In Libia soldati e miliziani sparano sui migranti indifesi: un abominio "silenziato"
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In Libia soldati e miliziani sparano sui migranti indifesi: un abominio "silenziato"

Baobab Experience chiede che qualcuno risponda di quanto avvenuto stanotte e un immediato intervento delle istituzioni europee e delle Nazioni Unite per porre fine a questo abominio.

In Libia soldati e miliziani sparano sui migranti indifesi: un abominio "silenziato"
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

11 Gennaio 2022 - 16.09


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Hanno aperto il fuoco su donne, uomini e bambini migranti e li trascinano nei centri di detenzione governativi. E’ successo in Libia, poche ore fa, davanti alla sede dell’Unhcr, l’Agenzia delle Nazioni Unite per i rifugiati.

Violenza sugli inermi

“Violenze perpetrate su individui davanti a quell’Organizzazione concepita e pagata per proteggerli – denuncia in un comunicato Baobab Experience -. Sembra fantascienza, ma è invece la quotidiana realtà di un Paese che l’Italia si ostina a definire ‘sicuro’ per decine di migliaia di migranti ridotti a schiavitù e vittime di violenza. Le notizie giunte ieri notte dalla Libia sono angoscianti, ma in pochi le riportano. L’esercito e le milizie del cosiddetto ‘Governo di Tripoli’ hanno attaccato il pacifico presidio sotto la sede dell’Unhcr, nella capitale libica. L’azione di polizia è volta a sgomberare e deportare i rifugiati che da 100 giorni chiedono aiuto, solidarietà e corridoi umanitari per proseguire il loro viaggio e lasciarsi alle spalle privazioni, torture e morte. 

Baobab Experience chiede che qualcuno risponda di quanto avvenuto stanotte e un immediato intervento delle istituzioni europee e delle Nazioni Unite per porre fine a questo abominio.

Bisogna fermare subito i finanziamenti alla cosiddetta Guardia costiera libica e alle milizie locali, organizzare un ponte aereo per portare in salvo le persone, aprire subito le frontiere.

Ogni minuto perso è una macchia di indelebile vergogna per tutti noi: significa collaborare con i carnefici”.

Un racconto puntuale

Tra i pochi che non hanno oscurato questo abominio è Avvenire. Scrive Nello Scavo, uno che la Libia la conosce come le proprie tasche: “Il rastrellamento delle milizie libiche su ordine delle autorità di Tripoli è scattato in piena notte, mentre quasi mille migranti e profughi dormivano sulla via d’accesso a una delle sedi dell’alto commissariato Onu per i rifugiati. A dare il via alle operazioni, che il governo rinviava da settimane anche a causa della forte esposizione mediatica internazionale dei profugi, che in collegamento avevano partecipato anche a un forum in Vaticano, è stata una richiesta esplicita dell’Unione Europea, attraverso l’inviato di Bruxelles in Libia .In una nota inviata ad Avvenire l’alto commissariato Onu per i rifugiati esprime da Tripoli preoccupazione per la sorte dei prigionieri e conferma come l’intera operazione abbia ancora diversi punti poco chiari.

Nelle settimane scorse vi erano stati momenti di tensione tra alcuni migranti e il personale di sicurezza che sorveglia la sede dell’alto commissariato. Anziché procedere a fermare le singole persone coinvolte nei disordini, Tripoli è intervenuta con una deportazione di massa, come già avvenuto nei mesi scorsi quando 4mila profughi vennero gettati nei campi di prigionia che nel frattempo si erano svuotati per effetto delle partenze vie mare e dei trasferimenti nei campi di detenzione recentemente aperti in pieno deserto, lontano da occhi indiscreti. 

Senza risparmiare donne incinte e bambini piccoli, gli stranieri sono stati tutti portati in strutture sotto il controllo del Dcim, dove secondo le Nazioni Unite avvengono da anni ‘orrori indicibili’. Il pugno di ferro contro i migranti è anche la prima azione pubblica del nuovo capo del Dipartimento, il capomilizia Al-Khoja sospettato dalle organizzazioni internazionali e da diversi rapporti Onu di essere al centro di una rete di trafficanti di esseri umani.

L’8 dicembre l’ambasciatore Ue Jose Sabadell aveva ribadito la sua preoccupazione ‘per l’attuale situazione al di fuori della sede di Unhcr Libia, che mette in pericolo la vita di molti e impedisce Unhcr di svolgere il proprio lavoro fornendo assistenza umanitaria ai più vulnerabili’. Unhcr, tuttavia, non ha mai chiesto alle autorità di Tripoli di sgomberare in massa i migranti, ma esclusivamente di intervenire su alcuni ‘facinorosi’ ‘Chiediamo alle autorità libiche di garantire la sicurezza e proteggere persone e locali’, aveva scritto su Twitter l’ambasciatore Sabadell. Due giorni dopo il diplomatico ha provato a correggere il tiro: ‘Siamo preoccupati per le violazioni dei diritti dei migranti, compresa la detenzione arbitraria in condizioni inaccettabili. Accogliamo con favore il lavoro dell’Onu, inclusa Unhcr, che fornisce assistenza umanitaria e protezione e chiediamo alle autorità libiche di facilitarli’. Ma oramai il segnale era stato chiaro e quale sarebbe stata la reazione delle varie polizie che si spartiscono il controllo della capitale, era prevedibile. 

Già nello scorso ottobre, in occasione del primo raid per le strade di Tripoli l’Alto commissariato Onu aveva chiesto la fine degli arresti arbitrari e la ripresa dei voli di evacuazione. Solo nel 2021 più di 1.000 persone che stavano per essere trasferite in Paesi africani sicuri sono rimaste bloccate in Libia per via del blocco dei corridoi umanitari, deciso unilateralmente da Tripoli…”, rimarca Scavo.

Un manifesto da sostenere

 “Siamo persone rifugiate che vivono in Libia.
Veniamo dal Sud Sudan, Sierra Leone, Ciad, Uganda, Congo, Ruanda, Burundi, Somalia, Eritrea, Etiopia e Sudan. Stiamo fuggendo – si legge in un manifesto politico diffuso dal missionario comboniano padre Alex Zanotelli – da guerre civili, persecuzioni, cambiamenti climatici e povertà nei nostri paesi di origine. Siamo state tutte spinte da circostanze al di là della sopportazione umana.


Volevamo raggiungere l’Europa cercando una seconda possibilità per le nostre vite e siamo dunque arrivate in Libia. Qui siamo diventate la forza lavoro nascosta dell’economia libica: poniamo mattoni e costruiamo case libiche, ripariamo e laviamo auto libiche, coltiviamo e piantiamo frutta e verdura per i/le contadini/e libici/he e per le mense libiche, montiamo satelliti su tetti alti, schermi etc. A quanto pare questo non basta alle autorità libiche. La nostra forza lavoro non è sufficiente.  Vogliono il pieno controllo dei nostri corpi e della nostra dignità. Quello che abbiamo trovato al nostro arrivo è stato un incubo fatto di torture, stupri, estorsioni, detenzioni arbitrarie.
Abbiamo subito ogni possibile e inimmaginabile violazione dei diritti umani, non solo una
volta. Siamo stati intercettati con la forza in mare dalla cosiddetta guardia costiera libica – finanziata dalle autorità italiane ed europee – e poi riportate nelle carceri e nei disumani campi di concentramento. Alcune di noi hanno dovuto ripetere questo ciclo di umiliazione due, tre, cinque, fino a dieci volte. Abbiamo cercato di alzare la voce e diffondere le nostre storie. Le abbiamo raccontate a istituzioni, politici, giornalisti ma, a parte pochissimi interessati, le nostre storie sono
rimaste inascoltate. Siamo stati deliberatamente messi a tacere e abbiamo deciso di rompere questo silenzio. Dal 1° ottobre 2021, il giorno in cui la polizia e le forze militari libiche sono venute nelle nostre case nel quartiere di Gargaresh e hanno compiuto repressioni spietate e raid di massa contro di noi, migliaia di persone sono state arbitrariamente arrestate e detenute in disumani campi di concentramento. Il giorno dopo, siamo venuti come individualità e ci siamo riuniti presso la sede dell’Unhcr. Qui abbiamo capito che non avevamo altra scelta che iniziare ad organizzarci. Abbiamo alzato la nostra voce e quella dei rifugiati che sono stati costantemente messi a tacere.
Non possiamo continuare a restare silenti mentre nessuno difende noi e le nostre vite . Ora siamo qui per rivendicare i nostri diritti e cercare protezione in Paesi sicuri. Perciò ora chiediamo con fermezza con le nostre voci:
– Evacuazioni verso terre sicure dove i nostri diritti possano essere tutelati e rispettati.
– Giustizia e uguaglianza tra rifugiati e richiedenti asilo registrati presso l’Unhcr in Libia.
– L’abolizione dei finanziamenti alle guardie costiere libiche che hanno, costantemente e
violentemente, intercettato le persone in fuga dall’inferno libico e le hanno portate in Libia dove sono vittime di ogni tipo di atrocità.
– La chiusura di tutti i centri di detenzione in Libia, che sono interamente finanziati dalle autorità italiane ed europee.
– Che le autorità consegnino alla giustizia i/le colpevoli che hanno sparato e ucciso i nostri fratelli e le nostre sorelle sia dentro che fuori dai centri di detenzione.
– Che le autorità libiche interrompano la detenzione arbitraria delle persone prese in carico
dall’Unhcr.
– Forzare la Libia a firmare e ratificare la costituzione della Convenzione di Ginevra del 1951 sui/lle rifugiati/e.

FREEDOM, HURRIYA, LIBERTÀ!”.

Apocalisse umanitaria

L’Organizzazione internazionale per le migrazioni (Oim) ha pubblicato il suo rapporto per l’anno 2021 sui rifugiati e i migranti in Libia. Secondo i dati Oim, 32.425 migranti sono stati intercettati e riportati in Libia dal Mediterraneo, tra cui 28.528 uomini, 2.428 donne, 877 minori e 431 ragazze minori, oltre ad altri 151 di cui non si conosce il genere. Il rapporto menziona anche la morte di 655 migranti e la scomparsa di altri 897 nello stesso periodo.

Escalation di persone rinchiuse nei centri di detenzione libici

E’ quanto emerge anche dal Report 2021 sul diritto d’asiloche la Fondazione Migrantes ha presentato il 14 dicembre scorso, a Roma.

Nel 2021, fino al 6 novembre la Guardia costiera “libica” ha intercettato in mare e riportato in territorio libico 28.600 rifugiati e migranti, un dato senza precedenti (dal 2016, il totale supera ormai le 100 mila persone). Da inizio anno all’8 novembre, i rifugiati e migranti che sulla rotta del Mediterraneo centrale sono riusciti ad arrivare in Italia o a Malta sono circa 56.700: quindi, meno del doppio di quelli intercettati e riportati in Libia, spesso con metodi brutali. Il 2021 – mette in evidenza ancora l’indagine – ha visto una nuova escalation delle persone rinchiuse arbitrariamente nei centri di detenzione libici: i soli centri “ufficiali” della Direzione per il contrasto dell’immigrazione illegale ne stipavano ai primi di ottobre circa 10 mila fra uomini, donne e minori contro i 1.100 scarsi di gennaio.

“Al 17 ottobre risultano trattenute nei centri di detenzioni in Libia 7.055 persone, di cui almeno 2,500 ci riguardano direttamente come agenzia”, spiega a Today Caroline Gluck, alto funzionario addetto alle Relazioni esterne di Unhcr Libya Operation. “Tuttavia l’Unhcr e i suoi partner hanno solo un accesso limitato ad alcuni centri e nessun accesso a quelli creati recentemente nella parte occidentale della Libia. Riteniamo che altre migliaia di richiedenti asilo, rifugiati e migranti siano ancora tenuti prigionieri da diverse forze di sicurezza, contrabbandieri o trafficanti in luoghi imprecisati.”

“Le condizioni nei centri di detenzione sono disastrose”, denuncia la funzionaria. “Spesso sovraffollati e privi di strutture igienico-sanitarie di base, sono luoghi in cui le violazioni dei diritti umani sono state ben documentate – più recentemente, ad esempio, dalla Missione d’inchiesta indipendente sulla Libia”. Ecco perché l’Unhcr chiede “il rilascio di tutti i rifugiati e richiedenti asilo trattenuti in stato di detenzione, la fine della detenzione arbitraria in Libia e la creazione di alternative alla detenzione”.

Sono trascorsi tre mesi da questa denuncia, e la situazione è ulteriormente peggiorata.

Dichiara Rupert Colville, portavoce dell’United Nations Office High Commissioner for Human Rights (Ohchr): “Siamo profondamente preoccupati per una serie continua di espulsioni forzate di richiedenti asilo e altri migranti in Libia, inclusi due grandi gruppi di sudanesi nell’ultimo mese, con un altro gruppo di 24 eritrei apparentemente a rischio imminente di trattamento simile.”.

 Secondo le informazioni provenienti dal team dell’Ohchr in Libia, il 6 dicembre un gruppo di 18 sudanesi è stato espulso senza un giusto processo dopo essere stato trasferito dal centro di detenzione di Ganfouda a Bengasi al centro di detenzione di al-Kufra nel sud-est della Libia.  Si tratta di persone fuggite da un Paese nel quale recentemente c’è stato il secondo colpo di stato militare in pochi anni e il governo ad interim libico – appoggiato, finanziato e armato anche dall’Italia – ha grosse responsabilità, visto che come denuncia Colville, “Entrambi i centri sono sotto il controllo del Dipartimento per la lotta alla migrazione illegale (Dcim) del ministero dell’interno». A quanto pare, i richiedenti asilo sudanesi sono stati trasportati attraverso il deserto del Sahara fino alla zona di confine tra Libia e Sudan scaricati lì senza nessuna assistenza.

L’Ohchr ricorda che “Un mese prima, il 5 novembre, un altro gruppo di 19 sudanesi era stato deportato in Sudan, sempre da Ganfouda attraverso il centro di detenzione di al-Kufra. Negli ultimi mesi, anche altri migranti provenienti da Sudan, Eritrea, Somalia e Ciad, compresi bambini e donne incinte, sono stati arrestati e sono già stati espulsi o potrebbero esserlo in qualsiasi momento. Tali espulsioni di richiedenti asilo e altri migranti in cerca di sicurezza e dignità in Libia senza il giusto processo e le garanzie procedurali necessarie, violano il divieto di espulsioni collettive e il principio di non respingimentoai sensi del diritto internazionale dei diritti umani e dei rifugiati”.

Invece di soccorrerli e garantire loro assistenza e dignità di trattamento, gli sparano a freddo e li spingono a forza nei campi di detenzione. Un abominio assoluto. Con l’Europa silente e complice. E con essa una sempre più vergognosa stampa mainstream. 

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