Il Papa in Calabria tace sulla mafia
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Il Papa in Calabria tace sulla mafia

“Questa è una terra dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale”. E' l'unica frase sulla mafia che il Papa ha pronunciato nella sua visita in Calabria.

Il Papa in Calabria tace sulla mafia
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12 Ottobre 2011 - 10.33


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di Francesco Peloso

Non ha pronunciato mai la parola mafia, nemmeno ha mai detto: ‘ndrangheta, il Papa. Nelle poche ore trascorse a Lamezia Terme e in Calabria, domenica scorsa, Benedetto XVI ha dedicato alle cosche che dominano il territorio, una sola frase: “questa è una terra dove una criminalità spesso efferata, ferisce il tessuto sociale”. Una constatazione, più che altro, inserita nel passaggio dell’omelia dedicata ai problemi sociali. E poi un riferimento alla necessità di “prendersi cura del bene pubblico”, quindi il richiamo all’impegno in politica per i cristiani in favore del bene comune. Erano altre le parole che si attendevano i calabresi; naturalmente nei commenti del giorno dopo, la chiesa e le associazioni della regione, cercano di valorizzare quel tanto di positivo che c’era nei discorsi di Ratzinger. Eppure vescovi e istituzioni si attendevano un intervento chiaro e forte, senza tante prudenze linguistiche. Si sperava, spiegano al Riformista fonti locali, in un monito sul tipo di quello che fece Giovanni Paolo II ad Agrigento.

Il sindaco Gianni Speranza, primo cittadino di Lamezia, espressione del centrosinistra, rivolgendosi al Pontefice prima della messa, aveva spiegato in quale cornice e in quale conflitto il Pontefice era venuto a compiere la sua rapida visita pastorale. “Noi non possiamo accettare – diceva il sindaco – che nella nostra terra si rafforzi il dominio di poteri criminali, che l’impresa buona sia scacciata da quella cattiva e inquinata, che il capitale illegale si sostituisca a quello legale, che i nostri giovani non abbiano lavoro e prospettiva e siano costretti ad andare via, perfino tanti sacerdoti vengono minacciati”. E ancora: “Non vogliamo essere una terra amara ma una terra di libertà per le donne che qui incontrano più ostacoli e difficoltà, per gli uomini di oggi, per i nostri figli!”. Infine un appello: “I giovani sono la nostra speranza: basta con la mafia!”.

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E la memoria va a quel 9 maggio del 1993, quando, nella Valle dei Templi di Agrigento, in Sicilia, Wojtyla pronunciò parole inequivocabili. “Dopo tanti tempi di sofferenza – disse – avete finalmente un diritto a vivere nella pace. E questi, che sono colpevoli di disturbare questa pace, questi che portano sulle loro coscienze tante vittime umane debbono capire, debbono capire che non si permette di uccidere innocenti. Dio ha detto una volta: non uccidere! Non può l’uomo, qualsiasi, qualsiasi umana agglomerazione, mafia, non può cambiare e calpestare questo diritto santissimo di Dio. Questo popolo siciliano, talmente attaccato alla vita, che dà la vita non può vivere sempre sotto pressione di una civiltà contraria, civiltà della morte. Qui ci vuole la civiltà della vita! Nel nome di questo Cristo crocifisso e risorto, di questo Cristo che è via, verità e vita. Lo dico ai responsabili: convertitivi un giorno verrà il giudizio di Dio”.

L’intervento di Wojtyla è entrato nella memoria collettiva dei siciliani, viene ricopiato sui cartelloni nelle scuole, fa parte della storia italiana come momento alto della coscienza civile nazionale. Fra l’altro Giovanni Paolo II ruppe con l’idea di una chiesa neutrale di fronte alla mafia, quella neutralità, infatti – era ben chiaro a un Papa tanto battagliero – andava a costituire una forma di connivenza, era già un modo per appartenere alla “zona grigia”. Così pure in Calabria, oggi, c’è una Chiesa che denuncia le ‘ndrine, i clan, che combatte in prima linea, e un’altra più prudente che si nasconde. Per questo la sfida con la ‘ndrangheta è anche sulle processioni mariane trasformate in momenti di riconoscimento sociale per i boss – qui Ratzinger ha fatto un pallido riferimento alla vicenda – e ancora nell’impegno a mobilitare i giovani contro il crimine e in favore della legalità. A Gioiosa Jonica, don Giuseppe Campisano, poche settimane fa, ha subito un attentato a colpi di arma da fuoco, minaccia mafiosa. Il prete fu attaccato perché voleva che la processione di San Rocco, nella locride, fosse riportata al suo significato religioso. E poi, reato forse più grave, aveva promosso quattro giornate per la legalità davanti alla Chiesa. monsignor Luigi Cantafora, vescovo di Lamezia, a ridosso della vita del Pontefice affermava: “Chiaramente la ‘ndrangheta stravolge il senso umano, civile e cristiano, offrendo guadagni facili sia a persone in difficoltà, sia a persone ricche e potenti, che acconsentono. La criminalità impedisce tragicamente la crescita e la libertà delle persone e delle famiglie, delle imprese e delle libertà civili”.

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