La Costituzione "arruolata" e in mimetica: è permesso discuterne?
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La Costituzione "arruolata" e in mimetica: è permesso discuterne?

La Costituzione italiana non esclude che il nostro paese possa trovarsi in guerra. Così il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato ieri in conferenza stampa.  Ma...

La Costituzione "arruolata" e in mimetica: è permesso discuterne?
Giuliano Amato
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

9 Aprile 2022 - 16.15


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La Costituzione in mimetica. Arruolata a forza nella guerra ucraina.  Costituzione in mimetica, pregasi dibattito

Ora, sulla guerra in atto da 45 giorni in Ucraina, si può pensare di tutto e di opposto. Si può discettare se si tratta di una guerra d’aggressione da parte russa o di una guerra per procura, che l’America sta combattendo contro la Russia sostenendo militarmente Kiev. Una cosa però dovrebbe accomunare tutti quelli che, al di là degli orientamenti politici professati, hanno due neuroni funzionanti: non si può decidere se l’Italia è o no in guerra votando un  decreto (il decreto Ucraina). Il dibattito deve essere molto ma molto più serio e investire il Parlamento, snidare i partiti, investire la società civile.

Amato possibilista

La Costituzione italiana non esclude che il nostro paese possa trovarsi in guerra. Così il presidente della Corte costituzionale Giuliano Amato ieri in conferenza stampa. 

Secondo il presidente della Consulta nel dibattito sul “ripudio della guerra” in Costituzione “va ricordato”, oltre agli articoli 11 e 52, “l’articolo 78 che dice che il Parlamento delibera lo stato di guerra e conferisce al governo i poteri necessari. Ciò implica inesorabilmente che l’Italia possa trovarsi in guerra, altrimenti non vi sarebbe ragione che questo articolo si trovi in Costituzione”. Se a essere aggredita non è l’Italia ma è un altro Paese “sottolineo – dice Amato – che se all’Italia non fosse consentito per Costituzione di partecipare alla difesa di Paesi terzi aggrediti sarebbero illegittimi per l’Italia sia l’articolo 5 del trattato Nato sia l’articolo 42 dell’Unione europea che dice che qualora uno Stato membro subisca un’aggressione sul suo territorio gli altri Stati membri sono tenuti a prestare assistenza con tutti i mezzi in loro possesso, in conformità all’articolo 51 della Carta dell’Onu, che configura come diritto naturale di autotutela quello di uno Stato di difendersi da un attacco armato”. 

Questi trattati internazionali, aggiunge, “implicano un obbligo degli Stati membri che un’interpretazione restrittiva di quei tre articoli” della Costituzione “renderebbe illegittimi”.

I “dubbi” dei costituzionalisti

Spiega Michele Ainis, ordinario di Diritto Costituzionale all’Università Roma Tre, in una intervista a Il Fatto quotidiano: 

“Se adottiamo il punto di vista dei costituenti del ’47, non c’è dubbio che avrebbero fortemente dissentito con una co-belligeranza, anche se questa si traduce, come accade oggi, con l’invio di armi e non di eserciti. Questo è pacifico”. “Se andiamo a guardare i manuali di Diritto costituzionale del primo dopoguerra –rimarca Ainis – è chiaro che l’unica guerra ammissibile è quella difensiva rispetto alla nostra integrità territoriale. Eppure  l’esercito italiano ha combattuto molte guerre oltre confine: in Libano, Somalia, Iraq, Bosnia, Afghanistan, Libia. E, con i bombardamenti in Kosovo, nel 1999”. Un problema che si era posto anche con l’adesione italiana alla Nato: “C’è stato un lungo tempo in cui era chiarissimo che nessuna guerra fuori dai nostri confini fosse legittima. Poi c’è stato un secondo tempo in cui, grazie anche all’uso delle parole – ‘missione di pace’, ‘intervento umanitario’ – le cose sono cambiate”. A chi obietta che, essendo legittima la guerra di difesa, anche quella ucraina sarebbe altrettanto legittima, Ainis risponde: “I costituenti si riferivano all’invasione del nostro territorio. Altrimenti ogni volta che uno Stato ne aggredisce un altro (e nelle guerre succede quasi sempre) dovremmo intervenire, per obbligo costituzionale. Come si usa dire, l’argomento prova troppo”.

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Quanto all’aumento delle spese militari votato dal Parlamento, il costituzionalista dice alla sua intervistatrice, Silvia Truzzi: “Questo intervento s’inscrive in una zona costituzionalmente neutra, nel senso che non esiste divieto. Certo però che se l’aumento delle spese militari diventasse talmente sproporzionato da pregiudicare i diritti sociali, allora se ci sarebbero dei problemi di legittimità. Altro è darne una lettura politica: se me lo chiede, rispondo che a me personalmente non piace.”

Così Ainis

Di grande interesse è l’articolo di Gaetano Azzariti, ordinario di Diritto Costituzionale a La Sapienza di Roma, pubblicato da Il Manifesto il 6 marzo scorso. Scrive Azzariti: “Nel dibattito parlamentare sulla guerra in Ucraina la Costituzione è stata rimossa. Mai richiamata né nell’intervento del presidente del Consiglio, né nella risoluzione approvata con il concorso di maggioranza e opposizione. In fondo può comprendersi.

Non è facile coniugare lo scontro armato con il diritto, la guerra assieme al suo «ripudio». Ben presente invece la Nato, richiamata nel discorso rivolto alle Camere per ben sei volte. C’è allora da chiedersi se, in caso di guerra, i principi costituzionali debbano essere sostituiti con i vincoli internazionali. Domanda per nulla peregrina poiché è evidente che la crisi Ucraina ha una sua determinante dimensione globale e la soluzione deve essere ricercata coinvolgendo il diritto internazionale più che quello nazionale. Ciò non toglie però che il comportamento del nostro Governo, anche sul piano dei rapporti con gli altri Stati e nelle organizzazioni cui è parte, deve essere indirizzato dalla sua legge suprema.

D’altronde la nostra Costituzione fornisce precise indicazioni. Non tanto nelle disposizioni che prevedono il «sacro dovere di difesa della Patria» (art. 52) e dunque la legittimità della guerra difensiva (secondo quanto specificato negli articoli 78, 60 e 87), quanto nel sempre richiamato, ma poco meditato, articolo 11 della Costituzione. È questa una disposizione più articolata e meno «arresa» di quanto non si dica solitamente.

Infatti, non solo si enuncia il principio pacifista del «ripudio della guerra come strumento di offesa alla libertà degli altri popoli e come mezzo di risoluzione delle controversie internazionali», ma si indica con chiarezza in che modo si deve assicurare quest’obiettivo. In assoluta continuità concettuale, stilistica e sostanziale (l’articolo non è distinto in commi, bensì composto da un’unica frase separata da punti e virgola) si richiamano le organizzazioni internazionali rivolte ad assicurare la pace e la giustizia tra le Nazioni. Nei confronti di queste, in condizioni di parità, sono ammesse limitazioni di sovranità; richiedendosi altresì che esse siano promosse e favorite. Il richiamo all’Onu è del tutto esplicito (anche storicamente fondato, basta leggere gli atti dell’Assemblea costituente).

Non può invece farsi risalire a questa disposizione né la nostra adesione alla Nato, né i vincoli di natura militare che comporta. Il che non vuol dire che sia «incostituzionale» l’adesione al patto atlantico (almeno fin tanto che si presenta come organizzazione di «difesa» dei Paesi aderenti), ma semplicemente che non è questa l’organizzazione idonea a conseguire l’obiettivo supremo della pace e la giustizia tra le Nazioni. Non è neppure difficile comprendere perché sia necessario affidarsi ad organizzazioni che perseguono la pace come obiettivo e non la difesa armata come strategia. In Ucraina, in questo momento, se vuoi la pace devi far cessare il confronto militare, non solo quello armato che sta producendo gli orrori della guerra, ma anche quello tra le potenze e gli Stati che si armano per continuare lo scontro, magari in altre forme.

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È il tempo dei «costruttori di pace», ovvero di soggetti che in piena autonomia possano operare come mediatori tra le parti in lotta. Organizzazioni terze, non perché prive di giudizio – è chiaro in questo caso chi siano gli aggressori e chi le vittime – ma perché estranee al conflitto. Per poter svolgere la funzione di mediazione necessaria, infatti, non si può al tempo stesso partecipare alla guerra.

Sono note le enormi difficoltà in cui si trova ad operare oggi l’Onu. Ma, nel rispetto del principio pacifista della nostra Costituzione, ci si può arrendere e piegare alle logiche di potenza che stanno prevalendo, alla cultura del riarmo come strumento di difesa, all’orribile latinetto «si vis pacem, para bellum»? Ma veramente si pensa di poter fermare l’esercito di Putin contrapponendogli le vittime civili e armando agli aggrediti?
Non voltarsi dall’altra parte oggi vuol dire dirsi disponibili a mediare, chiedere a gran voce – l’intera comunità internazionale – una conferenza internazionale per affrontare la questione Ucraina, disposti a riconsiderare i rapporti geopolitici che ci hanno condotto alla soglia della distruzione dell’intera umanità. Una soglia che varcheremo se dovessero concretizzarsi le minacce nucleari, che vengono ormai cinicamente prospettate, con incredibile superficialità, dai vari leader del mondo.

Una domanda prima di ogni altra dovremmo a questo punto con urgenza e realisticamente porci: se non può essere l’Onu l’organizzazione internazionale in grado di «salvare le future generazioni dal flagello della guerra», riaffermando «la fede nei diritti fondamentali dell’uomo, nella dignità e nel valore della persona umana, nella eguaglianza dei diritti degli uomini e delle donne e delle nazioni grande e piccole» (così è scritto nel preambolo dello Statuto delle Nazioni Unite), chi altri? Seguendo la via maestra della nostra Costituzione – oltre che il nostro senso dell’umano – qualunque organizzazione internazionale rivolta a tali scopi. Un ruolo non indifferente possono esercitare le organizzazioni sociali non governative, le chiese e i partiti che credono che per costruire la pace non bisogna prepararsi alla guerra”.

Più chiaro di così…

Spese militari crescono. Direzione Kiev.

Altro tema su cui manca trasparenza. 

Scrive Enrico Piovesana su Milex, Osservatorio sulle spese militari italiane: “Il Consiglio d’Europa in queste ore ha annunciato l’aumento delle forniture militari all’Ucraina: dal già confermato miliardo a un miliardo e mezzo.. Ma chi paga per queste armi?

Le spese di questa operazione euro-atlantica sostenute da ogni Stato membro (ad eccezione di Austria, Irlanda e Malta che, per il loro status neutrale e non facendo parte della Nato, hanno potuto esimersi) sono coperte dall’European Peace Facility, strumento finanziario ‘fuori bilancio’ a supporto delle iniziative militari internazionali europee (che per il Trattato UE non possono essere a carico del bilancio dell’Unione).

Istituito il 22 marzo 202, con una prospettiva settennale e una dotazione previsionale di 5.692 milioni di euro, l’Epf è finanziato dai contributi annuali degli Stati membri dell’UE stabiliti in base al Reddito nazionale lordo. La quota di contribuzione annuale dell’Italia è quindi di circa il 12,5%. Ciò significa che il nostro Paese sta contribuendo al finanziamento dell’operazione di sostegno bellico all’Ucraina, al momento confermata per 1 miliardo di euro complessivo, con circa 125 milioni di euro. Se un’ulteriore tranche di 500 milioni verrà deliberata, come da indiscrezioni delle ultime ore, il contributo totale per l’Italia a questo specifico rimborso legato alle decisioni sul conflitto ucraino salirà a circa 187,5 milioni di euro. Fondi erogati per il controvalore armamenti secondo i meccanismi di funzionamento di questo nuovo strumento legato al Consiglio d’Europa.

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Il budget previsionale annuale dell’Epf prevedeva un incremento annuale: 420 milioni di euro nel 2021, 540 milioni nel 2022, 720 milioni nel 2023, 900 milioni nel 2024, 980 milioni nel 2025, 1 miliardo nel 2026 e 1.132 milioni nel 2027.
Il contributo italiano al Fondo è stato di circa 52,5 milioni nel 2021 e avrebbe dovuto essere di circa 67,5 milioni quest’anno.

Nel corso del 2021 sono stati spesi quasi 259 milioni di euro per forniture militari e supporto militare di vario genere a Paesi africani (85 milioni alla Somalia, 44 milioni al Mozambico, 35 milioni al G5 Sahel, 24 milioni al Mali e 10 milioni a Camerun, Chad, Niger e Nigeria), alla Georgia (12,75 milioni), alla Bosnia (10 milioni), alla Moldova (7 milioni) e all’Ucraina (31 milioni in ospedali da campo, sminamento, logistica e cyber-difesa).  

Il budget residuo dell’Epf del 2021 (161 milioni euro) e quello previsto per quest’anno (540 milioni) non bastano a coprire l’operazione ‘Armi all’Ucraina’, per la quale sono necessari subito ulteriori 800 milioni di euro complessivi, una cifra cui l’Italia dovrebbe essere chiamata a contribuire con circa 100 milioni di euro in più rispetto al previsto…”. 

Fin qui Piovesana.

Crescita esponenziale

Dal 2017 la spesa militare italiana ha continuato a crescere soprattutto per l’acquisto di nuovi armamenti: lo stanziamento nel 2022 segna un record storico. Spiega su MicroMega.net Giorgio Beretta, analista della Rete Pace e Disarmo: “Nei mesi scorsi il ministro della Difesa, Lorenzo Guerini, ha sottoposto all’approvazione del Parlamento un numero senza precedenti di programmi di riarmo: diciotto, di cui ben tredici di nuovo avvio, per un valore già approvato di 11 miliardi di euro e un onere complessivo previsto di 23 miliardi. La parte del leone è dell’Aeronautica con programmi per oltre 6 miliardi di euro. C’è di tutto: dai fondi per il nuovo cacciabombardiere Tempest  (2 miliardi dei 6 previsti) che si aggiungerà agli F-35, ai nuovi eurodroni classe Male; dagli aerei Gulfstream per la guerra elettronica alle nuove aerocisterne per il rifornimento in volo. Una grossa fetta della torta è destinata alle nuove batterie missilistiche antiaeree per missili Aster (2,3 miliardi di euro) e ai nuovi blindati Lince: ben 3.600 rimpiazzeranno i 1.700 già in dotazione all’Esercito. Non solo. Negli ultimi giorni dell’anno (2021,ndr) ne sono stati aggiunti cinque  portando a ventitré il numero dei programmi che il ministro della Difesa ha inviato alle Camere nel 2021 (record storico assoluto) per un valore complessivo che supera i 12 miliardi di euro e autorizzazioni di spesa annuale per oltre 300 milioni nel 2021 e per quasi mezzo miliardo nel 2022”, conclude Beretta.

 E’ chiedere troppo discuterne con serietà e in modo approfondito? Domanda che rivolgiamo in particolare ai partiti di sinistra e progressisti che sostengono il governo Draghi e che nell’esecutivo hanno la guida di importanti dicasteri (Guerini alla Difesa, Speranza alla Sanità, Franceschini alla Cultura, etc.).  In attesa di risposta, ringraziamo sentitamente.

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