Quando andò a fuoco il Monte (speculazione ieri e oggi)
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Quando andò a fuoco il Monte (speculazione ieri e oggi)

Quando nel 1971 bruciò il Monte. Quando arrivò la speculazione. E oggi, con il fuoco che devasta territori straordinari e leggi regionali... [Giovanna Casagrande]

Quando andò a fuoco il Monte (speculazione ieri e oggi)
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8 Agosto 2013 - 18.33


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di Giovanna Casagrande

Il primo ricordo personale di un incendio risale al 1971, eravamo al mare in villeggiatura, era agosto e mio padre entrando in casa esclamò- Hanno bruciato il Monte- io la parola monte l’ho sempre immaginata in maiuscolo come un nome proprio perché l’Ortobene per noi nuoresi era, allora, una casa comune, salivamo a pasquetta per il famoso pranzette, si chiama così il banchetto che ci vedeva tutti con tavolini di legno e sediette traballanti, vicini di casa e no, parenti e amici.

Il Monte in estate era bellissimo, quel prato verde su cui rotolavamo, quelle goistrine e i cavallini di legno e ferro colorato, le altalene e lui su Redentore, mi mettevano vicino al piedone e mio zio esclamava- ecco la diavoletta- Le parole di mio padre mi colpirono ma ripresi a giocare come una bambina di 11 anni d’estate, solo al rientro a Nuoro capii o meglio sentii. Quell’odore mai sentito prima, acre e pesante, l’incendio del Monte era recentissimo ma non avrei mai immaginato che l’odore degli alberi bruciati persistesse per giorni nell’aria. Poi lo vidi tutto quel marrone grigio quel colore indescrivibile che aveva divorato quel verde che da lontano sembrava celeste e mi faceva sognare che in quegli alberi si nascondesse una maga dei boschi e che colorasse monti e alberi per proteggerli.

Mia nonna nei racconti mi parlava del Monte, di quando issarono la statua del Redentore e mi sembrava strano che lei ancora non ci fosse, mia nonna e il Monte erano casa mia e la statua un ospite arrivato dopo. Chi incendiò il Monte? Ricordo ancora i ragionamenti dei miei parenti, sentivo parlare di speculazione, a distanza di anni, forse quindicenne, sempre nella stessa località marina, ospite a pranzo di un’amica scoprii che c’erano persone che avrebbero voluto costruirlo il Monte, c’erano intorno a quella tavola delle persone che poi diventarono ricche costruendo case da villeggiatura e io, giovane e incosciente dissi a uno di loro che dovevano arrestarli quelli che speculavano sulla terra bruciata, mi guardarono, povera ragazzina sarda, e risero, risero davvero.

Mio padre scoprì dall’amico padrone di casa e organizzatore del pranzo che io risposi male al signor X, entrò nella mia camera e mi domandò cosa accadde davvero e io gli raccontai il battibecco ma lui non mi sgridò, sorrise e guardando fuori dalla finestra mi disse: “Hai fatto bene ma è difficile fermare queste persone vogliono fare della Sardegna una Costa Smeralda”.

La Costa Smeralda, il lusso che arrivò da noi negli anni’60, gli attori e le attrici e le ville, i panfili e gli aerei, c’era qualcuno che andava lì per guardare, per vedere come avevano fatta bella la Sardegna, noi sardi fuori dalla porta a parte pochi privilegiati, negli anni ‘70 iniziarono le pubblicità immobiliari in tv, a Videolina passava una pubblicità su Cannigione, una mia compagna delle superiori di Arzachena mi invitò qualche giorno da lei, ricordo una spiaggetta piena di gente e case in costruzione, ricordo che il padre ci portò in posti bellissimi. “Ancora devono lottizzare” diceva soddisfatto.

Ci hanno lottizzato, ci hanno quotato un tanto a ettaro, ci hanno preso le spiagge più belle, ma chi se la ricorda Brandinchi selvaggia? Chi si ricorda Cala Gonone prima del varo dei barconi? Avere la mia età mi ha consentito di conoscere la Sardegna quasi intonsa, con l’enduro attraversavamo la strada sterrata di Berchida, conoscevamo il pastore che al ritorno dal mare ci offriva su gioddu, c’erano più zecche che pecore e l’odore dei ginepri, il colore del mare e il silenzio. Il silenzio meraviglioso interrotto dalla risacca o dal vento e le dune di Santa Lucia, chi se le ricorda le dune che mi sembravano il deserto e andare dalla spiaggia delle barche alla spiaggia lontana mi sembrava una grande distanza, costruirono anche lì perché l’idea degli alberghi ha invaso la nostra percezione di Sardegna, eravamo convinti che costruire significasse crescere, ignari e ignoranti e indottrinati a dovere volevamo diventare ricchi come i galluresi.

Che pazzi siamo stati a regalare il nostro futuro a chi voleva la vergine per sedurla violentarla e abbandonarla, perché chi diceva di amare la Sardegna ne voleva le parti più intime, quelle vicine al cuore, credevano che catturarle rendesse immortale il denaro, credevamo che costruire case sulle spiagge fosse la cosa migliore, che fosse lì il futuro dei sardi. Il futuro dei sardi, il futuro fatto su misura per loro ospiti paganti della loro terra, ributtati indietro di decenni con il voto del 31 luglio di quest’anno quando il nuovo editto delle chiudende approvato da 50 consiglieri di tutte le forze politiche regionali ha sancito con l’art. 1 della L 542 che i Comuni sono delegati “alla ricognizione generale degli usi civici esistenti sul proprio territorio”, mandando al macero linventario generale delle terre civiche e rischiando di ributtare i comuni sardi nelle guerre note scatenatesi in paesi come Lula che proprio sul tema delle terre è rimasto commissariato per anni.

Nel frattempo l’allarme si estende in quanto a Bosa è in atto una pericolosa speculazione che riguarda l’oasi naturale di Tentizzos e la giunta Cappellacci intende stringere i tempi sull’adeguamento del piano paesaggistico regionale che renda possibili gli insediamenti di campi da golf in luoghi che dovrebbero essere preservati da qualsiasi azione umana.

I fuochi che da ieri devastano la Sardegna, l’evacuazione dei paesi, la cronica carenza di mezzi aerei antincendio completano il quadro foschissimo di una regione sottoposta al nuovo sacco degli speculatori con la complicità della politica tutta incapace di una visione diversa che rimetta la Sardegna al centro dell’interesse collettivo e non come “granaio” storico dei saccheggiatori indigeni e di oltre mare.

Siamo destinati a essere un’altra volta in balia degli interessi altrui? Temo di sì, se non riusciamo a trovare la chiave giusta per aprire la porta della nostra casa comune saremo condannati a vedere le nostre terre bruciate, le nostre spiagge devastate, i comuni, anche quelli più piccoli che consumando suolo pubblico investiranno ancora in orribili zone industriali in luoghi l’industria non c’è mai stata o non ci sarà mai più, incentivando quella rete consolidata fra politica e affari che ci deruba e ci impoverisce da decenni.

Sta a noi cambiare, sta a noi scegliere un nuovo modello di sviluppo, sta a noi ricercare nuove competenze in politica, sta a noi decidere per la Sardegna e i Sardi.

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