Referendum, perché per la prima volta in vita mia non andrò a votare
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Referendum, perché per la prima volta in vita mia non andrò a votare

Non esercito quello che ritengo un dovere civico, non sfrutto uno strumento importante di democrazia diretta, è vero, ma non voglio essere più complice dei manipolatori dei referendum aiutandoli a raggiungere il quorum. 

Referendum, perché per la prima volta in vita mia non andrò a votare
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Claudio Visani Modifica articolo

8 Giugno 2022 - 16.50


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Sapete una cosa? Mi sono rotto. Di questo svilimento della democrazia. Dell’uso improprio e distorto dei referendum. Dei loro quesiti burocratici e incomprensibili. Di dover votare sì per dire no a leggi che mi sembrano ingiuste. O di dovermi pronunciare su materie riservate agli addetti ai lavori di cui non ne so mezza. 

Qualcuno mi dirà, allora informati. Ma  perché mai dovrei studiare per formarmi un’idea e votare sulla “partecipazione degli avvocati dei Consigli giudiziari alla formulazione dei pareri sulle pagelle professionali dei magistrati”? Oppure sul numero   di firme che servono “per la presentazione delle candidature dei magistrati per l’elezione al Consiglio Superiore della magistratura”. 

Io un sì grande come una casa lo vorrei pronunciare: il sì a una vera riforma della giustizia. Una giustizia malata che da almeno trent’anni si è fatta politica, che non è “uguale per tutti” come c’è scritto nelle aule dei tribunali, che finisce quasi sempre per perseguire i poveri cristi e per assolvere i ricchi e potenti, che – come è accaduto anche a me – ci mette dodici anni per arrivare in fondo a una causa di lavoro. 

Ma i cinque referendum sulla giustizia promossi dalla Lega e dai Radicali su cui dovremmo esprimerci domenica 12 giugno c’entrano poco o niente con quella riforma, con quel “sì”. Chi sostiene che con le modifiche proposte dagli arzigogolati quesiti referendari si realizzerebbe la riforma della giustizia, dice una balla grande come una casa. Tanto più che tre dei cinque referendum stanno per essere sostanzialmente vanificati dalla pessima riforma Cartabia e del “governo dei migliori” che il Parlamento si appresta ad approvare. Mentre quelli sulla incandidabilità dei politici condannati (legge Severino) e sulla limitazione della carcerazione preventiva, più che volti a combattere gli abusi e le ingiustizie mi sembrano altre “passaporte” verso l’impunità di corrotti, corruttori e criminali di cui non si sente proprio il bisogno.

Per cui sapete cosa vi dico? Io domenica, per la prima volta nella mia vita, a votare non ci vado. Rinuncio a un diritto, non esercito quello che ritengo un dovere civico, non sfrutto uno strumento importante di democrazia diretta, è vero, ma non voglio essere più complice dei manipolatori dei referendum aiutandoli a raggiungere il quorum. 

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