Grasso sul Caso Cucchi: chi sa parli, no alla violenza impunita
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Grasso sul Caso Cucchi: chi sa parli, no alla violenza impunita

Anche il presidente del Senato, Piero Grasso, è intervenuto a proposito dalla sentenza sul caso Cucchi.

La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria
La sorella di Stefano Cucchi, Ilaria
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4 Novembre 2014 - 13.36


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“Vorrei fare un appello. Ci sono dei rappresentanti delle Istituzioni che sono certamente coinvolti in questo caso. Quindi, chi sa parli. Che si abbia il coraggio di assumersi le proprie responsabilità, perché lo Stato non può sopportare una violenza impunita di questo tipo”, ha commentato a Bari il presidente del Senato, Piero Grasso, parlando di Cucchi.

La Procura Generale di Roma “valuterà la sussistenza di motivi” per ricorrere in Cassazione “dopo aver letto le motivazioni” della sentenza di assoluzione in appello degli imputati per la morte di Stefano Cucchi. Ha dichiarato il procuratore generale della Capitale, Luigi Ciampoli.

“La Procura Generale di Roma – ha detto Ciampoli – esaminerà, con la lettura delle sentenza, la motivazione che darà la Corte d’assise di appello alla decisione di non accogliere le richieste di condanna degli imputati, fatte con ampia e argomentata requisitoria dal Pg di udienza, valutandone la congruità, la coerenza e la legittimità”. “Valuterà, di conseguenza – ha aggiunto Ciampoli – la sussistenza di motivi di ricorso in Cassazione, dove – ha sottolineato – già pende altro ricorso, sempre presentato dalla Procura Generale di Roma, contro un’altra sentenza relativa alla presunta responsabilità del personale medico del carcere di Regina Coeli che diede assistenza a Cucchi prima del trasferimento all’ospedale Pertini”, dove il giovane morì.

“Noi abbiamo affrontato questo processo che era prevalentemente un processo a Stefano. Con questa seconda sentenza non abbiamo perso noi, quello che dicevamo da cinque anni è stato riconosciuto, questo è il fallimento della Procura di Roma, è il fallimento della giustizia”. E’ quanto ha detto in diretta Ilaria Cucchia a Radionorba, stamattina, nel corso del programma “Morning News”. “Io e la mia famiglia – ha detto Ilaria Cucchi – per 5 anni abbiamo combattuto, perchè così devo dire, un processo assurdo nel quale se non si fosse trattato della morte di mio fratello sarebbe sembrata una barzelletta.

Abbiamo sentito dire di tutto e soprattutto abbiamo cercato con ogni forza sentir negare quelle fratture e le conseguenze di quelle fratture. Oggi abbiamo due sentenze che ci dicono che Stefano è stato pestato e ci dicono che non si è in grado di stabilire chi ne siano gli stato autori di quel pestaggio”. Come avete accolto – le è stato chiesto – l’esito dell’incontro con il procuratore di Roma? “Io e la mia famiglia – ha risposto Ilaria Cucchi – veniamo presi in giro da cinque anni quindi sicuramente l’abbiamo accolto con grande apertura, con quella disponibilità con la quale io e i miei genitori da soli, senza avvocati e senza nessuno, siamo andati dal procuratore capo della Repubblica di Roma siamo andati lì come famigliari di Stefano Cucchi a dire semplicemente questo: ‘bene procuratore capo, ci sono queste sentenze come si intende andare avanti per assicurare alla giustizia i responsabili di quel pestaggio’, questo era il nostro spirito”.

“Ho rispetto per Stefano Cucchi, ma non facciamolo diventare un Santo, quelle fratture se le è procurate prima di essere arrestato, negli ambienti che frequentava”. E’ quanto ha detto a Radionorba, stamattina, Donato Capece, segretario del Sappe, il sindacato della polizia penitenziaria, nel corso del programma “Morning News” al quale ha partecipato in diretta anche Ilaria Cucchi. Donato Capace, perché come Sappe denuncerete la famiglia Cucchi?, è stato chiesto. “Innanzitutto – ha risposto – vuole essere un segnale per far cessare queste continue aggressioni verbali e questi lanci di sospetti, e quindi istigazioni all’odio e al sospetto contro la polizia penitenziaria. Ci sono state ben due sentenze, primo grado e secondo grado, che hanno completamente scagionato ed assolto gli operatori di polizia penitenziari. Abbiamo sempre confidato nella magistratura, e quindi riteniamo che siano state esperite tutte le indagini. Sono stati ascoltati in aula decine e decine di testimoni.

A questo punto ritengo si debba smettere di continuare ad aggredire la polizia penitenziaria”. Ma in quale occasione è stata accusata la polizia penitenziaria? “Mi riferisco – ha risposto – a quelle frasi lanciate attraverso le emittenti radiotelevisive, nelle quali si dice ‘mi hanno ammazzato mio fratello!’ Noi non abbiamo ammazzato nessuno. Noi siamo stati ligi al nostro lavoro, abbiamo fatto il nostro dovere. Probabilmente ora il Procuratore Capo di Roma, dott. Pignatone, rileggerà gli atti e se la famiglia Cucchi ha altri fatti nuovi da aggiungere si potrebbe riaprire il processo. Ma da qui a continuare queste aggressioni verbali nei confronti della polizia penitenziaria, noi non ci stiamo. Bisogna imparare che le sentenze si applicano e non si discutono”. Ma allora come è morto, secondo lei, Stefano? “Intanto bisogna dire che Stefano Cucchi non è un santo. Bisogna partire un po’ dal suo percorso di vita disordinato, perché era un tossicodipendente, perché era stato praticamente abbandonato dalla famiglia.

Lo stesso professor Da Monte che è stato uno degli specialisti che hanno partecipato all’autopsia ha sostenuto che tante fratture erano tutte pregresse, quindi nulla esclude, a mio avviso, che prima dell’arresto il Cucchi non abbia avuto colluttazioni con suoi compagni di avventura fuori, nell’ambito della gestione dello spaccio della droga. Quindi ben faceva l’operante che ha fatto gli arresti, eventualmente al momento dell’arresto a far immediatamente visitare e constatare le condizioni di salute di questo ragazzo”. “Ripeto, – ha detto il segretario del sindacato di polizia penitenziaria – noi abbiamo il pieno rispetto del lutto e della morte di questo giovane però attenzione: è un ragazzo disordinato, un ragazzo la cui vita è molto discutibile e molto chiacchierata, ma non lo facciamo diventare santo, perché santo non è”.

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