Adesso "Barca Nostra" è tornata ad Augusta
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Adesso "Barca Nostra" è tornata ad Augusta

Il Relitto del naufragio avvenuto nel canale di Sicilia nell'aprile 2015, nel quale si ipotizza persero la vita circa 1000 persone era stato esposto in mostra a Venezia

Barca nostra torna ad Augusta
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Chiara D'Ambros Modifica articolo

20 Aprile 2021 - 15.40


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Tra follia di ritenerlo possibile e la logica di farlo diventare realtà, in quanto suo luogo naturale,

è arrivato questa mattina ad Augusta, il Relitto del naufragio avvenuto nel canale di Sicilia nell’aprile 2015, nel quale si ipotizza persero la vita circa 1000 persone, solo 28 i sopravvissuti.

Dopo essere stato recuperato dal mare nel 2016, per decisione dell’allora Governo Renzi, nel 2019 era stato portato a Venezia per la 58° Mostra Internazionale d’Arte intitolata “May You Live In Interesting Times” [“Che tu possa vivere in tempi interessanti”], per diventare il protagonista dell’istallazione Barca Nostra, dell’artista Christoph Büchel.

La difficoltà nel gestire questo relitto, come ha spiegato Maria Chiara Ditrapani, è stata enorme perché a più riprese è stato bloccato in limbi burocratici.

Nessun ministero ne rivendicava la proprietà dopo la cessazione delle indagini da parte della procura di Catania.

Per decreto i relitti devono essere demoliti ma nessuno osava – in quel momento è subentrato l’artista Christoph Büchel che ha proposto l’operazione “Barca Nostra”. 

Una volta finita l’istallazione si è ripresentato il problema.

Tutto si è mosso grazie alla tenacia della coordinatrice del progetto Barca Nostra, Chiara Ditrapani, al sindaco della città, alla volontà del comitato 18 Aprile, costituito da un gruppo di persone della cittadina siciliana che ha vissuto e vive quotidianamente il dramma degli sbarchi, e grazie al Ministero della difesa, in particolare nella figura del Colonnello Antonello Arabia. 

Il Ministero dei Beni Culturali interpellato non rispondeva.

I protagonisti dell’operazione si augurano che intervenga almeno ora che il relitto è stato riportato dove una volta recuperato, era iniziato il percorso di identificazione dei corpi ancora intrappolati al suo interno e che sostenga l’idea di far diventare la Barca il fulcro del Giardino della memoria, parte di un Museo diffuso dei diritti umani.

“Chi entra in porto ad Augusta lo deve vedere e deve chiedersi che cosa è successo” – dice Enzo Parisi, rappresentante del comitato 18 aprile. Nell’idea di Maria Chiara Ditrapani lo spazio artistico che si intente costituire per il Relitto dovrà interagire con la società civile, e dice nella mia idea: “Non è la gente che va al museo ma il museo alle persone”.

Come ha detto Parisi, già presidente Lega Ambiente di Augusta: ” E’ importante ricordare ieri, per non far dimenticare l’oggi. La presenza del Relitto deve contribuire a ricostruire il senso di umanità ed essere un monito per chi costringe le persone a lasciare il proprio paese. Far cresce la consapevolezza di quello che è successo e che succede ancora oggi”.

Molti cittadini di Augusta, negli anni che precedettero quel 18 aprile del 2015, prestavano assistenza a chi arrivava, senza alcun sostegno, né organizzazione.

Hanno accolto decine di migliaia di persone raccogliendo scarpe, indumenti, il sindaco metteva a disposizione il palazzetto dello sport, alcune aree delle scuole.

Secondo le norme allora vigenti fino al 2016 era l’amministrazione comunale del comune di arrivo che doveva occuparsi dei minori non accompagnati, quindi la collaborazione della cittadinanza locale è stata fondamentale.

Non tutti erano coinvolti, molti erano critici ma i più hanno aperto le porte a molti bambini, soli.

Oggi non è più così. La città non vede più i minori, sono cambiate le regole, ma ancora oggi le navi in quarantena fanno base qui. Le persone continuano ad arrivare.

“Il ritorno della Barca – aggiunte Parisi – è importante perché ci consente di riprendere e mantenere vivo il discorso delle migrazioni, riflettere su tutto questo.”

La dottoressa Giorgia Mirto, antropologa attualmente ricercatrice della Columbia University, che da anni si occupa delle salme dei migranti, e ha creato con Università di Amsterdam database con tutte le persone morte nel mediterraneo e seppellite in Europa, sottolinea come sia importante “risemantizzare” il relitto, chiedersi quale sia il suo significato, cosa rappresenti in sé, perché: “cambia di significato e il modo in cui è concepito a seconda delle persone che hanno a che fare con lui.”

E’ un processo non facile perché la storia è troppo recente ma è importante che la sua presenza aiuti a produrre una coscienza storica collettiva che indaghi e comprenda le cause sociali, storiche politiche che hanno portato quelle persone a salire su quella barca, spinte in Europa, e non diventi un monumento dedicato a persone dal destino infausto.

E’ un pericolo dei monumenti. La statua di Garibaldi lo rappresenta fiero a cavallo, non quando è vecchio e stanco. Allo stesso modo il relitto rischia di ricordarci quello che si vuole ci ricordi, non quello che realmente rappresenta in tutto il suo essere. Si rischia che ricordi i migranti solo come vittime “meschine” – sottolinea  Giorgia Mirto – in cui il termine è inteso nell’accezione siciliana che deriva dall’arabo e si riferisce a una persona che non appartiene al gruppo, che è diversa, isolata e va aiutata, compatita. In questo modo si perde del tutta la prospettiva sui motivi per cui queste persone si trovano in mare, il perché di quel naufragio. Si rischia di dimenticare che quella tragedia è stato il risultato infausto di un soccorso improvvisato da parte di un peschereccio portoghese, che pur con buone intenzioni non aveva la preparazione che avrebbe una nave deputata al soccorso che non c’era, né gli strumenti per un intervento di quel tipo e ne ha determinato l’affondamento.

Si rischia di perdere la visione di quelle persone affogate portando con sè i propri sogni, le proprie speranze. La pagella ritrovata nella camicia di un bambino ne è l’emblema. E’ fondamentale non destoricizzare l’evento, non dimenticare le responsabilità.

Ogni lavoro di significazione della barca deve andare a pari passo allo sforzo già in corso, di identificazione delle salme, che Labanof, coordinato la Dott.Cattaneo sta portando avanti con tanta tenacia.

Non tutti nelle cittadina siciliana vogliono quel relitto, molti sono indifferenti alla questione ma se non ci si fossilizza nell’idea della commemorazione una sola volta l’anno di un dramma passato,  si può lavorare su una riflessione continua di anno in anno dal 18 aprile al 17 aprile dell’anno seguente, per creare un messaggio che riverberi vicino e arrivi simbolicamente anche lontano, per esempio a Bruxelles dove originariamente il relitto doveva andare dopo la tappa di Venezia.

Con l’idea di museo diffuso si intende creare una piattaforma partecipativa e rendere attiva la rete di contatti con musei, artisti, organizzazioni della società civile, associazioni di sopravvissuti e migranti, organizzazioni internazionali (Cicr) e mondo della ricerca, che alimenteranno negli anni l’attività del museo diffuso dei diritti umani. (Centro interdipartimentale dell’ Università di Palermo, Arci Porco Rosso e il Comune di Palermo,Grotwoski Institute Wrocław, Labanof. Laboratorio di Antropologia e Odontologia Forense dell’Università degli Studi di Milano, il dipartimento di antropologia della Columbia University)

Per ora si sta organizzando per sabato una breve cerimonia di accoglienza, nel rispetto delle norme Covid.  E’ un primo passo.

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