Il cardinale Zuppi: "La politica e la società devono riconoscere il prestigio della maternità"
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Il cardinale Zuppi: "La politica e la società devono riconoscere il prestigio della maternità"

Lo scrive, in un editoriale pubblicato oggi sulla prima pagina di Avvenire, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinal Matteo Zuppi.

Il cardinale Zuppi: "La politica e la società devono riconoscere il prestigio della maternità"
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14 Agosto 2022 - 23.15


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La società civile, la politica e tutta la comunità cristiana debbono impegnarsi a riconoscere il prestigio della maternità e il valore che la natalità rappresenta per i nostri tempi e per il Paese di cui siamo cittadini e cittadine». Lo scrive, in un editoriale pubblicato oggi sulla prima pagina di Avvenire, il presidente della Conferenza Episcopale Italiana, cardinal Matteo Zuppi.

«L’Assunta è Vergine e Madre, senza pregiudizio di entrambe», sottolinea il porporato, «Il riscatto dall’attuale depressione escatologica della vita cristiana (e dell’umano che ci è comune) incomincia forse proprio da qui: da una madre che, proprio perché umile, ha saputo dire di sé: «grandi cose ha fatto in me l’Onnipotente». Il nostro Paese – il mondo – ha sempre più bisogno di grandi visioni e di uomini e donne umili che se ne lasciano appassionare e non hanno paura di donare la vita per trovarla».

«La cultura moderna ci ha resi gelosi della nostra libertà di vivere: e persino di morire», prosegue, «Ma siamo anche diventati molto rassegnati al corto respiro del nostro modo di godere la vita. Possiamo chiamarlo disincanto, per dare un tono molto adulto e molto razionale a questo pensiero».

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 Prosegue il ragionamento del cardinale: «Di fatto, da quando abbiamo abbassato il cielo dei nostri desideri restringendolo all’orizzonte del nostro io, anche la terra ci sembra più avara di vere soddisfazioni e di autentici entusiasmi. A ragione si parla di passioni tristi. Non sappiamo più stupirci del tanto che pure abbiamo e scoprire l’incanto che è ogni persona che nasconde il riflesso di Dio».

Non a caso «ci affanniamo giustamente ad aggiustare la società e l’habitat per tanti individui, ma non crediamo più nella comunità e nel mondo che dovrebbero ospitare la fraternità di cui abbiamo bisogno e alla quale apparteniamo. Dobbiamo chiederci se per caso non ci stiamo rassegnando a essere una sorta di colonia di insetti, certo, evoluti e ingegnosi. La società che stiamo costruendo rischia di avere paura della vita e diffidare della speranza. Scopriamo di avere politiche da amministrazione di condominio, aspettative di vita giovanilistiche, distanze umilianti e in crescita: fra ricchi e poveri, uomini e donne, vecchi e bambini, mediatici e anonimi, onesti e furbi. Nello spaesamento dell’incertezza, cresce il fascino della chiusura in spazi ristretti e orizzonti chiusi e angusti».

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«L’autoreferenzialità porta a ripiegarci su noi stessi e contagia le persone, i popoli e le culture, anche noi credenti: non di rado appariamo senza idee, senza parole, senza azioni che riaprano i cuori al senso della destinazione dell’esistenza nostra e del mondo», continua Zuppi.

«Come Maria troviamo forza facendo nostra la visione di Dio che si fa uomo per iniziare il suo Regno di amore, che sarà di tutto il popolo». «La donna comunica al corpo umano la sua sensibilità spirituale, fin dal concepimento, fin dalla gestazione. La donna che diventa madre non è una donna violata, consumata, di seconda scelta. La maternità deve apparire – ed essere trattata – come un valore aggiunto dell’autodeterminazione femminile, non come un uso e un abuso che le fa perdere valore», conclude.

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