Le mezze stagioni della libertà di stampa in Italia (77° nel mondo)
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Le mezze stagioni della libertà di stampa in Italia (77° nel mondo)

Italia al 77° posto nel rapporto di Reporters sans frontières sulla libertà di stampa. Un rapporto poco chiaro, però. Certo in Italia è un disastro, il perché non emerge.

Classifica Reporters sans frontières
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21 Aprile 2016 - 12.23


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di Pietro Manigas

Tra le ritualità del sistema informativo italiano c’è la pubblicazione annuale della classifica della libertà di stampa nel mondo, una classifica che vede il nostro paese quest’anno al posto numero 77. E che con una precisione svizzera, tipica dell’informazione italiana, prende un titolo su tutti i media nazionali. Quasi sempre simile, con testi che poco si discostano l’uno dall’altro. La notizia esalta i media, che per motivi per me incomprensibili, trattano l’argomento come se fossero vittime e non protagonisti di questa eventuale carenza informativa. Esalta i dietrologi che puntano l’indice sui poteri occulti che non ci fanno sapere una mazza sulle scie chimiche. Esalta il precario dell’informazione che ritiene i predecessori con articolo 1 i responsabili. Esalta il vecchio giornalista che ritiene l’ultima leva scarsa e priva di requisiti. Esalta un sistema che è abituato a riflettere sull’esistenza in vita delle mezze stagioni, sull’hashtag di tendenza e su poco altro.

Il fatto poi che tutti i media acriticamente rilanciano questa classifica senza interrogarsi minimamente su niente, mi sembra invece la migliore testimonianza del fatto che questo Paese meriti il 77esimo posto…

Dopo aver letto pezzi tutti uguali, tradotti da Reporter sans frontieres, dopo essermi chiesto se un giornale di potere come Repubblica possa mai essere una fonte attendibile per discutere della libertà di stampa, mi chiedo quali siano i metodi usati da questa ong francese con succursali nel mondo per tracciare questa classifica, in particolare in Italia. E qui casca l’asino. Per caso ho letto le dieci righe sull’Italia. Basarsi su un articolo di giornale e sulla vicenda Vatileaks (con giornalisti sotto processo nel tribunale della Santa Sede) mi sembra davvero poco come lavoro sulla libertà di stampa in Italia.

I questionari fatti girare non sono neanche male, resta invece tutto da risolvere il problema su chi siano quelli che rispondono. Ecco perché spero in qualcosa di più chiaro: vorrei sapere chi sono quelli che rispondono, se sono giornalisti professionisti, dove lavorano, per chi, se sono i marzianetti del Festival del giornalismo di Perugia, i passanti nell’ora di punta all’uscita della metro Zara a Milano. Capire chi decide, vuol dire anche capire meglio che cosa viene stabilito.

A mio modo di vedere di motivi per discutere la libertà di stampa in Italia ce ne sarebbero tantissimi. Uno su tutti: il carcere per i giornalisti. Due: il sistema di precarizzazione della professione giornalistica. Tre: la proprietà dell’informazione e del sistema di distribuzione. Tre elementi che da soli basterebbero per darci voti bassissimi. Non ricordo se nelle domande c’è scritto qualcosa del genere e sicuramente non appare nelle dieci righe di presentazione del risultato.

Sempre in attesa di saperne di più, sono entrato nel sito di Reporter senza frontiere, sezione italiana (provare per credere www.rsfitalia.org. Aggiornato al 6 febbraio 2016, mostra come ultimo rapporto disponibile quello del 2013. Come dire: giornalismo sulla notizia, solo tre rapporti annuali di ritardo… Leggo ancora nel sito: “La sezione italiana di RSF è presieduta da Mimmo Cándito, inviato e commentatore politico de La Stampa, nel Comitato Direttivo italiano sono presenti alcuni dei più noti inviati speciali italiani quali Tiziana Ferrario del TG1, Toni Capuozzo del TG5 e Domenico Affinito, inviato di AGR-Rizzoli, Corriere della Sera, che è anche il vice Presidente della Sezione Italiana di RSF”. E a questo punto, niente da aggiungere. Così funziona il sistema: ingloba la maggior parte delle strutture atte a contrastarlo. Se il fine è questo, chissà.

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