Il controattacco delle associazioni umbre contro Tesei: "Non frenerà il diritto all'aborto"
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Il controattacco delle associazioni umbre contro Tesei: "Non frenerà il diritto all'aborto"

La Giunta di centrodestra a trazione leghista ha eliminato la possibilità di praticare l'interruzione di gravidanza farmacologica.

La governatrice Tesei
La governatrice Tesei
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16 Giugno 2020 - 09.04


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Le donne dell’Udi (Unione donne italiane) di Perugia, costituita di recente, non ci stanno. Ieri, in videoconferenza, hanno pianificato le azioni da mettere in campo insieme ad altre associazioni di molte altre città dell’Umbria per contrastare la delibera, firmata di recente, con cui la Giunta regionale di centrodestra a trazione leghista guidata da Donatella Tesei ha abrogato decisione dell’amministrazione precedente di centrosinistra che permetteva di praticare l’aborto farmacologico in day hospital. Lo racconta sull’Huffingtonpost Luciana Matarese. 

Niente day hospital, lo scontro è (anche) politico. In Umbria, d’ora in poi, per le donne che intendono sottoporsi all’interruzione volontaria della gravidanza con i farmaci sarà necessario programmare un ricovero in ospedale di tre giorni. Avviene nella maggior parte delle regioni italiane, ad eccezione, da quel che risulta ad HuffPost, di Emilia Romagna, Lombardia, Liguria, Toscana e Lazio, che invece hanno scelto di permettere di praticare l’aborto farmacologico in day hospital, come aveva deciso l’amministrazione di Catiuscia Marini in Umbria. Risoluzione annullata dal centro destra, con la governatrice Tesei che, come riportato dalla stampa, ha precisato che “non si vuole rendere più difficile e a ostacoli la pratica in questione, ma la si vuole invece rendere più sicura, nel rispetto e nella tutela dei diritti acquisiti e delle scelte personali, che non sono in discussione”.

“Una decisione che segna un brusco ritorno al passato”, scandisce la ginecologa Marina Toschi, di “Pro-choice. Rete italiana contraccezione e aborto”, nell’Udi di Perugia con molte altre associazioni femminili e di medici e ginecologi determinate a far sentire la loro voce contro la scelta della Regione che ritengono “un altro modo per rendere difficile la vita delle donne, la loro libertà, la loro autodeterminazione”. Organizzeranno picchietti davanti agli ospedali “e, al prossimo Consiglio regionale saremo in Aula per chiedere l’applicazione completa della legge, dimostrando così che, a differenza di quanto hanno dichiarato – fa notare Toschi – Tesei e i suoi non seguiranno le indicazioni cui dicono di voler fare riferimento, ossia quelle berlusconiane del 2010”.

Per farlo, ragiona la ginecologa, negli ospedali dovrebbero riservare almeno sei posti letto alle donne che intendono ricorrere all’aborto farmacologico, “ma non accadrà, quei posti non ci saranno”. Per le donne delle associazioni femministe la delibera – precipitata al centro di uno scontro politico con i leghisti e il senatore Simone Pillon, tra i promotori del Family Day e commissario della Lega in Umbria, assai favorevoli e l’opposizione (Pd e M5S in testa) nettamente contraria – ha altri due punti critici. La scelta della Regione, imponendo il ricovero in ospedale, potrebbe spingere molte donne a rinunciare all’aborto farmacologico anche per paura del contagio da Covid-19 e inoltre va in direzione contraria a quanto richiesto dalla Società italiana di ginecologia e ostetricia che si era espressa a favore dell’aborto farmacologico per tutelare le donne e evitare di congestionare i presidi sanitari anche alla luce dell’emergenza coronavirus.
Indice puntato contro Regione e Ministero. Indice puntato contro la Regione, dunque, ma pure contro il ministro della Salute, al quale “Pro-choice”, Amica (Associazione medici italiani contraccezione e aborto), Laiga (Libera associazione italiana ginecologi per l’applicazione della legge 194) e “Vita di donna” hanno inviato due lettere – la prima ad aprile, sottoscritta da migliaia di cittadini ed esponenti del mondo della politica e della cultura,  l’ultima il 3 giugno – per esortare il governo ad adottare misure urgenti per garantire l’accesso all’aborto, privilegiando la procedura farmacologica, e poi invitando il ministro a relazionare in Parlamento sull’attuazione della legge 194 almeno per il 2018 ed a fornire gratis la contraccezione nei consultori, “come da articolo 2 della legge 194”.
“Appelli rimasti inascoltati nonostante le difficoltà e i rischi nell’accesso alle interruzioni volontarie di gravidanza persistano”, spiega Toschi.

La legge e i dati. Le linee di indirizzo del Ministero prevedono che l’aborto farmacologico debba essere effettuato solo con ricovero ospedaliero ordinario, ma lascia alle Regioni la possibilità di organizzarsi diversamente. Come aveva scelto di fare l’Umbria guidata dal centrosinistra di Catiuscia Marini nel 2018, introducendo la possibilità di abortire grazie alla pillola RU 486, ma solo entro la settima settimana di gravidanza – mentre nel resto d’Europa il termine è esteso alla nona settimana – e chiedendo agli ospedali di organizzarsi in modo che le donne potessero effettuare l’aborto farmacologico grazie a una prestazione con tre accessi in day hospital. “Una delibera ancora molto poco praticata – sospira Toschi – ma frutto di otto anni di lavoro e battaglie”. La giunta regionale ha deciso di andare in un’altra direzione, tornando alle linee ministeriali del 2010, all’epoca del governo Berlusconi. In Italia oggi l’interruzione volontaria di gravidanza attraverso la pillola RU 486, introdotta nel 2009, si attua solo nel 18% dei casi, contro il 66 della Francia, il 95% della Svezia. L’Umbria è ferma al 5%. E i dati reali su aborto medico riportati dalla relazione del Ministero della Salute, fa notare la ginecologa, mostrano che nelle regioni in cui vi è obbligo di ricovero, nel 95% dei casi le donne firmano ed escono su loro responsabilità. Sottolineando:  “A differenza di quello che si vuole sostenere, gli eventuali rischi per la salute della donna tra una Ivg farmacologica in day hospital e quella praticata in regime di ricovero non cambiano, con la differenza, però, che un ricovero di tre giorni grava molto di più sulle casse dello Stato”.

Di qui la nuova richiesta di associazioni femministe e di medici e ginecologi italiani indirizzata al Ministero della Salute, perché “ascolti le Società Scientifiche e le loro proposte, modificando le linee di indirizzo arretrate del 2010, che ci rendono fanalino di coda in Europa per i diritti sessuali e riproduttivi, rendendo così la deliberazione umbra un vano tentativo di retrocessione”.

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