Rino Gaetano, 60 anni e una storia (parte 1)
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Rino Gaetano, 60 anni e una storia (parte 1)

Gli inizi della carriera folgorante del cantautore crotonese, morto tragicamente il 2 giugno del 1981, nel ricordo del suo primo produttore discografico

Rino Gaetano, 60 anni e una storia (parte 1)
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Piero Montanari Modifica articolo

31 Maggio 2011 - 18.35


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di Piero Montanari Oggi Rino Gaetano, il mitico cantautore crotonese, se non avesse incontrato quel maledetto camion Fiat 650D sulla corsia opposta alla sua sulla via Nomentana di Roma, alle 4 del mattino del 2 giugno 1981, ma soprattutto, se non fosse stato rifiutato da ben cinque ospedali – seppur prontamente soccorso – compirebbe 60 anni. Troppi sono i “se” e Rino non c’è più.
Ho avuto con lui una storia di amicizia e professionale, quindi lo voglio ricordare raccontando anche l’ambiente nel quale si è formata ed è esplosa la sua particolare personalità artistica.

Voglio solo dire che in questo caso la sua morte ce lo ha consegnato – a distanza di trent’anni – come un mito dei nostri tempi, immortale e trasversale, “buono” per tutte le culture e per tutte le generazioni.

Nei primi anni ’70 ero un assiduo frequentatore del Folkstudio, quando da Via Garibaldi si spostò a Via Gaetano Sacchi, sempre nel rione Trastevere e quando Giancarlo Cesaroni lo rilevò dal fondatore Harold Bradley, artista pittore e musicista. Il locale era un cantinone con ampi spazi (probabilmente un ex magazzino o bottegone di artigiano) dove c’era un grande ingresso ed una bella sala piena di vecchie sedie con il palco per esibirsi. Un luogo assolutamente grezzo e spoglio, come si voleva all’epoca, dove la sostanza prevaleva sull’estetica. Pareti ricoperte di iuta, tavolacci di legno per bere e panche sconnesse per sedersi. Sedie impagliate, faretti, manifesti alle pareti di artisti di riferimento, compreso Bob Dylan che vi si esibì nel 1962 di passaggio a Roma per andare a trovare la sua ragazza a Perugia. Si racconta che c’erano non più di 15 persone… ma questa è storia conosciuta.

C’era una programmazione che combinava Jazz e musica folk, cantautori esordienti, i festival di jazz&folk a millecinquecento lire consumazione compresa. Tutti eravamo spettatori e protagonisti di volta in volta. Là ho suonato con jazzisti famosi e con cantanti esordienti solo per il gusto ed il piacere di esserci anch’io. Non esisteva a Roma ma nemmeno in Italia un altro locale così, ricco di speranze artistiche e politiche, pieno di energie nuove e rivoluzionarie. Vide un lento declino col cambiare delle cose. Probabilmente vinse su tutti il “pescivendolo” che abitava sopra al locale, personaggio e spauracchio mitico forse inventato da Giancarlo Cesaroni per farci abbassare il volume della musica.
Roma in quel momento sembrava essere diventata il centro della discografia italiana, brulicava di iniziative e di personaggi più o meno strampalati in cerca di fortuna e visibilità, studi di registrazione, e la grande mamma RCA pronta ad accogliere, sperimentare, lanciare o buttare via.

Sempre nei primi anni ’70 eravamo uno sparuto gruppo di musicisti esordienti che cercavano opportunità lavorative (Roberto Conrado, Luigi Lopez, Loredana Bertè e la sorella Mia Martini, Renatino Zero, Amedeo Minghi, Antonello Venditti, Francesco De Gregori, Mimmo Locasciulli etc). Suonavo nei concerti con Romano Mussolini e Tony Scott, ma mi piaceva anche molto la musica pop ed avevo il pallino di diventare un turnista in sala di registrazione. L’opportunità ci venne data dall’apertura di una di queste, lo “Studio 38” a via Guido Banti, nel quartiere chic di Vigna Clara, con annessi gli uffici di una nuova etichetta discografica, la Apollo Records di Vianello (con il quale mi esibivo in tour) e Califano. Fortuna volle che l’altra parte degli uffici venne occupata dalla IT di Vincenzo Micocci (…Vincenzo io t’ammazzerò/ perché sei troppo stupido per vivere/ gli cantava gentilmente Alberto Fortis, per essere stato da lui ignorato come artista… ). Personalmente mi sentii “come un pisello in un baccello” perché incominciai ad essere chiamato a suonare da tutti. Infatti iniziai con De Gregori (Alice non lo sà) proseguendo con Minghi (Amedeo Minghi), Edoardo De Angelis, Renato Zero (No mamma, no, però nei grandi studi dell’RCA, alla quale sia la It che la Apollo erano affiliate), Rino Gaetano (I love you Maryanna) che produssi anche. Ma anche tanti altri come: Edoardo e Stelio (Lella), Daniela Goggi, I Vianella (Semo Gente de Borgata) etc. Insomma, quel posto era il fulcro dell’attività di molti giovani esordienti musicisti. Ovviamente, considerate le giovani età e l’inesperienza, le sedute di registrazione spesso erano totalmente disorganizzate! Ricordo il primo giorno che ci riunimmo per registrare “Alice non lo sa”, nella più assoluta ingenuità eravamo solo in tre: Francesco De Gregori, il fonico Aurelio Rossitto ed io. Dissi a Francesco che sarebbe stato meglio chiamare qualcun altro, un batterista ed un chitarrista. Feci un po’ di telefonate e nel pomeriggio si presentarono Massimo Buzzi e Jimmy Tamborrelli, cosicchè potemmo iniziare a lavorare sui brani. Ovviamente non c’erano direttori o arrangiatori, quindi ognuno di noi si prodigava ad organizzare la seduta e a mettere a posto i pezzi. Spesso scrivevo le parti per gli altri musicisti ed inventavo l’arrangiamento, senza che questo fosse riconosciuto economicamente o, magari, scritto nei crediti del disco. Ma allora funzionava così… (fine prima parte)

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