Firenze e Milano: eppure il vento soffia ancora
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Firenze e Milano: eppure il vento soffia ancora

A Firenze, nella combattiva, colorata, partecipata manifestazione antifascista. A Milano, nella piazza che dice no, un no secco, deciso, motivato, un Governo securista che ha dichiarato guerra alle Ong

Firenze e Milano: eppure il vento soffia ancora
Manifestazione antifascista a Firenze
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

5 Marzo 2023 - 14.07


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Eppure il vento soffia ancora. A Firenze, nella combattiva, colorata, partecipata manifestazione antifascista. A Milano, nella piazza che dice no, un no secco, deciso, motivato, un Governo securista che ha dichiarato guerra alle Ong salvavita nel Mediterraneo e che liquida i migranti che muoiono in mare “carichi residuali”.

Eppure il vento soffia ancora

Si, il vento soffia. Ed è un vento giovane. Perché giovani erano in grande maggioranza i partecipanti, 50mila, nel corteo di Firenze. E giovani erano i manifestanti di Milano. Un vento “identitario”. Quello che chiede alla sinistra di tornare ad essere tale, nei valori che l’innervano e negli atti politici conseguenti. Un vento che rivendica il dovere all’indignazione e alla rivolta morale, ancorché politica, di fronte alla strage di Cutro e ai vergognosi scaricabarile sulle responsabilità. E’ il vento delle tante e dei tanti che non credono che quello in cui viviamo sia il mondo migliore e che non vi può essere pace senza giustizia.  E’ il vento della solidarietà praticata e non predicata, il vento dell’accoglienza, dell’inclusione, il vento che muove le navi Ong che salvano vite nel Mediterraneo e per questo criminalizzate dal Governo Meloni-Salvini-Piantedosi. E’ il vento della speranza. Della disobbedienza civile. 

Milano e la strage di Stato

A organizzare la manifestazione di sabato sono state le Ong Mediterranea Saving Humans, Medici senza frontiere, ResQ, Emergency volontari Milano, Iuventa Crew, Sea Watch e Open Arms.

Diversi gli striscioni a favore di una vera accoglienza dei migranti e contro le affermazioni con cui molti politici negli ultimi giorni hanno commentato il naufragio. Tra quelli esposti anche la scritta “la generazione meticcia e queer in lotta per il futuro” e uno contro il direttore editoriale di Libero, neo consigliere regionale di Fratelli d’Italia, Vittorio Feltri: “Partire non è un po’ morire, ma la speranza di sopravvivere. Feltri dimettiti”.

Emergency: “Il governo ha il potere di cambiare le cose”

“Sentivamo il bisogno, come Ong impegnate in mare, di manifestare in piazza il dissenso verso le politiche che ha questo governo nei confronti delle operazioni di salvataggio delle Ong”, dice il volontario di Emergency, Massimo Malari, spiegando che “il governo sta attuando una politica per cui svuota il Mediterraneo delle navi che fanno salvataggio con l’effetto di aumentare i disagi dei naufraghi, di aumentare le spese di gestione delle navi e soprattutto impedendo allontanando gli occhi che possono testimoniare cosa sta avvenendo”.

“I cittadini possono dare dei segnali simbolici, come stanno facendo le persone della Calabria che portano fiori o giocattoli sulle bare dei bambini. Ogni simbolo va bene. Il governo deve agire un po’ oltre i simboli, il governo ha il potere di cambiare le cose”, ha detto Cecilia Strada, figlia del fondatore di Emergency, Gino Strada, commentando l’ipotesi del prossimo cdm a Cutro, a margine della manifestazione milanese.  Secondo Strada, il governo ”deve lavorare sui decreti flussi, per permettere alle persone di entrare legalmente e deve impegnare ogni suo sforzo nella ricerca del soccorso in mare. Dal governo non mi aspetterei simboli, i fiori possiamo portarli tutti, il governo deve agire”. Quindi ha concluso: ”Mi viene difficile pensare che questo governo possa davvero aprire i canali di accesso sicuri e legali, visto che la campagna elettorale di questi partiti è da sempre basata sul ‘prima gli italiani, teniamo fuori gli stranieri”’. 

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Le cose come stanno

Di grande interesse è l’intervista di Simone Alliva pubblicata da l’Espresso, a Matteo Villa, ricercatore senior e co-leader del DataLab dell’Ispi.

Il governo cita con insistenza un paragrafo del rapporto annuale dei servizi segreti italiani dove si legge «l’aumento del soccorso in mare effettuato dalle navi Ong». Ma lei insiste dicendo l’accusa dei servizi segreti alle Ong di fare da “pull factor” non è suffragata da alcun dato. Può spiegarci perché ?
«Forse la cosa più interessante è che siamo stati vittime di un’illusione collettiva: in nessun punto della relazione dei servizi segreti si sostiene che le Ong sarebbero un “pull factor”. Le poche frasi contenute nella relazione sono state strumentalizzate da alcuni giornali di destra. E d’altronde i servizi non potrebbero permettersi di fare un’affermazione del genere: tutti i dati giornalieri che ho raccolto dal primo gennaio 2018 dimostrano che, quando le Ong arrivano in area SAR libica, non aumentano le partenze».

Il ministro Piantedosi insiste non “devono partire”. Può essere una soluzione?
«Può essere una soluzione per portare a zero il numero delle morti in mare, ma a quel punto porteremmo quasi a zero anche il numero delle persone protette in Italia. E ne condanneremmo molte altre a una vita infernale, per esempio nei centri di detenzione libici. Non ci sono significativi canali legali per entrare in Italia che siano rivolti alle persone che intraprendono rotte irregolari. Anche perché, vista la pericolosità di molte di queste rotte, se ci fossero è evidente che queste persone tenterebbero quella strada, e non questa».

A proposito di soluzioni possibili: i corridoi umanitari sono un’alternativa ai viaggi in mare?
«Per chi, una volta arrivato in Italia, avrebbe grandi probabilità di qualificarsi come rifugiato, i corridoi umanitari sono un’alternativa validissima. Siriani, afghani, iraniani, iracheni, eritrei: tutte queste nazionalità hanno tassi di protezione in Italia vicini o superiori al 90 per cento. Il problema è che i corridoi vengono spesso utilizzati più per pulirsi la coscienza che come valida alternativa. Tra il 2015 e oggi, con i corridoi sono entrate poco più di 5.000 persone. Nello stesso lasso di tempo sono sbarcate 700.000 persone, di cui circa la metà (350.000) ha ottenuto una protezione in Italia. Di cosa stiamo parlando?».

Tiriamo le somme: con il governo Meloni sono aumentati gli sbarchi o diminuiti?
«Dal 22 ottobre 2022 a fine febbraio 2023 gli sbarchi in Italia sono stati quasi 43.000, mentre nello stesso periodo dell’anno scorso ci eravamo fermati sotto quota 22.000. Praticamente un raddoppio, e oltretutto un trend che ancora non “vede” il raggiungimento di un naturale plateau, figurarsi una diminuzione. Tutto questo accade pur di fronte a un crollo dell’attività delle Ong, passata dal 20 al 7,5 per cento di salvataggi rispetto al totale degli sbarchi in Italia. A dimostrazione che non è l’attività delle navi Ong in mare a influire sul numero dei migranti che partono».

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Strage a Cutro: da cosa fuggivano i migranti?

Lo ricostruisce efficacemente Affari Italiani: “Da cosa fuggivano le decine di migranti, quasi tutti afghani, che hanno perso ka vita a pochi metri dalla costa di Crotone? Il governo di Kabul fa sapere di pregare per quei “martiri”, ma dietro la tragedia c’è l’aggravarsi di una situazione sociale, politica ed economica che rende la vita di milioni di afghani sempre meno sostenibile.   “Con grande tristezza abbiamo appreso che 80 rifugiati afghani, tra cui donne e bambini, che stavano viaggiando dalla Turchia verso l’Italia su una barca di legno, sono annegati nel mare del sud Italia”, ha affermato nei giorni scorsi il ministero talebano degli Esteri. “L’Emirato islamico dell’Afghanistan prega per il perdono dei martiri e per la sofferenza delle famiglie e dei parenti delle vittime, esortando ancora una volta tutti i cittadini a non recarsi all’estero attraverso l’immigrazione irregolare”, ha aggiunto.   Dopo il ritiro Usa dall’Afghanistan nel 2021, scrive AsiaNews, e la riconquista del Paese, le condizioni di vita della popolazione sono drammaticamente peggiorate.

Secondo quanto dichiarato in conferenza stampa da Ramiz Alakbarov, vice rappresentante speciale delle Nazioni Unite e coordinatore umanitario per l’Afghanistan, circa 700mila persone hanno perso il lavoro negli ultimi 18 mesi. Nello stesso periodo il prodotto interno lordo (Pil) è diminuito del 35%, mentre i costi dei beni alimentari sono aumentati del 30%. Sono almeno 28 milioni, tra cui oltre 15 milioni di bambini su una popolazione di meno di 42 milioni) le persone che dipendono dagli aiuti umanitari e “l’Afghanistan rimane la più grande crisi umanitaria del mondo nel 2023, nonostante, ovviamente, i recenti devastanti terremoti in Turchia e Siria”, ha affermato Alakbarov, aggiungendo che il 75% del reddito delle famiglie afghane viene speso per il cibo.    

Le agenzie Onu hanno dichiarato di avere bisogno di almeno 4,6 miliardi di dollari per far fronte alla situazione umanitaria. Si stima inoltre che nel 2023 serviranno almeno 18,3 milioni di dollari per lo sminamento e lo smaltimento degli ordigni esplosivi: dopo decenni di conflitti, l’Afghanistan è infatti uno dei Paesi con il più alto tasso di contaminazione da ordigni esplosivi al mondo, e si calcola che circa il 15% della popolazione abbia qualche forma di disabilità a causa delle mine, della povertà e della mancanza di accesso ai servizi di base.

Riguardo le restrizioni nei confronti delle donne, scrive ancora AsiaNews , non ci sono stati “sviluppi incoraggianti” sul piano dell’istruzione, ha continuato Alakbarov, aggiungendo che i talebani hanno fatto qualche eccezione alla partecipazione delle donne in alcuni settori, come quello sanitario.   Negli ultimi quattro mesi le autorità talebane hanno inoltre interferito nella distribuzione di aiuti alla popolazione: “La maggior parte dei problemi di accesso, e ciò che sta portando alla sospensione temporanea dei programmi umanitari negli ultimi tempi, è legata alle direttive contro le donne afghane che lavorano per le Ong nazionali e internazionali”, ha spiegato il vice rappresentate speciale. “Non è legato a questioni di sicurezza e continuiamo a godere di un buon accesso fisico in tutto il Paese”, ha aggiunto.

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Un cardinale coraggioso

Siamo “in un momento drammatico, perché è drammatico”, scandisce il cardinale Matteo Zuppi, presidente della Cei, intervenendo al seminario di promozione della campagna nazionale ‘070’ per chiedere al governo e al Parlamento di aumentare le risorse per la cooperazione internazionale allo sviluppo, in corso a Bologna.

“E’ un momento in cui facciamo morire i bambini in mezzo al mare”, ammonisce Zuppi. “In una visione deformata dal benessere, pensiamo che va tutto bene e andrà tutto bene, ci accorgiamo che non è vero”, prosegue l’arcivescovo di Bologna.

Ho letto in questi giorni che bisognerebbe aiutare le persone a restare” nei Paesi di provenienza. “Ma dove se non ha hanno più niente?”, chiede il presidente della Cei, Matteo Zuppi. “Aiutiamoli a restare dove possono restare, perché chi va via è perché non ha più casa, non ha più niente”, ricorda Zuppi, parlando al convegno “Si deve.

Si può”, per la promozione della campagna nazionale ‘070’ per chiedere al governo e al Parlamento di dare più rilevanza alla cooperazione allo sviluppo e raggiungere l’obiettivo fissato dalle Nazioni unite dello 0,70% annuo del reddito nazionale lordo in aiuti allo sviluppo.

“Quell’impegno fu preso per una consapevolezza. Quando quella consapevolezza si perde o viene piegata ad altri interessi, le cose si complicano”, rimarca Zuppi ricordando che “non c’è pace senza sviluppo”. Per il cardinale di Bologna il punto è restare fedeli agli impegni presi. “E’ semplice. L’impegno lo hai preso, portalo avanti. Non è elemosina, è pensarsi insieme. E il ruolo dell’Italia è davvero importante”, aggiunge.

Diritto alla fuga

“Capitalismo razziale. Questa è il sistema che tiene insieme i decreti flussi che l’estrema destra vuole rinnovare e le idiozie sulla sostituzione etnica. La criminalizzazione dei salvataggi in mare e le affermazioni sui migranti annegati a Cutro.

Qualche morto, alla spicciolata, è una «statistica», al più un evento legato alla sorte avversa, 70 o più, tutti insieme, sono una tragedia. Nella logica dello spettacolo, il caso eccezionale assolve la normalità del massacro a mezzo di legge. Si piange una volta e si evita di fare i conti con tutte le volte che altri migranti sono morti. I responsabili delle politiche delle frontiere dovranno fingere che qualcosa non vada nella strategia della persecuzione delle ong: bisogna «andare a prenderli». 100.000 o 500.000, con i decreti flussi e accordi bilaterali. Quanto serve al mercato del lavoro. Vanno comunque educati, specifica il ministro dell’Agricoltura Lollobrigida. Sia mai. […]. Odiare chi sta sotto serve anche a evitare di lottare insieme contro chi sta sopra. Il governo Meloni forse lo sa. E per questo rilancia la crociata anti-gender. Perché una classe intersezionale, che costruisca una coalizione a partire dalle differenze che la compongono, potrebbe metterlo in difficoltà. E perché il diritto alla fuga praticato dai migranti incrina la comunità immaginata e il nazionalismo marziale dei postfascisti”.

Sono alcuni passaggi di un incisivo articolo di Bruno Montesano su Il Manifesto. Il dovere all’indignazione. Il diritto alla fuga.

Eppure il vento soffia ancora.

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