non è stato. Avevamo uno squadrone e dovevamo vincere noi. A volte essere i più forti non basta. Eravamo anche passati in vantaggio con un mio gol. Abbiamo perso solo per un episodio”.

Quando parla dell’episodio che vi ha fatto perdere, allude alla lotteria dei rigori? 

“Prima dei rigori, c’era stata l’uscita a vuoto di Zenga che aveva consentito a Caniggia di pareggiare”.

Quella, peraltro, era stata una semifinale anomala,  con buona parte del pubblico di Napoli che non tifava per l’Italia, ma per l’Argentina…

“Sapevamo a quello che andavamo incontro giocando a Napoli contro l’Argentina di Maradona, ma non ci siamo fatti condizionare. Eravamo determinati e tranquilli. Avevamo in pugno la partita, potevamo andare in finale e alzare la Coppa, ma purtroppo è andata come è andata”.

Lei stato uno dei primi calciatori italiani che sono andati a giocare all’estero e il pioniere della nuova frontiera calcistica del Giappone, dove era un idolo ed è diventato forse più famoso che in Italia, segnando 65 gol in due campionati con la maglia dello Jubilo Iwata…

“A giocare all’estero non era ancora andato nessuno. Sono stato il primo a fare questa esperienza e avevo solo 30 anni. Sono stati, senza retorica, anni bellissimi. Il calcio in Giappone stava già crescendo, ma non era arrivato ai livelli di oggi. Dei giapponesi mi sono rimasti impressi la passione composta, la gentilezza, il rispetto che hanno per gli altri, la puntualità e il sushi, che allora in Italia non era ancora di moda”.

Anche gli ultimi mondiali sono stati decisi ai rigori. Che cosa si prova quando di sta per prendere la rincorsa, prima di tirarlo, sapendo di avere addosso gli occhi e l’ansia di un Paese intero e magari di una parte del mondo?

“La paura è tanta, è inutile negarlo. E’ una responsabilità che ti assumi per i compagni, l’allenatore, lo staff. Non puoi non pensare al peso sportivamente catastrofico che avrebbe il tuo eventuale errore, con la tua squadra che esce, il pubblico deluso e le critiche che ti pioveranno contro”.

Le piace il calcio di oggi?

“E’ un calcio veloce e molto tattico. Si gioca tanto. Non ci sono più ruoli e anche gli attaccanti non fanno gli attaccanti e basta, ma hanno molta più libertà di movimento”.

Non sei, quindi, come tutti gli altri tuoi coevi, che dicono che il calcio ai loro tempi non solo era tutta un’altra cosa, ma anche più bello?

“Oggi il calcio è in televisione ogni giorno e a ogni ora. Sono cambiati i contratti. I calciatori fanno anche i modelli. Sono cambiate non solo la tattica, ma anche la collocazione delle pedine nello scacchiere.  È cambiato tutto, ma è sempre un bel vedere”.

E’ cambiato anche il rapporto dei calciatori con i tifosi?

“Sì, ora è diverso. I calciatori sono quasi irraggiungibili. A miei tempi ci obbligavano ad andare la sera nei club dei tifosi ed eravamo sempre in mezzo a loro”.

C’è un giocatore in cui si rivede?

Fare paragoni non mi è mai piaciuto, ma, se devo fare dei nomi, dico Ciro Immobile e Giacomo Raspadori. Mi sono sempre piaciuti i giocatori veloci”.

Quale è oggi la sua vita?

“Ho aperto a Palermo un centro sportivo, frequentato da tanti ragazzi che sognano di diventare Totò Schillaci, e faccio il testimonial in giro per l’Italia”.

Porta in giro i suoi occhi spiritati?

“Quelli rimangono una peculiarità esclusiva dei mondiali del ‘90. Prima e dopo, sono sempre stati normali”.

Di chi è rimasto più di tutti amico?

“Ho una chat con i giocatori della Juventus, in cui condividiamo sia i momenti belli, sia quelli bui. Mi sento ancora con tanti della nazionale di allora, ma, se devo fare il nome del più amico di tutti, dico Tacconi”.

Quale è l’attimo o il gol che non potrà mai dimenticare e che magari sogna ancora di notte?

“Se parliamo di sogni, quello più ricorrente è, in realtà, un incubo, di cui evidentemente non mi sono mai liberato. Sogno i rigori sbagliati contro l’Argentina. Non ci crederà, ma io quei maledetti rigori li sogno di notte, ma non li ho mai rivisti di giorno, né in televisione, né sul web. Mi metterebbero troppa tristezza. Il mio gol indimenticabile? Quello negli ottavi di finale contro l’Uraguay è stato bellissimo”.

Vado a memoria. Il subentrato Serena si improvvisa assistman e le serve un pallone al bacio. Lei si coordina e con il sinistro di prepotenza buca la rete…

“Mi vengono ancora i brividi. I brividi di una notte magica, vissuta con il cuore in gola. Eravamo i più forti, ma non sempre i più forti vincono. Nel calcio, come nella vita”.

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