Dl lavoro, arriva l'ok del Senato
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Dl lavoro, arriva l'ok del Senato

Il Jobs act adesso deve tornare alla Camera. Il governo incassa la fiducia con 158 sì. I grillini protestano in aula.

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7 Maggio 2014 - 17.05


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Il Senato ha votato la fiducia posta dal governo sul decreto legge Lavoro. A Palazzo Madama i sì sono stati 158 mentre i no 122. Nessuno astenuto. Il testo torna ora alla Camera in terza lettura. Nel corso delle dichiarazioni di voto in Aula c’era stata bagarre a causa della protesta del Movimento 5 Stelle.

M5s occupano il Senato – Bagarre in aula prima delle votazioni. I 5 stelle protestano con un vero e proprio show. Nel corso delle dichiarazioni di voto i senatori pentastellati hanno indossato magliette con la scritta “schiavi mai” occupando i banchi. “Oggi – dice la senatrice M5s Nunzia Catalfo – non ci muoviamo e ci dovrete portare via con la forza”.

“Ho visto che avete ritrovato le chiavi”, ha commentato il presidente dell’Assemblea di Palazzo Madama, Roberto Calderoli, facendo riferimento ai grillini che si erano incatenati in Aula. Dopo la protesta infatti sono riprese regolarmente le dichiarazioni di voto sulla fiducia al decreto legge con Forza Italia.

La provocazione di Crimi – “Queste manette sono il simbolo del dl lavoro, un provvedimento simbolo della schiavitù moderna che rende schiavi i lavoratori precari”. Lo dice il senatore M5s Vito Crimi in apertura della conferenza stampa alla Camera di presentazione delle proposte di riforma del Movimento, tra cui quella di riforma della legge elettorale, dove si è presentato con un paio di manette.

Renzi risponde alle accuse della Camusso – Matteo Renzi non ci sta ad incassare le accuse di Susanna Camusso di voler distorcere la democrazia, azzerando la concertazione, nè tanto meno di essere bollato come “apprendista stregone” sulle riforme. E nonostante al congresso della Cgil avesse scelto di inviare come pontiere Andrea Orlando, espressione della sinistra del governo, attacca a muso duro: “I sindacati devono capire che la musica è cambiata, non possono pensare di decidere o bloccare tutto loro. Se vogliono dare una mano bene ma noi non stiamo ad aspettarli”. Il premier sa benissimo che l’equidistanza del governo dalle parti sociali, si chiami Cgil o Confindustria, rompe tabù e antichissimi equilibri. Ma la linea di Renzi non cambia, a costo di arrivare a scontri frontali: va bene confrontarci e sentire il parere di tutti, come la consultazione avviata sulla riforma della pubblica amministrazione, ma “non possiamo più trascinarci come in passato in riunioni fumose che si chiudono senza decisioni”.

Se la Cgil, spiega il premier, pensa a forza di “ultimatum e veti” di farci tornare indietro sbaglia. Scelte e scadenze sono il pallino del leader Pd, come dimostra l'”avanti tutta” sul voto in commissione Affari Istituzionali in Senato al testo base del governo sul Senato delle Autonomie, impartito ieri al ministro Maria Elena Boschi e al vicesegretario Lorenzo Guerini. Palazzo Chigi nega che il governo sarebbe arrivato a minacciare le dimissioni in caso di mancato via libera ma, a quanto si apprende, la tensione è stata alta, e la trattativa estenuante nella maggioranza, sia con Mario Mauro dei Popolari per l’Italia sia con Ncd. E’ per questo che il pasdaran Roberto Giachetti, insiste, non solo nel panorama renziano, nel consigliare al premier di far saltare il tavolo e di andare al voto così da realizzare, con una vittoria netta, una maggioranza omogenea e coesa. Ma Renzi è ancora convinto di poter piegare le resistenze dei frenatori nella maggioranza. E, attraverso Luca Lotti, manda, a poche ore dal voto sul Senato, un avvertimento a Silvio Berlusconi: “Ero alla cena, vediamo se mantiene le promesse”.

Altro il discorso sul fronte delle relazioni sindacali: per il leader Pd le parti sociali, volenti o nolenti, si devono adeguare al metodo del governo. “Noi – rilancia la sfida – vogliamo cambiare l’Italia e tutti devono cambiare, anche i sindacati devono fare la loro parte partendo dalla riduzione del monte ore dei permessi e mettendo on line tutte le loro spese”. Il governo andrà avanti comunque, tira dritto Renzi che sospetta che gli attacchi della Camusso siano frutto “di problemi interni” e della concorrenza di Maurizio Landini. “Il fatto che attacchi il governo perchè fa il governo e decide, è triste per i militanti della Cgil”, affonda il premier, convinto che cittadini e lavoratori siano ormai stufi di vecchi riti anche sindacali.

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