Più moderato o più chimerato a sinistra? Il dibattito sulla necessità o meno di un cambio del nome del Pd anima l’attesa in vista, il prossimo 26 febbraio, delle primarie del Partito e dell’elezione del nuovo segretario nazionale.
«Ha ragione Elly Schlein a dire che non è la cosa più importante se non mutano facce e metodo. Oggi il Pd deve scegliere una linea e deve perseguirla. Punto questo su cui sono d’accordo tutti».
Così Renato Mannheimer che precisa: «Un cambio del nome ha senz’altro un impatto. Pertanto avrebbe una sua importanza, ma se accompagnato anche ad un cambio dei contenuti e delle modalità di comunicazione. Servirebbe infatti a sottolineare il cambio di rotta e a trasformarlo in evento».
Quale cambio di contenuti e direzione è il più auspicabile, guardando ai consensi, per il Partito democratico? «Mi pare che il Pd sia diviso nella discussione su cosa essere: ritorno al passato, o identità laburista – riformista – risponde il sondaggista – Qualsiasi decisione potrebbe portar via voti. Ma i voti attuali sono maggioritari per chi auspicherebbe un posizionamento a `sinistra´ del partito. Oggi elettori e iscritti sono infatti più di `sinistra´. E tra l’altro c’è la concorrenza del Movimento 5 stelle che glieli porterebbe portar via se mantenessero una linea più moderata, che io auspico personalmente ma che fa perdere più voti».
La perdita in caso di scelta più moderata è quantificabile? «Diciamo che c’è un rischio di perdere un quarto, un terzo di voti, recuperabili dall’altro lato anche se lì ci sono Calenda e Renzi che sono più chiaramente identificabili nel centro e nel centro sinistra», conclude.