Il disordine riarmista e alcune verità scomode sulla resistenza ucraina
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Il disordine riarmista e alcune verità scomode sulla resistenza ucraina

Riteniamo un importante contributo alla chiarezza quanto scritto su unimondo.it da Giorgio Beretta, uno dei più autorevoli e impegnati esponenti di Ripd.

Il disordine riarmista e alcune verità scomode sulla resistenza ucraina
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25 Aprile 2022 - 19.09


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Se la sicurezza fosse garantita dalle armi, il mondo sarebbe iper sicuro. Ma la realtà evidenzia l’opposto.

Una Campagna da sostenere

“Ma se la spesa negli eserciti potesse veramente darci sicurezza non l’avremmo già raggiunta? Le capacità militari sempre maggiori e le politiche e i discorsi militaristi ci hanno portato solo a più devastazione umana ed ecologica”. Sono questi i punti centrali delle richieste della Campagna internazionale contro le spese militari (Gcoms) che in queste settimane celebra le proprie Giornate globali di mobilitazione, a cui aderiscono anche la campagna Sbilanciamoci e la Rete Italiana Pace e Disarmo: “Chiediamo che i governi riducano le loro spese militari e impegnino invece i fondi per la sicurezza comune e umana, investendo nei veri bisogni delle persone e del pianeta per costruire una pace giusta e sostenibile. Per darle una possibilità, dobbiamo dare fondi alla pace” si legge nell’appello internazionale della Gcoms.

Invece i governi di tutto il mondo continuano ad aumentare le risorse per i propri eserciti, come evidenziato dai dati diffusi oggi dall’istituto Sipri di Stoccolma. Nel 2021 la spesa militare mondiale ha superato per la prima volta la soglia dei duemila miliardi di dollari, raggiungendo il record storico di 2.113 miliardi: si tratta di una crescita dello 0,7% rispetto al 2020 e di un aumento del 12% in 10 anni. Gli effetti economici della pandemia Covid-19 non hanno fermato la continua tendenza al rialzo iniziata nel 2015. La spesa militare combinata dei primi 15 Paesi ha raggiunto i 1.717 miliardi di dollari nel 2021, rappresentando l’81 per del totale. Gli Stati Uniti (che rappresentano il 38 per cento della spesa militare mondiale nel 2021) e la Cina (14 per cento) rimangono di gran lunga i due maggiori investitori in armi ed eserciti, mentre la spesa complessiva dei 30 Paesi della Nato equivale al 55% del totale globale. L’Italia rimane all’undicesimo posto per spesa militare, con una crescita del 4,6% rispetto al 2020 (maggiore della media dell’Europa Occidentale con +3,1%). Una crescita testimoniata anche dai dati specifici per il nostro Paese elaborati dal’Osservatorio Mil€x, che ha già stimato i costi per il 2022: durante quest’anno verrà superato il muro dei 25 miliardi (25,82 in totale) con un aumento del 3,4% rispetto al 2021 e un balzo di quasi il 20% in 3 anni. Un miliardo in più verrà impiegato per l’acquisto di nuovi armamenti: 8,27 miliardi complessivi (record storico) in aumento del 13,8% rispetto all’anno scorso, con un salto del 73,6% negli ultimi tre anni (+3,512 miliardi rispetto ai 4,767 miliardi del 2019).

Ma tutto ciò sembra non bastare ai fautori della inefficace e falsa soluzione militare ai problemi del mondo: lo scorso marzo la Camera dei deputati ha infatti approvato (con pieno sostegno del Governo) un Ordine del giorno per arrivare ad un livello di spesa militare pari al 2% del PIL (indicazione Nato non vincolante). Un documento approvato a larga maggioranza, anche da Deputati che nella scorsa legislatura avevano aderito al gruppo dei “parlamentari per la pace” e che avevano promosso diverse iniziative per il disarmo. 

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Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo ritengono questa tendenza una scelta sbagliata e strumentale, oltre che demagogica e propagandistica di fronte alla guerra drammatica in Ucraina. Una scelta, tra l’altro, generica, in cui non si tiene conto delle implicazioni della destinazione della spesa e delle scelte in ambito europeo, che al momento non prevedono la costituzione di un esercito comune e – soprattutto – non stanno costruendo una politica estera e di difesa condivisa. L’armonizzazione europea della difesa dovrebbe comportare una diminuzione della spesa (grazie al coordinamento delle strutture e all’eliminazione di inutili sovrapposizioni) non un suo aumento.

Papa Francesco ci ha più volte indicato la strada del disarmo come la bussola della pace. Le guerre hanno fallito in questi anni: in Afghanistan sono ritornati I talebani, nel Medio Oriente non c’è pace dopo due guerre all’Iraq, in Libia non c’è stabilità dopo l’intervento occidentale di oltre dieci anni fa, in Yemen continua la catastrofe umanitaria derivante da un conflitto alimentato con le nostre armi; e anche la guerra di Putin andrà incontro al fallimento, non prima di aver portato morte e distruzione. L’elemento comune di tutte queste tragedie è l’altissimo prezzo pagato dalle popolazioni civili, vittime e bersagli delle follie armate. 

Nel mondo non ci sono poche armi: ce ne sono troppe. La guerra in Ucraina, le altre guerre ignorate e i rischi e le tensioni presenti in tutto il mondo non si fermeranno aumentando le spese per le armi, ma investendo in politiche di pace e di sicurezza comune e condivisa.

Non daremo mai il nostro consenso a chi si schiera per politiche di riarmo. Da molti sondaggi si rileva come la maggioranza degli italiani sia contraria all’aumento delle spese militari: chiediamo alla politica un maggiore ascolto di questa posizione. In tale senso vanno le seguenti proposte di Sbilanciamoci e Rete Italiana Pace e Disarmo, che puntano a spostare risorse da armi ed eserciti verso investimenti sociali e strumenti di pace:

  • Moratoria almeno per un anno sull’acquisto di sistemi d’arma, per quanto non già concretizzato. Come già ricordato, nel 2022 sono previsti circa 8,2 miliardi complessivi per l’acquisizione di nuovi aerei, navi, blindati, sottomarini, droni, missili, munizionamento.
  • Spostamento delle risorse risparmiate dall’acquisto di armamenti su welfare, scuola, sanità e in particolare sul rafforzamento delle iniziative umanitarie e di cooperazione a favore della popolazione ucraina e, in generale, di tutte le situazioni di bisogno nel mondo (pensiamo alle crisi in atto in Yemen, Siria, Afghanistan, Etiopia/Eritrea, Iraq, Africa subsahariana…)
  • Costituzione e pieno finanziamento del Dipartimento della Difesa Civile non armata e Nonviolenta, mediante l’approvazione del progetto di legge promosso dalla campagna “Un’altra difesa è possibile”
  • Completamento del progetto sperimentale dei Corpi Civili di Pace e rilancio di questa iniziativa, che va resa strutturale e istituzionalizzata (anche nell’ambito del Dipartimento Dcnanv) mediante un finanziamento pluriennale molto più elevato dei primi 9 milioni ancora non interamente spesi
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Per discutere queste proposte le nostre organizzazioni invitano i Parlamentari ad un confronto diretto, da definirsi nei prossimi giorni”. Un confronto che non va disertato. Lo diciamo soprattutto ai parlamentari di quelle forze progressiste e di sinistra che si dicono vicini alle istanze pacifiste. Una vicinanza, aggiungiamo noi, che andrebbe praticata con voti coerenti. 

Si può discuterne?

A proposito di Resistenza. E’ possibile discuterne senza per questo essere tacciati di esseri al servizio di Putin? La posizione di Globalist è chiara, netta, documentata. Quella ucraina è una resistenza all’aggressore russo, Su questo non ci piove, non c’è discussione, almeno per noi. 

Detto questo, scavare in profondità, lo riteniamo un diritto-dovere per chiunque faccia informazione e non si è piegato al pensiero unico in mimetica.

In questa ottica, riteniamo un importante contributo alla chiarezza quanto scritto su unimondo.it da Giorgio Beretta, uno dei più autorevoli e impegnati esponenti di Ripd.

Scrive Beretta a proposito della resistenza ucraina e il contesto politico in cui essa è nata e opera: “Innanzitutto nel parlamento ucraino sono presenti da anni partiti di chiara matrice nazista, come Svoboda,  la formazione più antica, fondata nel 1991 quando si chiamava Partito Socialnazionalista d’Ucraina che nel 2014 assunse ruoli di primissimo piano nel governo e controllando Forze Armate, Polizia, Giustizia e Sicurezza Nazionale. Ma anche il Partito Radicale di Oleh Liashko che è stato in parlamento fino al 2019. E’ inoltre presente nella scena politica Pravyi Sektor (Settore Destro), gruppo guidato da Dmytro Jaroš, responsabile di numerose violenze, tra cui la strage di Odessa del 2 maggio 2014, in cui furono uccise 48 persone che avevano trovato rifugio nella Casa dei Sindacati. Vi è inoltre il famigerato Battaglione Azov, il gruppo paramilitare di estrema destra accusato dall’Osce dell’uccisione di massa di prigionieri, di occultamento di cadaveri nelle fosse comuni e dell’uso sistematico di tortura, che nel 2014 è stato incorporato nella Guardia nazionale dell’Ucraina e trasformato in unità militare regolare e permanente: il suo comandante, Denis Prokopenko, è stato recentemente insignito dal presidente Zelensky del titolo di “eroe nazionale dell’Ucraina”. Proprio il battaglione Azov sarebbe stato rifornito con armi inviate dall’Italia, come documentano alcune foto pubblicate su twitter. Come ha scritto Matteo Zola, “al di là della strumentalizzazione criminale che ne sta facendo il Cremlino, i movimenti di estrema destra hanno caratterizzato le dinamiche politiche in Ucraina negli ultimi vent’anni” e continuano a influenzare la scena politica e militare.[…] La resistenza ucraina non è affatto un movimento spontaneo e popolare, ma è la risposta decisa dal governo ucraino il 24 febbraio scorso a seguito dell’invasione militare russa, con la proclamazione della legge marziale e la coscrizione obbligatoria per tutti gli uomini dai 18 al 60 anni. Sebbene il governo non abbia specificato le misure concrete, la legge marziale in Ucraina prevede il controllo del territorio da parte dei militari che sono i referenti dell’applicazione della legge. Con l’imposizione della legge marziale il governo Zelensky ha vietato l’attività di undici partiti di opposizione rappresentati nel Parlamento europeo ucraino e si moltiplicano voci e denunce che parlano di arresti e segnalazioni di attivisti e di chiunque si opponga al governo in carica. Inoltre in Ucraina non è consentita l’obiezione di coscienza – se non per motivi strettamente religiosi – e la resistenza nonviolenta non è prevista. Il Movimento Nonviolento italiano, che è in contatto con quello ucraino e russo, ha comunicato che alcuni obiettori di coscienza ucraini hanno dovuto darsi alla clandestinità e sono ricercati dai militari in quanto disertori…”. Ed ancora: “Le forniture militari da parte dei paesi della Nato, se da un lato hanno contribuito alla resistenza ucraina, dall’altro – proprio per la mancanza di una forte azione di pressione politica da parte della Nato e soprattutto da parte degli Stati Uniti – sembrano indirizzate più allo scopo di prolungare il conflitto invece che alla sua risoluzione. Inoltre, ammassando truppe ai confini dell’Ucraina fin da prima dell’inizio del conflitto, la Nato non ha certamente favorito la de-escalation militare e la distensione dei rapporti con la Russia. L’impressione sempre più evidente, considerato l’atteggiamento dei contendenti, è pertanto che ci si trovi di fronte all’ennesima “proxy war” ovvero ad una “guerra per procura” all’interno dell’annosa contrapposizione tra Stati Uniti e Russia, in cui l’Ucraina è divenuta il terreno di battaglia.[..] Va inoltre ricordato che il governo ucraino avrebbe potuto evitare il conflittoStando a quanto riportato dal Wall Street Journal, il 19 febbraio scorso, cioè cinque giorni prima dell’invasione russa, il cancelliere tedesco Scholz, per scongiurare il conflitto, propose al presidente Zelensky di rinunciare pubblicamente a entrare nella Nato, ma avrebbe avuto un rifiuto da parte del presidente ucraino. Nello specifico, Scholz “avrebbe esortato il presidente ucraino a rinunciare alle sue aspirazioni di aderire alla Nato e ad assumere la neutralità come parte di un più ampio accordo di sicurezza nella regione europea. Questo patto sarebbe stato firmato da Vladimir Putin e Joe Biden e avrebbe contenuto clausole per la sicurezza dell’Ucraina”, riporta l’agenzia AskaNews”.

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Annotazioni documentate che non vengono utilizzate da Beretta per contestare una verità che l’autore stesso ribadisce a conclusione del suo scritto: “Resistenza ucraina che ha tutto il diritto di essere considerata resistenza di popolo a fronte dell’inaccettabile e criminale aggressione da parte delle forze armate russe. Aggressione che va condannata “senza se e senza ma”. Come tutte le aggressioni nei confronti di Stati sovrani e popolazione inermi”.

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