Trent'anni passati sui piloni in Germania, quando gli immigrati eravamo noi
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Trent'anni passati sui piloni in Germania, quando gli immigrati eravamo noi

A 65 anni dall'accordo italo-tedesco sull'arruolamento di manodopera, un incontro ci ricorda quando gli immigrati eravamo noi.

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Onofrio Dispenza Modifica articolo

18 Luglio 2020 - 10.20


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“Lei è tedesco? L’uomo, piccolino, con la mascherina, quando gli dico che no, che sono italiano e pure agrigentino come lui, si scusa: “Mi era sembrato fosse un tedesco… Sa, io sono stato trent’anni in Germania, per lavoro… “. Incontro l’uomo a Porta di Ponte, l’inizio della lunga e stretta strada centrale della vecchia città, di Girgenti. È luogo di snodo del via vai cittadino, sempre più rado, la crisi qui è più antica del tempo del Covid. Ma Porta di Ponte è anche piazza dove trovare manovalanza a buon prezzo e senza impegni. E ogni giorno la schiera si infittisce.
L’uomo che mi aveva scambiato per tedesco ha voglia di parlare del suo lavoro in Germania, una vita. A dicembre di questo sventurato 2020 ricorreranno i 65 anni dell’accordo italo-tedesco per acquisire braccia a buon prezzo per la crescita industriale di Berlino. Certo, quel lavoro lontano e faticoso, con strappi violenti alle vite, fu per molti occasione unica di pane da mandare in famiglia. Ma costò. Resta inciso sulla pelle. L’uomo ha voglia di raccontare, di raccontarsi. Lui è uno di quelli. Resta a parlarmi, e io che non ho fretta e che amo i racconti, lo spingo a dirmi di quella vita. “Lavoravo agli impianti dell’alta tensione, sui piloni. Prima di entrare in Germania, dovevamo passare gli esami medici a Verona… Nella commissione medica che ci avrebbe dovuto dare il lasciapassare, medici italiani, disposti a chiudere un occhio, e medici tedeschi, intransigenti… Occhi, orecchie, naso, il cuore… Mi scusi la volgarità, pure le palle ci strizzavano e pure il buco del culo ci guardavano… Mi scusi la volgarità… “.
E l’uomo sonda con lo sguardo la mia disponibilità ad ascoltare. Gli faccio una domanda per incoraggiarlo:”Dove è stato? “. “Ho girato mezza Germania, piccoli paesi, ma pure Monaco… Bella Monaco, la città più vicina all’Italia… “. E l’uomo torna a quell’esame medico da superare per poter lavorare sui piloni:”I cavi che montavamo erano grossi come il mio polso… Ci chiesero se avevamo mai lavorato in alto… Sugli ulivi sono stato – risposi – e da ragazzo mi arrampicavo pure più in alto, sui carrubi. .. Certo, ho superato l’esame, poi, però le vertigini le ho avute, e come… Ma il pane non conosce vertigini…”. Alla fine, è lui a “liberarmi” del suo racconto, che io, invece, avrei voluto non finisse: “E dopo 30 anni di Germania, di lavoro duro e di vertigini, sa quanto prendo di pensione? Novecento euro… Una buona serata, e mi scusi… È che ho pensato fosse tedesco…”.

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