La stampa più o meno specializzata già parla del programma della visita di papa Francesco in Terra Santa. È il patriarca latino di Gerusalemme che fornisce indicazioni utili, ma forse non ancora esaustive: prima tappa Amman, capitale del regno di Giordania, con discorso ai musulmani, celebrazione eucaristica, cena con i profughi siriani, visita al parco archeologico del battesimo, l’ultima grande missione archeologica del compianto padre Michele Piccirillo.
Seconda tappa a Betlemme, nei Territori dell’Autonomia Palestinese, con celebrazione eucaristica. Terza tappa Gerusalemme, con incontro ecumenico al Santo Sepolcro a 50 anni dallo storico incontro tra Paolo VI e il patriarca ecumenico ortodosso Atenagora, visita al patriarcato latino e poi cena con personalità politiche, tra le quali si dice anche il premier israeliano Netanyahu, nel complesso antistante il patriarcato, di proprietà vaticana, di Notre Dame (luogo in tempi lontani di incontri tra israeliani e palestinesi proprio per la sua natura di “campo neutro” o “terra neutra” nella città contesa).
Difficile che il programma sia questo e solo questo, perché ciò evidenzierebbe un punto delicato. Infatti la posizione della Santa Sede al riguarda della “città santa” ha seguito un corso chiarissimo sin dal 1887.
E’ proprio nel 1887, al cospetto delle difficoltà nella crisi dell’impero ottomano, che Leone XIII promulga il famoso motu proprio suo Luoghi Santi che in certo senso pone per la prima volta in termini moderni il problema dei Luoghi Santi. Leone XII pone il problema delle tutela “con venerazione”.
Poi tocca a Benedetto XV, ai tempi della I Guerra Mondiale, ricordare la necessità per i cristiani di conservare la custodia dei “santuari santissimi”. Due i suoi interventi, al cospetto dei numerosissimi riferimenti di Pio XII, ben sette in dieci anni. Sono gli anni della II guerra mondiale e poi della nascita dello Stato di Israele e il Vaticano sceglie la via della salvaguardia dei Luoghi Santi attraverso la garanzia per tutti, ebrei, cristiani e musulmani, di accedervi con certezza. E’ in questi anni che nasce la formula, prima dell’Onu e poi della Santa Sede, del corpus separatum per tutti questi luoghi, con garanzia internazionale.
Linea confermata il 6 maggio del 1960 da Giovanni XXIII, nel quarto centenario della presenza dei francescani a Gerusalemme, e poi approfondita ulteriormente dal Concilio Vaticano II.
Tra le intuizioni conciliari vi è infatti quella di porre la città di Gerusalemme al centro della vita della Chiesa: la città terrestre immagine di quella futura.
E’ in questo contesto che arriva la visita di Paolo VI, papa al tempo del III conflitto arabo israeliano, il papa che dopo la guerra sollecita le garanzie offerte dal diritto internazionale.
L’idea del corpus separatum di Pio XII diviene con Paolo VI scelta di collocare al di là e al disopra dei conflitti la città, perché tutti, i credenti e gli uomini di buona volontà, possano sollevare lo sguardo verso la città di Gerusalemme, “terra santa per tutti”.
Idea ribadita da Giovanni Paolo II davanti alle Nazioni Unite, definendo Gerusalemme “patrimonio spirituale di tutto il mondo”.
E’ chiaro dunque che se il papa visitasse solo i luoghi indicati sin qui si potrebbe dire che dal punto di vista Vaticano non avrebbe visitato Israele. Un aspetto delicato, come confermano le parole un po’ spensierate del patriarca latino di Gerusalemme , anche se, va ricordato, il viaggio è stato annunciato come visita di preghiera, per commemorare l’anniversario dell’incontro tra Paolo VI e il patriarca Atenagora. Ma anche pregando si possono trovare i modi per evitare equivoci.
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