Geopolitica ed energie rinnovabili
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Geopolitica ed energie rinnovabili

Le energie rinnovabili chiedono un nuovo disegno geopolitico che le classi dirigenti europee fanno fatica a delineare. La Cina ci precede di 40 anni.

Geopolitica ed energie rinnovabili
Rinnovabili in Cina
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Giorgio Benigni Modifica articolo

27 Gennaio 2023 - 19.04


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Il 12 gennaio 2022 i giornali hanno lanciato la notizia della scoperta di un importante giacimento di terre rare in Svezia. E’ senz’altro una buona cosa per l’Europa. Le cosiddette “terre rare” infatti sono una serie di elementi chimici, 17 per l’esattezza, essenziali per la costruzione di motori e batterie elettriche nonché di pale eoliche, pannelli solari e per tutta l’elettronica sia civile che militare. Insomma, insieme ad altri metalli come il litio e il cobalto sono il materiale del futuro, se il futuro deve essere la transizione ecologica. 

Ad oggi è la Cina a possedere la maggioranza relativa delle riserve mondiali di terre rare, 44% circa, ma soprattutto ad avere il quasi monopolio della tecnologia di lavorazione, di tutti i processi di ingegnerizzazione e prototipazione per l’utilizzo di questi materiali nei motori a magneti elettrici, tra l’85 e il 90%. Quindi non solo la Cina è il più grande produttore ma di fatto è anche il più grande importatore. Gestisce o cogestisce anche la maggior parte dei giacimenti attivi nel mondo, dal Congo al Brasile, dall’Argentina al Cile alla Bolivia, dalla Birmania al Vietnam. 

Al momento la domanda globale di terre rare è inferiore alla disponibilità, quindi non c’è nessuna spirale inflazionistica, ma sia nel 2011 che nel 2019 ci sono stati dei bruschi innalzamenti di prezzo dovuti alla stretta dell’export cinese: ad oggi la Cina può fare con le terre rare quello che ha fatto  l’OPEC con il petrolio. Ma non solo, IRENA, l’Agenzia internazionale per le energie rinnovabili, nel documento di approfondimento “Critical materialis for energy-transition – Rare earth elements”, scrive: «in uno scenario ambizioso di transizione energetica, la domanda totale di magneti permanenti per i veicoli elettrici ed eolici e le REE (terre rare)  che essi contengono potrebbe più che raddoppiare da qui al 2030». E’ poi abbastanza di dominio pubblico che una delle ragioni della guerra tra Russia e Ucraina stia anche nel controllo di un territorio, il Donbass, che nasconde una grande quantità di minerali strategici. 

Mentre tra il 2018 e il 2020 la Cina investiva solo nelle miniere del Sudamerica 16 miliardi di dollari, l’Europa e gli Stati Uniti hanno fatto ben poco. Ora però gli Usa si sono dati una scossa, e hanno tirato fuori un documento in cui, tra le altre cose, si leggere che litio, cobalto nickel e terre rare sono “non-fuel minerals essential to the economic and national security of the United States”.  Quindi di fatto la stessa importanza del petrolio e del gas naturale. 

Tutto questo semplicemente per dire che la tanto e giustamente agognata transizione energetica non sarà, come nelle intenzioni di alcuni, l’approdo ad una nuova era in cui l’umanità, finalmente liberata dal giogo degli idrocarburi, vivrà in pace e armonia con se stessa e con la natura. La transizione ecologica non ci porterà, necessariamente, fuori dagli imperialismi, dai conflitti geopolitici, dalle ritorsioni commerciali e di approvvigionamento. E neppure fuori dal rischio di disastri ambientali vista la complessità e la pericolosità del processo di estrazione. 

Sicuramente c’è un tema di limitare la domanda di questi metalli dando vita a un sistema di recupero e riciclo delle apparecchiature elettroniche, i cosiddetti RAEE, che contengono notevoli quantità di terre rare e metalli strategici, apparecchiature che quindi dovranno essere progettate per essere riciclate, cosa che attualmente non avviene. 

Ma se pure spingere verso l’economia circolare dei metalli rari è una condizione imprescindibile, bisogna sapere che questa ha bisogno di una tecnologia e di una impiantistica di cui, ad oggi, l’Italia e l’Europa sono scarsissimamente fornite. Se ne è parlato in un interessante convegno all’Accademia dei Lincei il 24 e 25 gennaio scorsi.

Senza giacimenti sul proprio territorio, senza giacimenti scoperti e gestiti all’estero, senza una impiantistica tecnologicamente avanzata, l’Europa e l’Italia non sono in condizione di competere sul piano industriale, commerciale e occupazionale, la corsa alla transizione ecologica. Le energie rinnovabili chiedono un nuovo disegno geopolitico che le classi dirigenti europee fanno fatica a delineare. La Cina ci precede di 40 anni. E’ tempo di chiamare attorno a un tavolo i grandi campioni europei del settore minerario, per l’Italia l’ENI, e decidere che il settore “exploraction&production” accanto ai giacimenti di metano e petrolio, lavori pure alla ricerca e all’estrazione dei metalli strategici del XXI secolo. Altrimenti, se così non sarà, con la transizione energetica arriverà pure quella ad uno stato permanente di subalternità dell’Europa e dell’Italia a potenze straniere ed egemoni. La scoperta svedese è una buona notizia, ma una rondine non fa primavera.

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