Magistratura, la separazione delle carriere, Garlasco e la propaganda
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Magistratura, la separazione delle carriere, Garlasco e la propaganda

Stando a quanto detto dalla premier Giorgia Meloni al comizio finale di Atreju, l’affaire Garlasco non si ripeterà una volta entrata in vigore la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati. 

Magistratura, la separazione delle carriere, Garlasco e la propaganda
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18 Dicembre 2025 - 18.03


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Stando a quanto detto dalla premier Giorgia Meloni al comizio finale di Atreju, l’affaire Garlasco non si ripeterà una volta entrata in vigore la riforma costituzionale sulla separazione delle carriere dei magistrati. 

La realtà che sta oltre la propaganda è esattamente il contrario. 

In effetti, la vicenda di Garlasco dovrebbe essere invocata da chi sostiene il fronte del “no” al referendum, perché testimonia che i pubblici ministeri sono talmente liberi da sollevare dubbi e perfino indagare sull’operato dei loro colleghi – che siano pm o giudici – qualora ritengano di averne motivo.

Il procuratore della repubblica di Pavia Fabio Napoleone, infatti, ha riaperto le indagini sull’omicidio di Chiara Poggi, nonostante siano passati oramai dieci anni dalla condanna definitiva di Alberto Stasi, evidentemente non condividendo le valutazioni dei giudici della Corte d’appello bis e poi di quelli di Cassazione. In aggiunta, c’è l’indagine aperta dalla procura di Brescia a carico dell’ex procuratore aggiunto di Pavia, Mario Venditti, per corruzione in atti giudiziari, in relazione all’archiviazione della posizione di Andrea Sempio, indagato nel 2017 (in occasione della prima riapertura del caso di Garalsco). 

A questi due filoni principali, si aggiunge poi un terzo filone di indagini che ha lo scopo di portare alla luce presunte “relazioni opache” tra magistrati, imprenditori e rappresentanti delle forze dell’ordine, finalizzate a condizionare l’iter di fascicoli giudiziari, la distribuzione di incarichi e la gestione di fondi pubblici.

Insomma, il caso Garlasco è esattamente il simbolo dell’indipendenza della magistratura che, pur condividendo la carriera, è in grado di mettersi in discussione, rivalutando sentenze passate in giudicato e addirittura indagando se stessa.

Peraltro, sarebbe necessario chiedere alla presidente del consiglio cosa sarebbe cambiato nell’intera vicenda, se le carriere dei magistrati fossero state separate. 

Un domani, eventuali pubblici ministeri corruttibili non cederanno alla corruzione perché avranno una carriera separata dai giudici? Oppure i giudici non commetteranno più eventuali errori giudiziari perché avranno una carriera separata dai pm?

In aggiunta, la presidente Meloni dovrebbe mettersi d’accordo col ministro della giustizia Carlo Nordio sul modo di strumentalizzare Garlasco, dal momento che lo hanno fatto entrambi, ma in modo inconciliabile. Nordio, infatti, ha avuto modo di commentare la vicenda con un laconico “bisognerebbe avere il coraggio di arrendersi” che ha lasciato un po’ tutti a bocca aperta. 

Che il ministro della giustizia esorti alla rassegnazione di fronte alla possibilità di avere giustizia in un caso di omicidio, connesso con più di un caso di corruzione, è sembrato paradossale ai più. 

In un paese democratico, in effetti, il ministro non dovrebbe contemplare la possibilità che possa esserci un innocente in carcere, che il o i colpevoli siano a piede libero, e che rimanga impunito un sistema di corruttela diffuso fra procure e forze dell’ordine. Né tantomeno dovrebbe auspicare che la magistratura occulti i propri eventuali errori (o peggio, crimini) in nome della solidarietà di categoria. 

Del resto, la separazione delle carriere non viene decantata dalla destra proprio come l’antidoto necessario alle connivenze indebite fra giudici e pubblici ministeri?

In questo spirito, Nordio avrebbe dovuto congratularsi con la procura di Pavia e con quella di Brescia per l’indipendenza dimostrata, nonostante la condivisione delle carriere. 

Insomma, la propaganda sul caso di Garlasco rischia di funzionare a intermittenza, se lo si prende a esempio di una vergogna da evitare separando le carriere dei magistrati, e allo stesso tempo come una vicenda che converrebbe mettere a tacere rassegnandosi. 

O l’una, o l’altra. 

Ci vorrebbe qualcuno che ponesse queste domande a chi invocasse nuovamente il “sì” al referendum costituzionale come modo per scongiurare nuovi Garlasco. 

Ma qui entra in gioco la libera informazione, ed è tutto un altro discorso.

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