Migranti, Salvini minaccia: a settembre un nuovo decreto sicurezza
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Migranti, Salvini minaccia: a settembre un nuovo decreto sicurezza

Più che un’anticipazione, è una minaccia. In totale continuità con la politica securitaria portata avanti fin dal primo giorno d’insediamento dal governo Meloni. 

Migranti, Salvini minaccia: a settembre un nuovo decreto sicurezza
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

26 Agosto 2023 - 19.15


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Più che un’anticipazione, è una minaccia. In totale continuità con la politica securitaria portata avanti fin dal primo giorno d’insediamento dal governo Meloni. 

Nel suo fare a gara a chi è più di destra, Matteo Salvini torna a spararla grossa. “Ritengo che sia necessario un nuovo decreto sicurezza già a settembre, perché l’Italia non può essere punto d’arrivo dei migranti di mezzo mondo”, dice  il vicepremier e ministro per le Infrastrutture e i Trasporti a Pinzolo. “Da ministro, per aver bloccato e quasi azzerato gli sbarchi, ho vinto diversi processi. E il 15 settembre sarò a processo a Palermo”, ha aggiunto Salvini, che ha chiesto un ruolo attivo dell’Europa.

“Dopo tante chiacchiere e chiacchiere, l’Europa deve svegliarsi, deve aiutarci, perché i confini italiani sono confini d’Europa. Lampedusa, Ventimiglia o Trieste non sono confini italiani: sono confini europei. Siccome l’Italia ogni anno manda miliardi di euro a Bruxelles, la difesa dei confini italiani deve essere una priorità europea. E ad oggi purtroppo non lo è stata, siamo sempre stati soli”.

«Sull’immigrazione, lo ricordiamo, le destre nazionaliste ne parlano a sproposito e adottano leggi ingiuste ed illegali, ma non si ricordano mai di salvare vite», rimarca la Segretaria del PD Elly Schlein intervenendo  al congresso del Ps svizzero.

Fallimento  annunciato

Lo resoconta efficacemente, per Today, Andrea Maggiolo: “Quasi tutti partono dalle coste tunisine. Il memorandum cui Giorgia Meloni ha lavorato a lungo con l’obiettivo di impegnare il presidente tunisino Kais Saied ad arginare le partenze dei migranti diretti in Italia non ha effetti pratici di alcun tipo. Oltre 400 persone sbarcate a Lampedusa dalla mezzanotte all’alba di oggi, 1.826 in 63 sbarchi ieri, tra soccorsi in mare e diversi arrivi autonomi. Sono numeri record quelli di queste ore, mai registrati in precedenza.

Molti viaggiano su fragili barchini in ferro. All’hotspot di contrada Imbriacola ci sono, sabato mattina, 4.121 persone (tra cui centinaia 

di minori non accompagnati)  e a causa della finestra di meteo favorevole con mare calmo, che durerà ancora qualche giorno, si prevedono sbarchi, fra oggi e domani, per almeno altri duemila migranti. La Prefettura di Agrigento ha già disposto l’imbarco di 740 migranti sul traghetto di linea Galaxy che giungerà in serata a Porto Empedocle. Non solo soccorsi in mare. Ci sono anche arrivi direttamente sulla terraferma: sei i gruppi che sono stati ritrovati e bloccati da guardia di finanza e carabinieri. Una motovedetta della Capitaneria è intervenuta nei pressi della scogliera di Cala Galera dove c’erano 47 persone, avevano lasciato alla deriva il natante.

Alla nave ong Ocean Viking, che ha a bordo centinaia persone soccorse in più operazioni, il Viminale ha assegnato il porto di sbarco di Genova, dall’altra parte d’Italia. Una piccola parte di migranti sarà sbarcata a Vibo. Poi il lungo viaggio verso nord. Ma c’è allerta meteo domenica lungo la costa tirrenica, come evidenziato per primo da Sergio Scandura di Radio Radicale. Perturbazione che Ocean Viking rischia di centrare “in pieno”. Una di quelle che le organizzazioni umanitarie hanno definito “rotte vessatorie”, accusando il governo italiano di voler principalmente tenere lontane le navi ong dalla rotta del Mediterraneo centrale, nonostante da settimane sia stata la Guardia costiera stessa a chiedere il supporto e a organizzare i soccorsi di varie imbarcazioni “civili”. Un cortocircuito ormai evidente. Sono le leggi internazionali a prevedere che i naufraghi vadano assicurati nel “luogo sicuro” più vicino. Tocca ribadirlo. Non porto ma “luogo” di garanzie per diritti e convenzioni. Tradotto: in questi casi, dovrebbero essere le coste siciliane o calabresi.

Secondo il diritto internazionale, un luogo sicuro per sbarcare dovrebbe essere assegnato “con la minima deviazione dal viaggio della nave” e dovrebbe essere fatto ogni sforzo “per ridurre al minimo il tempo delle persone soccorse a bordo della nave che presta assistenza”, vale a dire il prima possibile. Le ong non decidono di “portare” ma decidono di “salvare” persone in mare in fuga dagli “orrori inimmaginabili della Libia” (definizione dell’Onu). Salvarli è un dovere oltre che un obbligo, lo dimostra il fatto che la stragrande maggioranza dei salvataggi viene effettuata dalla guardia costiera italiana nel Mar Ionio e al largo di Lampedusa. Il ministro dell’Interno Piantedosi ritiene probabilmente che la nave umanitaria stessa sia un Place of Safety (POS, porto sicuro). Ma sembra una posizione fragile, perché per le convenzioni internazionali, POS è il luogo a terra più agevole da raggiungere ove si conclude il soccorso e lo sbarco va assicurato al più presto dallo Stato di quel luogo. Il tema è evidentemente politico.

I costi dei soccorsi sono giganteschi anche per navi come Geo Barents e la Ocean Viking, che sono espressione di ong strutturate come Medici senza frontiere e Sos Mediterranée. I costi stellari del carburante necessario per coprire tratte così lunghe hanno di fatto già costretto molte navi di organizzazioni con meno fondi a fermarsi. La nave Aurora della ong Sea Watch, che nei giorni scorsi anziché dirigersi a Trapani, che era stato indicato come porto sicuro, ha attraccato a Lampedusa dove ha fatto sbarcare 72 migranti, è stata sottoposta a fermo amministrativo per 20 giorni. Il decreto varato dall’esecutivo Meloni delinea un vero proprio “codice di condotta” per le navi: stop al trasbordo dei naufraghi (cioè quando una nave più piccola compie un soccorso e poi trasferisce su una nave più grande i naufraghi per continuare a operare altri soccorsi) e ostacoli, nei fatti, ai soccorsi multipli (a meno che non siano richiesti dalle autorità della zona Sar). C’è l’obbligo di chiedere il porto di sbarco all’Italia immediatamente dopo aver effettuato il primo salvataggio.

La collaborazione fra stato e ong di fatto è però indispensabile per soccorrere barchini alla deriva in mare, ma viene sottaciuta e praticamente non commentata dalla maggioranza, in evidente imbarazzo sul tema. In un caso addirittura qualche tempo fa la Guardia costiera di Lampedusa ha finito il carburante per le sue motovedette e la Capitaneria di porto si è vista costretta a derogare al decreto Piantedosi, chiedendo alle navi della flotta umanitaria di aiutarla compiendo più salvataggi (episodio surreale raccontato a inizio agosto dal quotidiano Il Foglio). Ricette facili per affrontare un fenomeno epocale come quello migratorio non esistono, e questi mesi estivi lo stanno mettendo in chiaro per l’ennesima volta.

“Quasi 10 ore di operazioni senza sosta – fanno sapere da Ocean Viking, nave di Sos Mediteranee – il team della Ocean Viking ha assistito diverse imbarcazioni e ha evacuato i sopravvissuti in coordinamento con la Guardia Costiera italiana tra Lampedusa e la Tunisia fin dalle prime ore del mattino”. La nave è “attualmente in navigazione verso Genova, il porto lontano assegnato dalle autorità italiane per lo sbarco dei superstiti”.

Da gennaio 2mila morti nel Mediterraneo centrale

Intanto sulla rotta Tunisia-Lampedusa i barchini continuano a viaggiare: da Sfax, con mare calmo, basta poco più di una manciata di ore di navigazione. Con tutti i rischi del caso, perché i barchini di ferro iniziano spesso a imbarcare acqua ai primi segnali di peggioramento delle condizioni meteo, diventando più instabili che mai. In base ai dati dell’Oim (l’organizzazione Internazionale per le migrazioni), da gennaio a luglio sono scomparse nel Mediterraneo più di duemila persone, la maggior parte proprio lungo la rotta del Mediterraneo centrale. La rotta migratoria più mortale del mondo.

“Occorre un impegno, finalmente concreto e costante, dell’Unione europea” per sostenere i “Paesi di origine dei flussi migratori”. Lo ha detto il presidente della Repubblica, Sergio Mattarella, parlando dal palco del Meeting di Comunione e Liberazione, a Rimini. “Una pace giusta, non può dimenticare il dramma dei profughi” ha aggiunto il capo dello Stato. “I fenomeni migratori, vanno affrontati per quel che sono: movimenti globali, che non vengono cancellati da muri o barriere”.

Il monito del Presidente

Un discorso che suona come un monito. Rivolto all’Ue, ma anche al parlamento italiano e alle forze che sostengono la maggioranza. “È necessario rendersi conto che soltanto ingressi regolari, sostenibili, ma in numero adeguatamente ampio, sono lo strumento per stroncare il crudele, traffico di esseri umani”. Così  il presidente della Repubblica al Meeting di Rimini di Cl.

Un discorso forte, impegnato, che unisce etica e politica, legalità e sicurezza.  Mattarella ha sottolineato che “la prospettiva, e la speranza di venire, senza costi e sofferenze disumane, indurrebbe ad attendere turni di autorizzazione legale”. “Inoltre – ha aggiunto -, ne verrebbe assicurato un inserimento lavorativo ordinato; rimuovendo la presenza nascosta, incontrollabile, di chi vaga senza casa, senza lavoro e senza speranza; o di chi vive ammassato in centri di raccolta, sovente mal tollerati dalle comunità locali”. Per questo, ha ammonito il presidente della Repubblica, sulle politiche migratorie “occorre percorrere strade diverse. Se non se ne avverte il senso di fraternità umana, per una miglior sicurezza”. 

Il ricordo del ragazzo annegato: “La pagella era il suo passaporto”

Nel suo discorso Mattarella ha ricordato la vicenda di un ragazzo che ha perso la vita in mare, una tragedia di cui conserva un’immagine: “Nello studio dell’appartamento dove vivo, al Quirinale, ho collocato un disegno, che raffigura un ragazzino di quattordici anni, annegato con centinaia di altre persone nel Mediterraneo. Recuperato il suo corpo, si è visto che, nella fodera della giacca, aveva cucita la sua pagella: come fosse il suo passaporto; la dimostrazione, che voleva venire in Europa per studiare”.  “Questo disegno – ha detto il capo dello Stato -, mi rammenta che, dietro numeri e percentuali delle migrazioni, che spesso elenchiamo, vi sono, innumerevoli, singole, persone, con la loro storia, i loro progetti, i loro sogni, il loro futuro. Il loro futuro: tante volte cancellato”.

Questo è parlar chiaro

“Ma di cosa parla Donzelli? Ci racconti piuttosto del blocco navale che hanno promesso in campagna elettorale, mentre gli arrivi sono quintuplicati. Oppure, se preferisce, può parlarci dei sindaci e dei presidenti di Regione, anche di centro-destra, che lamentano una gestione inesistente  che sta scaricando tutto su di loro senza dargli risorse e strumenti. O magari raccontare del perché si fa un decreto che impone alle Ong di dirigersi verso il porto sicuro assegnato, spesso assai lontano, ignorando ulteriori sos e poi si smentisce quello stesso provvedimento usando le stesse Ong per salvataggi coordinati dalle autorità italiane perché la Guardia costiera non ha nemmeno le risorse per il carburante”.

L’assessora alla protezione civile della regione Toscana, Monia Monni, replica così alle dichiarazioni rilasciate dal responsabile organizzazione FdI, Giovanni Donzelli, sulla questione dell’emergenza migranti.  

“Ci spieghi anche – continua Monni – che Paese è quello in cui si punisce chi ha salvato vite umane, perché questo è accaduto anche ieri al porto di Marina di Carrara. Se la Open Arms si fosse fermata al primo salvataggio, 170 persone sarebbero probabilmente morte. Ammiriamo, e giustamente, chi salva un bagnante dall’annegamento, ma puniamo chi di vite ne ha salvate 196. Evidentemente ci sono vite che valgono meno di altre, non so se questa valutazione dipenda dal colore della pelle o dalla capacità di produrre reddito, ma in un Paese civile una vita è una vita ed  abbiamo tutti il dovere di proteggerla”.
“Mentre aspettava la notifica del fermo amministrativo – ricorda inoltre l’assessora, che ieri ha seguito le operazioni di sbarco in banchina -, l’equipaggio della Open Arms ha fatto partire le note di Bella ciao e immagino che questo risulti ancora più urticante per Donzelli. Però io credo che quella canzone non avrebbe potuto trovare un luogo migliore dove risuonare, perché è l’inno di chi resiste alla barbarie e si schiera contro le ingiustizie. La Toscana – conclude Monni – resisterà accanto a loro. Intanto invece che provare a rimettere la palla nel campo del centro-sinistra, la destra potrebbe provare a governare, perché mi pare evidente che il tempo delle scuse e degli alibi è ampiamente scaduto.”

Senza sosta

Sono stati 63 gli sbarchi registratisi ieri, nell’arco di 24 ore, con un totale di 1.826 persone, a Lampedusa. Un record, per numero di soccorsi e per totale di migranti approdati, mai raggiunto prima sulla più grande delle isole Pelagie dove dalla mezzanotte ad adesso ci sono già stati altri 17 sbarchi con altre 519 persone. All’hotspot di contrada Imbriacola ci sono, adesso, quasi 4 mila ospiti (per l’esattezza 3.983), fra cui 243 minori non accompagnati. La Prefettura di Agrigento ha già disposto per metà mattinata l’imbarco di 740 migranti sul traghetto di linea Galaxy che giungerà in serata a Porto Empedocle. 

Non soltanto soccorsi nelle acque antistanti, o al largo, di Lampedusa. Ma anche arrivi direttamente sulla terraferma: 6 i gruppi di migranti che sono stati ritrovati e bloccati dai militari della tenenza della guardia di finanza e carabinieri. Ben 33 erano a Porto ‘Nonti dove non è stata ritrovata la carretta usata per la traversata, 42 e 8 sono giunti, con natanti di 7 e 5 metri, al molo commerciale, 44 sono stati bloccati a Cala Croce dove non è stata trovata la barca, 38 erano nei pressi del Santuario della Madonna dell’Aiuto e hanno riferito d’aver lasciato alla deriva il barchino. Una motovedetta della Capitaneria è invece intervenuta nei pressi della scogliera di Cala Galera dove c’erano 47 persone, anche loro avevano lasciato alla deriva il natante. Durante la notte c’è stato anche un trasbordo di guineani dalla nave ong Ocean Viking che ha effettuato il soccorso, sulla motovedetta Cp327 della Guardia costiera. Vanno avanti, intanto, non soltanto i pattugliamenti della costa lampedusana, ma anche i conteggi degli sbarcati: ieri, nell’arco di 34 ore, sono stati 65 (e non 63) gli approdi, con un totale di 1.918 migranti.

Si pensa a mezzi militari per sgombrare l’hotspot
Attualmente sono 4.121 le persone presenti nell’hotspot di Lampedusa e viste le favorevoli condizioni meteo, si prevedono sbarchi, fra oggi e domani, per almeno altri duemila migranti. Risultano essere insufficienti i trasferimenti che verranno fatti con i traghetti di linea per Porto Empedocle, la cui area di pre-identificazione, non riuscirebbe, anche per l’impossibilità di trovare un numero così alto di pullman necessari agli spostamenti, a sopportare l’enorme mole di nordafricani che sono a Lampedusa. Prefettura e questura di Agrigento si stanno mobilitando per fare in modo che vengano messi a disposizione di Lampedusa navi e aerei militari.

Maltrattamenti e abusi: il racconto dei migranti

Emma Conti di Mediterranean Hope Fcei , impegnata a Lampedusa, dice che “I migranti subsahariani raccontano degli abusi che hanno subito durante il periodo di permanenza in Tunisia prima di attraversare il Mediterraneo. Ci raccontano anche di essere stati maltrattati poco prima di lasciare il Paese. Molti di loro – aggiunge – ci hanno raccontato di essere stati portati nella zona desertica vicino al confine con la Libia e di essere stati lasciati lì senza acqua né cibo”.

E c’è chi blatera ancora di blocchi navali, di “Piani Mattei” e di memorandum salvifici con autocrati razzisti  (come il presidente tunisino Kais Saied) che a suon di miliardi, modello Erdogan, dovrebbero fare il lavoro sporco al posto nostro. Una vergognosa campagna elettorale permanente sulla pelle dei più indifesi.

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