Lo Scottish National Party trionfa e ora la Scozia sente profumo di indipendenza
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Lo Scottish National Party trionfa e ora la Scozia sente profumo di indipendenza

Il partito di Nicola Sturgeon ha conquistato 64 seggi (la metà esatta) con un numero di preferenze senza precedenti

Nicola Sturgeon, first minister scozzese
Nicola Sturgeon, first minister scozzese
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9 Maggio 2021 - 09.50


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Gli scozzesi vogliono restare nell’Unione europea ma non nel Regno Unito. Anzi, dopo la Brexit il loro sentimento indipendentista è addirittura cresciuto.

Lo Scottish National Party è rimasto a un passo dalla maggioranza assoluta, ma le elezioni scozzesi hanno rilanciato la questione del referendum di indipendenza dopo che il partito di Nicola Sturgeon ha conquistato 64 seggi (la metà esatta) con un numero di preferenze senza precedenti in un voto dall’affluenza record (il 63%, sette punti in più rispetto al 2016).

Il tutto malgrado un sistema elettorale che rende difficile raggiungere una maggioranza assoluta (viene calcolato un voto di scarto su cinque “regioni” che valgono una sessantina di seggi, e che premiano chi arriva secondo nelle varie circoscrizioni) e malgrado il ricorso al “voto utile” da parte degli unionisti.

rappresentanti dell’Snp inoltre vanno aggiunti otto deputati Verdi, che hanno esplicitamente nel loro programma un referendum di indipendenza: anche per questo motivo Sturgeon si sente legittimata ad avviare una battaglia legale e politica con Londra, quando riterrà opportuno farlo – non prima della fine della pandemia e presumibilmente quando i sondaggi saranno favorevoli.

La maggioranza dei seggi infatti non si traduce automaticamente in maggioranza dei voti (il sistema è in gran parte maggioritario puro, “fist past the post”, in cui comunque, l’Snp sta sopra il 47%) e Sturgeon ha messo in chiaro che la battaglia per il referendum non sarà immediata nella tempistica: “È la volontà del Paese: non esiste alcuna giustificazione democratica perché Boris Johnson o chiunque altro cerchi di bloccare il diritto del popolo scozzese di scegliere il proprio futuro”.

“Se i Tories cercassero di darlo, dimostrerebbero in modo incontrovertibile che il Regno Unito non è una partnership fra eguali e che – incredibilmente – Westminster non considera più il Regno Unito come un’unione volontaria di nazioni: ciò sarebbe di per sé un argomento potentissimo a favore dell’indipendenza”, ha concluso la First Minister nel suo discorso dopo la vittoria elettorale.

Johnson da parte sua – e dopo le bellicose dichiarazioni della vigilia sulla impossibilità di un referendum “divisivo” – ha adottato un tono più prudente, in una lettera in cui invita tutti i leader dei governi regionali ad un vertice sul dopo-epidemia e ricorda come “gli interessi dei cittadini del Regno Unito e in particolare della Scozia sino meglio protetto quando lavoriamo insieme, come dimostra la campagna vaccinale”.

Eppure Johnson aveva di che essere soddisfatto dal “supergiovedì” elettorale: dopo la netta vittoria alle supplettive di Hartlepool (un feudo laburista da sessant’anni) le elezioni locali inglesi hanno visto una netta affermazione da parte dei Tories e un cattivo risultato laburista che rischia di mettere fine alla leadership di Keir Starmer: una proiezione su livello nazionale dà i Tories con circa otto punti di vantaggio sul Labour, in accordo con i sondaggi.

Per i laburisti – che senza i voti scozzesi oggi patrimonio dell’Snp hanno scarse speranza a livello nazionale di superare un Partito conservatore che in Inghilterra rimane pressoché egemone – le buone notizie arrivano dal Galles, in cui hanno conquistato la metà esatta dei seggi, migliorando il risultato precedente – e soprattutto dalle municipali, in primo luogo Londra dove il sindaco uscente Sadiq Khan è stato riconfermato sia pure con uno scarto minore del previsto, complice anche la bassa affluenza; ma il Labour si è aggiudicato anche Liverpool e i super-sindaci delle miniregioni di Greater Manchester e Greater Liverpool, lasciando per ai Tories due municipi sui dodici in lizza.

 

 

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