La "Grande bruttezza" della destra israeliana: (quando lo capiranno i cantori nostrani dell'Israele che fu?)
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La "Grande bruttezza" della destra israeliana: (quando lo capiranno i cantori nostrani dell'Israele che fu?)

Perché non essere realisti e ammettere - anche a destra - che l'anniversario dell'assassinio di Rabin è una sorta di giorno dell'indipendenza per molti oltranzisti?

La "Grande bruttezza" della destra israeliana: (quando lo capiranno i cantori nostrani dell'Israele che fu?)
Rabin, Bill Clinton e Arafat
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

29 Agosto 2022 - 17.40


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Israele, la “Grande bruttezza” della destra israeliana. Grande perché in crescita. E perché rispecchia la deriva ultranazionalista dello Stato ebraico.

La “Grande bruttezza”.

Perché tale lo spiega con sapienza su Haaretz Carolina Landsmann.

“Siri, cos’è la bruttezza? La bruttezza è il membro della Knesset Itamar Ben-Gvir che si reca all’ospedale Kaplan per visitare un detenuto amministrativo palestinese in sciopero della fame da 90 giorni. La bruttezza è ciò che ha scritto questo vigliacco prima della sua visita: “Verrò per esaminare da vicino le condizioni di ricovero del terrorista Qawasme, le cure che gli vengono somministrate e per vedere con i miei occhi il miracolo di un uomo che non mangia da mesi e che rimane vivo”.
Perché non essere realisti e ammettere – anche a destra – che l’anniversario dell’assassinio di Rabin è una sorta di giorno dell’indipendenza per molti, certamente per Ben-Gvir. È come una festa nazionale. In futuro potrebbe persino diventare una festa tra i sionisti religiosi. Perché offuscare? Ora, questo ammiratore di Meir Kahane, che idolatra l’assassino di massa Baruch Goldstein, vuole – giustamente, secondo le sue stesse idee – divertirsi in questa occasione festiva, e non c’è modo che rimanga bloccato alla Knesset in questo giorno, ascoltando il ronzio di un governo di riconciliazione tra coloni e Tel Avivi durante la sessione commemorativa. Si potrebbe pensare che sia morto qualcuno o qualcosa del genere. Vorrebbe colpire qualcuno in testa con uno di quei palloncini gonfiabili per il Giorno dell’Indipendenza, e quale testa sarebbe più adatta di quella del “terrorista Qawasme” morente.
Non sapremo mai cosa aveva in mente di fare nella stanza del paziente. Forse per piazzarvi uno snack bar, come il personale del Servizio carcerario ha fatto qualche anno nella cella di Marwan Barghouti, invogliandolo a interrompere uno sciopero della fame dei detenuti della sicurezza. O forse intendeva mangiare lui stesso la merendina sul letto del paziente, godendosi la vista delle briciole che gli sporcavano il petto e gli tormentavano il naso, con la stessa espressione di compiaciuta stupidità spalmata in modo permanente sul viso.

Siri, cos’è la bruttezza? La bruttezza sono gli agenti di polizia che quello stesso giorno hanno impedito a una donna palestinese detenuta di allattare il suo bambino per circa quattro ore, mandando un attivista a comprarle il latte artificiale, che il bambino naturalmente ha rifiutato, finché la donna non è stata rilasciata senza condizioni. Se Ben-Gvir lo avesse saputo, forse si sarebbe precipitato alla stazione di polizia di Shaar Binyamin per continuare i festeggiamenti, bevendo una busta di latte al cioccolato in faccia al bambino – un futuro terrorista di tre mesi. Parliamo seriamente, per una volta, senza le distinzioni da strappalacrime e da santarellino: pur opponendovi con tutto il cuore a Oslo, e ritenendo Rabin un traditore e un mafioso, non l’avete assassinato. Certo che l’avete assassinato. Non con le vostre mani, naturalmente. Non ha avuto nulla a che fare con l’assassinio, eppure lo ha ucciso. Non perché non vi piacesse Rabin. Certo che le piaceva Rabin; a chi non piaceva? Non era una questione personale. Volevate solo bloccare un processo storico a qualunque costo, e ci siete riusciti. Non avete solo ucciso. Avete ucciso ed ereditato. Qualcuno ha qualche dubbio sul fatto che il sionismo religioso abbia ereditato il Paese? Ovunque si guardi oggi si vede il sionismo religioso. Sono ovunque. Con gli zucchetti, senza zucchetti, a destra, a sinistra, nel governo e nell’opposizione, in tutta la struttura di comando dell’esercito, nella polizia, nella procura di Stato, nei media. Oggi tutti parlano di sionismo religioso. Dopo tutto, chi diavolo è il primo ministro?
Aspetta, questa è un’intera rubrica su Ben-Gvir senza una parola su Ayman Odeh, il membro arabo della Knesset che lo ha spinto? Sì, non una parola su di lui. Solo su di noi, che abbiamo lasciato che questo mostro, Ben-Gvir, diventasse un eroe culturale, e che abbiamo lasciato che Ayelet Shaked, la Grande Dama della Supremazia Ebraica, infangasse la storia di Israele con il suo odio per i neri, e che abbiamo santificato il Sionismo Religioso, e i suoi avidi insediamenti, e tutta questa ignobile melma con cui abbiamo infangato i Palestinesi, e anche Odeh, per decenni. Siamo riusciti a distrarre persino Odeh. Che Dio ci aiuti”.

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Così Landsmann.

Le manovre di “Bibi”.

Ne tratta un’altra firma di punta del quotidiano progressista di Tel Aviv: Noa Landau.

“I sondaggi di opinione che prevedono un risultato teorico senza precedenti, otto o nove seggi alla Knesset, da parte del partito Otzma Yehudit guidato da Itamar Ben-Gvir, hanno messo fine alle estenuanti lotte di potere tra Ben-Gvir e il partito del Sionismo religioso, guidato da Bezalel Smotrich. Sotto le pressioni del groomsman dell’estrema destra, il leader dell’opposizione Benjamin Netanyahu, i due si sono resi conto dei limiti dell’elettorato nazionalista: La fulminea ascesa di Ben-Gvir sarebbe avvenuta a scapito di una caduta in picchiata della destra di Smotrich al limite della soglia elettorale. Questi numeri indicavano che era giunto il momento di smettere di contrattare i posti nella lista elettorale e venerdì, dopo un incontro a tre con il maestro d’asilo Netanyahu, è stato raggiunto un accordo su un’altra corsa congiunta. Netanyahu è ovviamente coinvolto fino al collo in questa unione, per paura che il suo blocco di destra possa perdere un pezzo importante del puzzle della coalizione. Secondo la spiegazione pubblica, egli ha bisogno sia di Ben-Gvir che di Smotrich per creare, insieme ai partiti ultraortodossi, una coalizione “pienamente di destra”. “L’unità è all’ordine del giorno, per garantire la vittoria del campo nazionale e l’istituzione di un governo nazionale stabile”, si legge in una dichiarazione rilasciata a suo nome dopo l’incontro. Ma questa parte del puzzle non è necessariamente ciò che sembra per il centro-sinistra.
Perché se, proprio come nelle tornate precedenti, i nazionalisti e gli ultraortodossi non fossero sufficienti? E se anche in questo caso non si riuscisse a trovare dei disertori per colmare le lacune? In tal caso, un’altra possibilità sempre più praticabile è quella di trasformare Ben-Gvir e Smotrich in merce di scambio – per eliminarli dall’equazione quando si procede verso un accordo di coalizione. Come il capro espiatorio biblico, in questo scenario l’unione dei due partiti diventa il pericolo chiaro e presente per la democrazia israeliana, che dovrà essere evitato ad ogni costo. Compreso il costo di riportare Netanyahu al potere condiviso. In queste circostanze, tutti gli occhi si rivolgeranno al nuovo partito Gantz-Sa’ar-Eisenkot. Si dovrà dare loro un pretesto per unirsi al Likud, per mancanza di scelta ovviamente, per salvare Israele dagli estremisti di entrambe le parti. Il governo “chiunque-ma-Ben-Gvir”.
Il documento pubblicato dal Ministro della Difesa Benny Gantz, dal Ministro della Giustizia Gideon Sa’ar e dall’ex Capo di Stato Maggiore dell’Idf Gadi Eisenkot sul loro partito Hamahane Hamamlachti affermava che avrebbe “cercato di creare un’ampia coalizione” con tutti i partiti che “sostengono lo status dello Stato di Israele come Stato ebraico, sionista e democratico, basato sui principi della Dichiarazione di Indipendenza”. Cosa significa questa definizione? Il Likud non la contraddice di certo, e il documento non contiene nemmeno un accenno alla squalifica di Netanyahu. Al contrario: Il documento cita ripetutamente l’unità nazionale e la creazione di un’ampia coalizione senza “frange”, evitando un’altra elezione. Per quanto riguarda il criterio del sionismo, i partiti ultraortodossi non sono mai stati esclusi. Negli ultimi tempi Gantz ha lavorato molto sulla sua immagine di persona in grado di relazionarsi con gli ultraortodossi, e lo stesso ha fatto Sa’ar. Se fino a qualche anno fa i criteri “ebraico” e “sionista” erano un chiaro pretesto per tenere fuori gli arabi, nell’Israele del 2022 è stato dimostrato che esistono partiti arabi che possono esservi inclusi. Oggi il mondo politico è composto da “arabi buoni” che possono entrare nella coalizione e da “arabi cattivi” che resteranno fuori (il flirt di Balad con una scissione dalla Lista comune potrebbe persino aiutare entrambi i blocchi in questo).

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D’altra parte, è Ben-Gvir che sembra apparire pubblicamente come una contraddizione al criterio di “democraticità”. Per salvare Israele dal grande demone dell’Otzma Yehudit, alla cui crescita sta contribuendo con entusiasmo anche la sinistra, Gantz dovrà creare una coalizione di governo con il demone minore del Likud – che, questa volta, sarà il primo in un accordo di rotazione (dopo tutto, le lezioni sono state imparate). E così, il governo di “chiunque tranne Ben-Gvir”, di unità nazionale, potrebbe riabilitare la legittimità politica di Netanyahu”.

Così Landau.

Per finire un consiglio a quegli esponenti del centrosinistra italiano che continuano a ripetere ritornelli politicamente corretti che non tengono conto di ciò che Israele è diventato: una etnocrazia “democratica”. I suddetti esponenti fanno finta di non sapere, o forse non lo sanno proprio, che l’Israele raccontato da Lindesmann e Landau, da Gideon Levy e da Alon Pinkas, per citare alcune delle firme di Haaretz che i lettori di Globalist hanno imparato a conoscere e, si spera, ad apprezzare, è l’Israele reale, segnato da una vittoria culturale, e poi politica, della destra. Delle destre. Certo, poi c’è una minoranza illuminata, a cui abbiamo dato voce, che si batte per una pace giusta con i palestinesi, che denuncia il regime di apartheid instaurato da Israele nella Cisgiordania occupata, che racconta il fascismo, sì fascismo, che permea parte dell’estrema destra identitaria israeliana. Illuminata, ma pur sempre una minoranza, che tale è non solo alla Knesset (il Parlamento israeliano) ma nel Paese. Israele è anche scrittori che abbiamo imparato a conoscere in Italia e ad amare: Abraham Yehoshua, Amos Oz, David Grossman. Israele sono anche loro, ma non sono loro, purtroppo, a rappresentare il senso comune, la psicologia di una nazione. La visione d’Israele che permea le riflessioni di alcuni dirigenti del Pd, è una visione consolatoria, di un tempo che fu ma che poco o niente ha a che fare con l’Israele del presente. Prima se ne rendono conto e meglio è. Almeno ci risparmierebbero stucchevoli litanie. 

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