Caso Uva, il Csm indaga sul pm che non indaga
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Caso Uva, il Csm indaga sul pm che non indaga

Un'azione disciplinare pende sul magistrato che non vuole interrogare il teste di quella notte ed è ostile a familiari e legali. [Checchino Antonini]

Caso Uva, il Csm indaga sul pm che non indaga
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10 Aprile 2013 - 18.01


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di Checchino Antonini

Un’azione disciplinare del Csm pende sul pm del caso di Giuseppe Uva, morto nel 2008 nell’ospedale di Varese dopo essere stato fermato dai carabinieri. Ad Agostino Abate è contestato tra l’altro il comportamento ostile, in aula e fuori, nei confronti della sorella dell’uomo ucciso, Lucia, fatta allontanare durante un’udienza. La notizia proviene proprio dal Consiglio superiore della magistratura dove viene spiegato che proprio per la pendenza del procedimento disciplinare si sono dovuti archiviare gli esposti ricevuti sulla vicenda e che dunque non c’è stata nessuna inerzia del Consiglio.

Era stata Ilaria Cucchi, sorella di Stefano e dunque compagna di sventura di Lucia Uva, a lamentare il silenzio del Csm sugli esposti presentati dalla sorella di Uva e da Luigi Manconi. Di qui la decisione della Prima Commissione di Palazzo dei marescialli di avviare una ricognizione sulla sorte di queste denunce, su richiesta del consigliere togato di Unicost Giovanna Di Rosa. Il contrasto fra la famiglia di Uva e il pm dura da tempo soprattutto per il fatto che Abate ha sempre voluto interpretare quella morte come un “banale” caso di malasanità senza mai voler interrogare l’amico di Uva, Alberto Biggioggero, arrestato con lui quella notte e testimone delle urla di Uva nella caserma della polizia in cui avrebbe trascorso alcune ore in balìa delle forze dell’ordine. Un giudice, assolvendo in primo grado ilmedico portato alla sbarra da Abate, aveva ordinato – invano – la riapertira dell’inchiesta con l’accusa da parte del pm di essere lui stesso succube del clima mediatico.

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Il contrasto era culminato qualche giorno fa con la presentazione di una denuncia a carico del pm alla Procura della Repubblica di Brescia per favoreggiamento e abuso in atti d’ufficio. Da parte sua Abate s’era scagliato più volte contro la sorella del ragazzo ucciso, contro il suo legale Fabio Anselmo (lo stesso dei casi Aldrovandi, Ferrulli e Cucchi) e contro i giornalisti che osavano riprendere la vicenda come un caso di malapolizia.

I famigliari di Uva (Lucia è stata perfino accusata di aver manipolato il cadavere di suo fratello) contestano la chiusura dell’inchiesta: secondo il pm non ci sono responsabilità delle forze dell’ordine nella morte dell’uomo, mentre per i parenti Uva avrebbe subito percosse in caserma. La Procura Generale della Corte di Appello di Milano ha bocciato la richiesta di togliere a quel pm l’indagine ed affidarla ad un altro magistrato.

«Era l’ultima speranza che si indagasse in caserma, e invece no – scrive Lucia – nonostante l’abbia chiesto anche il Giudice nelle motivazioni della sentenza di primo grado in cui è stato assolto il medico accusato di aver ucciso Giuseppe. Quindi ora siamo certi che scadranno i termini per la prescrizione. (Non faranno mai in tempo ad arrivare al terzo grado, e comunque il pm Abate non cambierà idea certo ora). Non sapremo mai la verità su ciò che accadde quella notte. Mai».

Martedì 16, all’udienza del processo d’appello al medico, Lucia sarà in aula con Patrizia Adrovandi, Domenica Ferrulli e Ilaria Cucchi. In loro solidarietà giungerà da Roma Paolo Ferrero, segretario del Prc.

Intanto è in corso una campagna – “Lucia non sei sola” – raccolta fondi per sostenere le spese legali di Lucia Uva. Popoff sostiene questa campagna per accedere agli atti del processo già depositati, per promuovere nuove perizie e nuove ipotesi giudiziarie, per tenere le luci accese sulle cause della morte di Giuseppe Uva.

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Questo il testo della [url”campagna”]http://www.buonacausa.org/cause/luciauva-non-sei-sola[/url]:

“Alle 10.30 di mattina del 14 giugno 2008, all’ospedale Circolo di Varese, muore Giuseppe Uva. Giuseppe Uva, prima di essere ricoverato in regime di trattamento sanitario obbligatorio, è stato dalle 3 di notte alle 6 nella locale caserma dei carabinieri con i militari e con sei poliziotti, tutto l’equipaggio di pattugliamento notturno della cittadina. Giuseppe era stato fermato in compagnia dell’amico Alberto Biggiogero in stato di ebbrezza alcolica mentre spostava delle transenne al centro della strada. Nessun verbale di arresto è stato compilato quella notte, proprio perché non avevano commesso alcun reato. Nonostante questo, i due rimangono in caserma per tre ore. Biggiogero viene liberato, mentre Uva nelle primissime ore della mattina viene trasferito in ospedale, dove muore poco dopo. Aveva il naso fratturato, le scarpe consumate e il cavallo dei pantaloni imbrattato di sangue. Da quel 14 giugno la sorella di Giuseppe, Lucia Uva, chiede con tutte le sue forze che venga fatta chiarezza sulla morte di suo fratello. Questa donna coraggiosa e meravigliosa ha investito tutte le sue risorse, morali ed economiche, per arrivare a una verità giudiziaria. Sono passati quasi 5 anni, e a oggi l’unico processo celebrato è stato contro un medico, accusato di aver somministrato un farmaco sbagliato e di avere quindi causato la morte. Il medico è stato assolto e, perizia dopo perizia, si è arrivati a stabilire la correttezza di quella prescrizione. Se non sono stati i farmaci, a uccidere Giuseppe, cosa è stato?

All’interno della procura di Varese esiste un fascicolo, il 5509, che dovrebbe contenere le indagini svolte per accertare responsabilità precedenti all’ingresso di Giuseppe in ospedale. Lucia Uva, che è stata recentemente querelata dai carabinieri per diffamazione, ha dovuto ritirare quel famoso fascicolo 5509, perché la sua querela è stata inserita in quegli atti. Quel fascicolo le è costato 614,19 euro. Al suo interno c’erano solo doppioni di atti già acquisiti nel processo contro i medici. Delle ore passate da suo fratello in caserma, neanche l’ombra di un’indagine. Lucia si sente offesa, e umiliata. E noi con lei. Nei prossimi giorni dovrà affrontare un’altra spesa importante, che ammonta a 1475,80 euro, sempre per il ritiro di documenti dalla Procura (5 cd al costo di 295,16 euro cadauno). Questa donna, che mai ha voluto arrendersi, adesso rischia di non farcela. È stremata e da sola non riesce più a sostenere gli elevatissimi costi che questa legittima richiesta di verità comporta. Ha molta dignità, dignità che tutte le difficoltà affrontate in questi cinque anni non hanno minimamente scalfito. Lucia Uva si vergogna a chiedere soldi. È per questo che abbiamo deciso di farlo noi per lei. Perché il nostro sostegno in questi anni ha avuto forme diverse, e questo è solo un altro modo di starle vicino”.

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