In seguito all’intervista rilasciata al Corriere, Burioni su twitter torna a sottolineare come il Coronavirus non vada preso sottogamba: “I dati non consentono ottimismo, ancora non si vedono segni chiari di rallentamento, le misure devono essere mantenute e tutti i cittadini devono rendersi conto che non siamo davanti a una brutta influenza, ma a qualcosa di molto più pericoloso. È il momento di tenere duro”.
“Ho la sensazione che molta, troppa gente non abbia capito con che cosa abbiamo a che fare. Forse alcuni messaggi troppo tranquillizzanti hanno causato un gravissimo danno inducendo tanti cittadini a sottovalutare il problema. Non va bene, non va bene, non va bene. La gente in questo momento deve stare a casa”. E’ la raccomandazione del virologo Roberto Burioni che, su Facebook, sottolinea: “Tutto quello che causa un affollamento deve essere evitato”, in risposta al post di un utente che gli segnala che la catena internazionale per cui lavora ha attivato una promozione questa settimana. Iniziativa che potrebbe creare assembramenti nei negozi.
Non solo. Su Twitter Burioni evidenzia i rischi di un’altra iniziativa: “Venezia: aperitivo gratis in piazza San Marco per ripartire. Ma lo avete capito che la gente deve stare a casa altrimenti quello che riparte è il virus?”.
L’intervista al Corriere.
“In questo momento in realtà siamo all’inizio di un’epidemia — precisa Roberto Burioni, virologo dell’ospedale San Raffaele di Milano — e sono giorni decisivi nei quali si potrà stabilire se siamo stati capaci di contenere l’epidemia o comunque di rallentarla. Non abbiamo farmaci e non abbiamo vaccini, solo due armi: la diagnosi che ci permette di distinguere Covid-19 da un’influenza e, ancora più importante, l’isolamento: è un virus, questo, che si trasmette attraverso i contatti sociali e non abbiamo altre alternative se non ridurli il più possibile. Fino a quando? Fino a quando il contagio non rallenterà”. Il virolo intervistato dal Corriere della Sera mette tutti i guardia.
L’andamento dei contagi a livello nazionale, dopo una brusca accelerazione il primo di marzo (+528) ha registrato una decisa frenata il 2 marzo (+258). Siamo davvero di fronte a un’inversione di tendenza? «Per sapere se i contagi sono in calo non bastano i dati di un giorno, serve che il trend si mantenga in discesa per giorni e giorni. Non possiamo basarci su queste oscillazioni che possono dipendere da molte variabili, banalmente anche dal fatto che per qualche motivo in quel giorno sono stati analizzati meno tamponi. I numeri che vediamo oggi sono i contagi di 10 giorni fa, quando erroneamente pensavamo che il coronavirus non ci fosse anche perché ancora nessuno lo aveva cercato, nessuno immaginava che fosse già arrivato nel nostro Paese e nessuna restrizione era stata messa in atto.
La verità è che il trend è ancora in crescita. Non sappiamo che cosa succederà nei prossimi giorni, ma non mi sorprenderei se la chiusura delle scuole venisse prolungata». Guardando l’esperienza di Wuhan i primi dati sull’efficacia delle misure adottate sono arrivati 16-18 giorni dopo dell’implementazione di misure severissime, molto più severe di quelle che stiamo vivendo noi. «Non c’è un dato assoluto a cui dobbiamo puntare che ci dirà che siamo fuori pericolo, ma dobbiamo osservare una curva discendente di contagi che si prolunga nel tempo. Se tra qualche giorno vedremo che il trend è in discesa vorrà dire che le misure adottate hanno funzionato. Ma se in quel momento molliamo, riaprendo scuole, stadi, palestre, il rischio è che i casi riesplodano e i sacrifici fatti non saranno serviti. Se il trend invece continuerà a salire vuol dire che le misure adottate non sono state sufficienti e dovranno essere riviste per renderle più stringenti.
Qualunque sacrificio in più oggi non è nulla in confronto a quello che potrebbe accadere se il virus partisse libero perché il nostro sistema sanitario andrebbe in tilt. Il paziente uno, quel ragazzo di 38 anni che non è un anziano ma uno sportivo è ancora in vita perché è curato in modo adeguato e ha trovato un posto in terapia intensiva. Se ci ammalassimo tutti insieme gli ospedali andrebbero al collasso. Anche le persone più giovani possono sviluppare sintomi gravi”.
L’obiettivo, lo sappiamo, è spingere il più possibile in avanti l’epidemia. Forse non riusciremo a batterla, ma a contenerla sì . «Ci sono diverse speranze: che il coronavirus diventi più buono, ma quando e se succederà non lo possiamo ancora sapere. Inoltre il fattore meteo potrebbe essere rilevante: altri coronavirus in generale circolano in primavera, ma quando arriva l’estate tutti i virus respiratori si trasmettono meno, non fosse altro perché le scuole chiudono (serbatoio molto importante di trasmissione) e si sta di più all’aria aperta».
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