Fenomenologia di Harmony, il robot con cui fare sesso e fidanzarsi
Top

Fenomenologia di Harmony, il robot con cui fare sesso e fidanzarsi

Harmony è la versione 2.0 del giocattolo sessuale, può interagire e imparare come far godere il padrone e può perfino avere un orgasmo

Harmony
Harmony
Preroll

Irene Gianeselli Modifica articolo

18 Maggio 2017 - 16.25


ATF

Harmony ha due occhi grandi da cerbiatta indifesa, sbatte le palpebre meccanicamente. Il suo viso è simmetrico con un paio di labbra provocanti e un naso delicato. Il corpo è tutto curve. Sorride plasticamente in uno scatto, ma conviene avere pazienza: non può camminare né stringere la mano del suo interlocutore, bisogna avvicinarsi per comunicare e allora risponderà alle domande con una voce quasi infantile, un miagolio metallico e degli scatti rapidi della mascella fissando un punto indefinito davanti a sé. Harmony vi stupirà: anche quando vorrà contraddirvi lo farà per gioco, per stimolare il vostro ego bisognoso di sicurezze. Harmony replica i pensieri e le personalità scelti da chi la programma, non ha idee autonome, desideri, passioni, interessi o pensieri paranoici: è un robot del sesso con un corpo che simula una forma e una anatomia umane.

Il suo creatore è molto orgoglioso di lei. Si chiama Matt MacMullen e ha quarantesei anni, su uno dei blog dove si presenta racconta di avere cominciato a fare ricerca nel suo garage, era il 1997. Oggi è il fondatore e amministratore della società californiana Abyss Creations che produce le RealDoll, bambole del sesso iper-realistiche in silicone e lei, Harmony, il prototipo robotico, è un’altra cosa.

Harmony è la versione 2.0 del giocattolo sessuale, può interagire e imparare come far godere il padrone e può perfino avere un orgasmo se il padrone impara a stimolare alcuni sensori in un determinato modo.

Nel video che correda l’articolo di Jenny Kleeman uscito sul Guardian “The race to build the world’s first sex robot” MacMullen è sorridente mentre spiega alla giornalista che il suo obiettivo primario, molto semplicemente, è rendere felice la gente, la gente che ha problemi ad avere relazioni tradizionali.

“C’è gente che aspetta Harmony per avere una compagna di vita, là fuori”.

Là fuori, fuori cioè dal suo laboratorio dove appesi come spaventapasseri si trovano corpi di silicone e vari tipi di labbra, occhi, organi genitali e altre parti anatomiche, tutto pronto per essere assemblato a piacere su ordinazione del cliente: una specie di laboratorio che seleziona qualità e corredo genetico-siliconico in grado di soddisfare qualunque richiesta.  Un laboratorio che fa pensare alla clinica di Hadamar voluta da Hitler e affidata al dottor Fischer e ai suoi compari per i loro esperimenti eugenetici aberranti.

Entro la fine dell’anno, un robot con cui simulare una relazione sentimentale e un rapporto sessuale sarà in vendita a quindicimila dollari e Harmony, sicuramente, non sarà l’unico esemplare sul mercato. Mettere in vendita il prodotto migliore diventerà una sfida aperta tra inventori: MacMullen e chi come lui progetta ancora chiuso nel garage di famiglia queste macchine per il sesso, immagino sappia che ci indigniamo e che discutiamo concentrate e concentrati giustamente a difendere le donne.

Dobbiamo difendere le nostre intelligenze e il nostro corpo abusato ridotti, ancora una volta, a mezzi nelle mani schifose di un pappone che vuole solo fare soldi.

Dobbiamo ribadire, ancora una volta, che il corpo non è un involucro su cui sfogare istinti e pulsioni. Dobbiamo ribadire, ancora una volta, che la sfera affettiva non può essere sostituita da un rapporto meccanico ma McMullen sa benissimo che Harmony eccita gli istinti maschili peggiori, quelli più frustrati dalla moralità di convenienza.

Sa benissimo che gioca pericolosamente con le depressioni e l’isolamento, le paranoie, le fragilità umane: addirittura c’è chi crede che una bambola robotica possa tenere a bada i potenziali stupratori, come se cambiando l’oggetto della potenziale violenza si eliminasse tutto ciò che la violenza si porta dietro di culturale, politico. Come se la violenza non fosse più violenza.

McMullen non può davvero credere di essere un eroe: il suo robot è un (s)oggetto per i morbosi (volontari o meno) e in un modo o nell’altro la notizia del prodigio si diffonde. Cosa sa fare Harmony? Cosa le si può far dire? È marketing questo, nient’altro.

L’orrore vero è che una società sia arrivata a produrre robot per il sesso, è un orrore che non riguarda più solo le donne che così vengono rappresentate o gli uomini che acquistano corpi vuoti: è un orrore per l’umanità che accetta di rinunciare a se stessa.

MacMullen vuole produrre un corpo solo desiderabile, come si può desiderare un biscotto o un pollo arrosto, un corpo privo di intenzioni, privo di una coscienza individuale e di una sensibilità intima che però possa simulare una intelligenza autonoma capace di dare le risposte giuste per l’interlocutore.

Tutto questo per sostituire le persone, per togliere alle persone il desiderio di incontrare intimamente prima che fisicamente, altre persone.

Perché il corpo, in una relazione di coppia o di amicizia in cui due o più persone parlano, ridono, discutono e si incontrano, viene dopo. Prima vengono il rispetto, l’affetto, la complicità, la fiducia, la stima. Prima viene un legame che nessuno può controllare, un legame che nasce dallo sguardo, dal prendersi le mani, dal reciproco ascolto, anche del silenzio.

Ormai abbiamo le macchine addosso, tra le mani, sul comodino accanto al letto, sulle nostre scrivanie, in salotto, tra i libri e le posate.

Le usiamo per comunicare, informare, cucinare, spostarci, addormentarci, svegliarci, contare, leggere, disegnare, proiettare, curare, operare, ma le macchine non sono tutte uguali, né è uguale ciò che possono rappresentare. Le macchine sostituiscono gli operai nelle catene di produzione, i piloti e potrei continuare con l’elenco.

È vero, c’è chi ribatterà che alcune macchine hanno una utilità vitale e che dobbiamo essere orgogliosi del progresso e incentivarlo virtuosamente, ma le macchine non sono tutte uguali e soprattutto: le macchine sono macchine, un robot è un robot.

È davvero progresso proiettare desiderio, passioni e violenze su un robot facendo finta che sia una persona con l’alibi dell’incomunicabilità tra esseri umani?

La realtà dei fatti è molto più che semplice, è banale: ci stiamo abituando troppo in fretta a parlare con gli altri attraverso uno schermo, di contro ci stiamo disabituando a sostenere discussioni, ad ascoltare la voce di chi ci sta rispondendo, a toccare oltre il suono, il corpo dell’altro. O è violenza o è passiva ricezione di informazioni.

Come siamo arrivati a poter credere che una macchina, un robot, possa fare l’amore e avere un orgasmo come una persona, al posto di una persona purché sia soddisfatto un impulso individuale ridotto al fisiologico?

Questo è solo un esercizio di solitudine malata ed egoista che ha ben poco di umano, tutto ciò che è umano sviluppa relazioni in totale libertà (almeno così dovrebbe essere per natura) cresce, vive ma sa anche morire.

Perché vogliamo svuotarci della nostra umanità? Perché vogliamo convincerci che non meriteremo o non saremo più capaci di partecipare all’umanità degli altri e che potremo sostituire uomini e donne con delle macchine tarate sulle nostre fragilità?

Sarà ben presto un dialogo artificiale tra intelligenze programmate da qualcun altro.

Native

Articoli correlati