Il governo Draghi si è auto-incensato come promotore della transizione ecologica ma nei fatti…
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Il governo Draghi si è auto-incensato come promotore della transizione ecologica ma nei fatti…

La posizione di Draghi appare ambigua e contraddittoria: inaccettabile per un governo che si è autoincensato come promotore della transizione ecologica e poi invece, nei fatti, retrocede e sostiene posizioni antiambientaliste.  

Il governo Draghi si è auto-incensato come promotore della transizione ecologica ma nei fatti…
Cingolani e Draghi
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Eleonora Evi Modifica articolo

28 Giugno 2022 - 11.23


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Dopo quasi un anno di attesa, preparazione e difficili negoziazioni, le prime proposte del pacchetto Fit for 55, cuore legislativo del Green Deal europeo presentato dalla Commissione Von der Leyen a luglio 2021, hanno finalmente raggiunto il loro acme parlamentare. Nelle due sessioni plenarie di questo mese, infatti, abbiamo adottato la posizione del Parlamento su una serie di dossier che intendono riformare l’architettura normativa europea in materia di clima, elevando l’ambizione degli obiettivi di riduzione delle emissioni di gas a effetto serra in diversi settori chiave, incrementando l’assorbimento di carbonio da parte delle foreste, riformando il mercato europeo per lo scambio di quote di emissioni (ETS) nonché istituendo il nuovo meccanismo di aggiustamento del carbonio alle frontiere (CBAM) e un Fondo sociale per il clima che sostenga i più vulnerabili nella transizione. Ma andiamo con ordine. 

Innanzitutto è importante fare una premessa sull’approccio con il quale, come gruppo dei Verdi/ALE, abbiamo affrontato questo pacchetto di proposte. I testi originariamente presentati dalla Commissione europea, infatti, sono stati concepiti coerentemente con l’obiettivo di ridurre le emissioni di gas climalteranti almeno del 55% entro il 2030, un importante passo in avanti rispetto all’attuale quadro legislativo, ma ancora lontani da quanto necessario per rispettare gli Accordi di Parigi e mantenere l’aumento delle temperature entro 1.5°C. Per questa ragione, nel corso di tutto l’iter parlamentare, ci siamo battuti per aumentare l’ambizione dei diversi dossier nel tentativo di allinearli alle esigenze climatiche e alle evidenze scientifiche, ottenendo in alcuni casi miglioramenti sostanziali, ma scontrandoci altresì contro l’opposizione furiosa delle destre e dei gruppi più reazionari dell’emiciclo, assoggettati alle pressioni delle lobby industriali e determinati a fare di tutto per ostacolare la trasformazione verso un’economia neutrale al clima. 

Uno dei voti che hanno visto il maggiore scontro in aula è stato quello sul sistema di scambio di quote di emissioni (ETS), uno strumento fondamentale nella lotta alla crisi climatica, che obbliga i grandi inquinatori, come le industrie e le raffinerie, ad acquistare certificati corrispondenti al loro livello di emissioni, la cui quota totale si riduce di anno in anno, favorendo così la decarbonizzazione. Questo sistema, in vigore già da molti anni, presenta però alcune gravi lacune, come il diritto di molte industrie a beneficiare di ‘permessi gratuiti’, che corrispondono di fatto alla possibilità di inquinare senza pagare.

 A maggior ragione alla luce dell’introduzione del CBAM, meccanismo volto a tassare le emissioni dei beni importati in Ue e, come tale, a garantire parità di condizioni con i prodotti europei, noi Verdi abbiamo sostenuto la cessazione dei permessi ETS gratuiti per le industrie in parallelo all’entrata in vigore del nuovo strumento. Le destre hanno cercato però in ogni modo di preservare questo privilegio almeno fino a quando proposto dalla stessa Commissione europea, vale a dire il 2035. Dopo strenui scontri e il rinvio del voto alla sessione plenaria successiva, siamo però riusciti a trovare un compromesso che fissa al 2032 la data di fine dei permessi gratuiti. 

Altra battaglia cruciale, conclusasi con un esito ancor più favorevole, è stata quella sugli standard di emissioni per auto e furgoni, in cui abbiamo salvaguardato il divieto di immatricolazione per i nuovi veicoli a motore endotermico – quindi a benzina e diesel – a partire dal 2035. In questo caso, il governo italiano è stato purtroppo tra i più subdoli nel tentativo di affossare il voto e ridurre l’ambizione dei target. Noncurante del fatto che il nostro Paese sia tragicamente primo in Europa per morti premature da inquinamento dell’aria, anche a causa del trasporto su strada e del numero esorbitante di auto per abitante (650 ogni 1000), l’esecutivo di Draghi ha infatti tentato di fare pressione su noi eurodeputati affinché non sostenessimo l’obiettivo del 100% delle riduzioni di CO2 da auto e furgoni entro il 2035 e avallassimo invece soluzioni inefficienti ed inquinanti come i carburanti sintetici. A fronte dell’insuccesso ottenuto, il governo ha poi recentemente presentato al Consiglio europeo un documento che propone di posticipare lo stop ai motori a combustibili fossili al 2040, dimostrando l’assenza di qualsiasi visione programmatica e l’incapacità di fornire certezze chiare al settore automotive. 

Questo è tra l’altro in aperto contrasto con quanto espresso nel dicembre 2021 dal Cite (Comitato Interministeriale alla Transizione Ecologica), che si dimostrava invece favorevole al divieto a partire dal 2035. La posizione di Draghi appare quindi decisamente ambigua e contraddittoria, il che è inaccettabile per un governo che si è auto-incensato come promotore della transizione ecologica e poi invece, nei fatti, retrocede e sostiene posizioni anti-ambientaliste.  

Per quanto riguarda invece gli altri dossier del pacchetto Fit for 55, sebbene non siano stati oggetto di scontri cosi profondi, ci siamo comunque impegnati a rafforzarli per accelerare l’azione climatica, sostenendo ad esempio l’inclusione dell’intero settore dell’aviazione all’interno dell’ETS ed introducendo nuovi obblighi di rimboschimento per incrementare la capacità di assorbimento di carbonio da parte del settore della silvicoltura e dell’uso del suolo. Da menzionare è anche l’istituzione, da noi Verdi fortemente voluta, del Fondo sociale per il clima, il primo nel suo genere, che mira a sostenere i cittadini dell’Ue a far fronte ai costi della transizione, soprattutto in un contesto di grande volatilità ed aumento dei prezzi dell’energia, e che è destinato in particolare alle persone e famiglie più vulnerabili, nonché alle microimprese in difficoltà. In questo contesto, siamo soddisfatti di essere riusciti ad ottenere maggiori investimenti nell’efficienza energetica e nelle rinnovabili, cosi come nella diffusione di pompe di calore. 

Dovrebbe infatti essere ormai chiaro a tutti che efficienza energetica ed energia rinnovabile sono il mezzo più rapido ed economico per ridurre i costi dell’energia e raggiungere finalmente una piena indipendenza energetica. Il quadro che emerge da questo mese campale al Parlamento è quindi particolarmente complesso e variegato perché, se da un lato siamo riusciti a migliorare molte proposte, preservandone gli aspetti positivi e colmando diverse lacune, dall’altro non è stato purtroppo possibile garantire sempre livelli di ambizione in linea con quanto ci chiede l’urgenza della crisi climatica.

 È per questo che il nostro gruppo è più che mai determinato a proseguire con rinnovato vigore tutte queste battaglie, tanto nei negoziati interistituzionali quanto nell’iter legislativo delle altre proposte del Green Deal, in modo da costruire una politica climatica in linea con gli obiettivi di Parigi e in accordo con la posizione della comunità scientifica, contrastando i negazionisti della lotta al cambiamento climatico e le menzogne delle destre e del loro finto ambientalismo pragmatico.

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