L'Ucraina nella Nato, l'ira di Putin e quell'ombra nera su Kiev
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L'Ucraina nella Nato, l'ira di Putin e quell'ombra nera su Kiev

Joe Biden sostiene l'aspirazione dell'Ucraina a diventare membro della Nato: lo ha detto la portavoce della casa bianca, Jen Psaki, riferendo, in conferenza stampa. Ma...

L'Ucraina nella Nato, l'ira di Putin e quell'ombra nera su Kiev
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

10 Dicembre 2021 - 16.11


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Sostenere l’indipendenza e l’integrità nazionale di un Paese è una cosa, supportare la richiesta di quel Paese di entrare nella Nato, senza curarsi delle gravi ricadute geopolitiche che ciò comporta, è tutt’altro discorso. Le due cose non vanno in automatico. Ma di questo avviso non è l’inquilino della Casa Bianca.

Kiev nella Nato

Joe Biden sostiene l’aspirazione dell’Ucraina a diventare membro della Nato: lo ha detto la portavoce della casa bianca, Jen Psaki, riferendo, in conferenza stampa, che nella telefonata col presidente ucraino, Biden ha ribadito che supporta la sovranità di Kiev e che l’aggressione è da parte russa. Il presidente Zelensky ha ringraziato Biden per il fermo sostegno. “L’aggressione è da parte russa, l’ammassarsi di truppe è da parte russa”, ha affermato Psaki. Interpellata sulla dichiarazione di Putin, che in queste ore ha paragonato a un “genocidio” quanto sta avvenendo nel Donbass, Psaki ha osservato che “i russi sono noti per le loro escalation retoriche” e per la diffusione di disinformazione. Si è svolta nel pomeriggio italiano, infatti, l’attesa e annunciata telefonata tra il presidente degli Stati Uniti, Joe Biden, e il presidente ucraino, Volodymyr Zelensky. Una telefonata che è stata incentrata soprattutto sull’esito del colloquio di mercoledì scorso tra il presidente statunitense, Biden, e il presidente russo, Vladimir Putin. Secondo indiscrezioni riportate dall’Associated Press, Biden avrebbe cercato di convincere Zelensky a cedere parte delle aree del Donbass già in mano ai separatisti filorussi.

Usa: 424,4  milioni di dollari per sostenere la democrazia

“L’iniziativa presidenziale per il rinnovamento democratico rappresenta un’espansione significativa e mirata degli sforzi del governo degli Stati Uniti per difendere, sostenere e far crescere la resilienza democratica con partner governativi e non governativi che la pensano allo stesso modo. Nel prossimo anno, gli Stati Uniti hanno in programma di fornire fino a 424,4 milioni di dollari per l’iniziativa presidenziale, in collaborazione con il Congresso e in base alla disponibilità di stanziamenti'”. Lo scrive la Casa Bianca in una nota divulgata in avvio del summit per la democrazia indetto dal presidente Usa. “Dobbiamo agire contro gli autoritarismi e per la protezione dei diritti umani. Restare fermi non è un’opzione”, ha detto Biden aprendo il summit per la democrazia dove ha invitato oltre 100 Paesi. ‘Le democrazie stanno sperimentando un declino, compresi gli Usa. La sfida del nostro tempo è preservare la democrazia, il che non accade per caso e non è una dichiarazione ma un atto. Combattere la corruzione, difendere la libertà dei media e i diritti umani sono tra la priorità”, ha aggiunto Biden. 

Il presidente Usa  ha poi interagito con il gruppo dei Nove di Bucarest (Romania, Bulgaria, Repubblica ceca, Estonia, Ungheria, Lettonia, Lituania, Polonia e Slovacchia) del fianco Est dell’Alleanza “per sottolineare l’impegno degli Usa alla sicurezza transatlantica e il sacro impegno verso l’articolo 5 della Nato”, quello sulla mutua difesa. I leader hanno discusso il destabilizzante rafforzamento militare russo lungo il confine con l’Ucraina e la necessità di una posizione Nato “unita, pronta e risoluta per la difesa collettiva degli alleati”.

 Zelensky ringrazia Biden 

Il presidente ucraino ha ringraziato l’omologo americano per il “costante, deciso e forte sostegno alla sovranità e all’integrità territoriale” del suo Paese. “E’ diventata una tradizione per i presidenti degli Stati Uniti e dell’Ucraina avere colloqui in un’atmosfera molto franca e aperta. La conversazione è durata quasi un’ora e mezza”, ha spiegato il capo dell’ufficio presidenziale di Zelensky, Andrei Yermak. “L’Ucraina è uno Stato assolutamente pacifico e non ha in programma di attaccare nessuno. Vogliamo solo portare pace alla nostra terra e riavere i nostri territori e il nostro popolo”.

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La rabbia dello Zar

Il capo del Cremlino ha definito una “provocazione” la domanda di chi in conferenza stampa gli ha chiesto della possibilità di un’invasione russa dell’Ucraina: “Mosca – ha detto Putin – agirebbe solo a scopo difensivo: naturalmente siamo preoccupati della potenziale adesione dell’Ucraina alla Nato perché questa risulterebbe in basi militari e truppe piazzate nel territorio ucraino”. “La Russia ha una politica estera pacifica – ha concluso Putin – ma ha il diritto di difendere la sua sicurezza”. 

 il Cremlino accusa la Nato di espandere la sua infrastruttura militare in modo provocatorio verso i suoi confini, mentre l’Alleanza Atlantica lamenta i tentativi di Mosca di ripristinare la sua influenza su Paesi un tempo parte del blocco sovietico. Di conseguenza, la Nato valuta le proprie scelte con la necessità di rafforzare la sicurezza degli Stati membri vicini alla Federazione russa. Una spirale segnata nel 2014 dal rischio del ritorno ad una vera e propria guerra quando, dopo la rivoluzione di Maidan in Ucraina, Mosca ha illegalmente annesso la penisola di Crimea alla federazione. E nell’aprile scorso, un assembramento senza precedenti di soldati e mezzi russi al confine ucraino aveva fatto temere un’escalation armata alle porte dell’Europa.  Una volta rientrata la crisi, Mosca ha ordinato che le armi pesanti fossero tenute sul posto, circa 160 chilometri a est del confine, per tenersi pronta a rispondere rapidamente in caso di uno “viluppo sfavorevole”   della situazione durante le esercitazioni della NAto Defender Europe. 

Scrive Anna Zafesofa su La Stampa. “Truppe ammassate sul confine contro sanzioni mai viste prima, contratti su forniture di gas contro aiuti militari a Kiev: in queste ore, Mosca e Washington stanno scoprendo una dopo l’altra le rispettive carte nella partita che si gioca intorno all’Ucraina. Vladimir Putin ha alzato la posta, chiedendo esplicite garanzie di non allargare la Nato a Est, verso gli ex satelliti sovietici, una minaccia che nella sua visione ottocentesca assume una valenza esistenziale, in quella antica teoria che impone di frapporre tra la Russia e l’Europa degli “Stati-cuscinetto” per attutire un’invasione da Occidente che dai polacchi nel ’600 a Napoleone e Hitler viene ritenuta imminente dai manuali di strategia russi. Joe Biden respinge le “red lines” poste dal presidente russo e dichiara che sta “lavorando per rendere molto difficile per Putin fare quello che si teme voglia fare”, cioè la guerra, vera e non più soltanto “ibrida”, per riprendersi quello che era il gioiello più grande e prezioso dell’impero sovietico, l’Ucraina.[…] Intanto Putin – che rifiuta quello che ritiene un negoziato inutile con gli ex fratelli di Kiev, considerati una colonia occidentale, e pretende di parlare con quelli che considera i veri padroni – ha già vinto un vertice seppure in videoconferenza con Biden. La sua tattica della “tensione positiva” alimentata in Europa gli ha ridato la visibilità cui ambisce. Se fosse veramente una partita a poker, potrebbe anche considerarlo un risultato di cui accontentarsi. Il problema è capire se il Cremlino stia invece veramente giocando a Risiko.”

Le ragioni della Russia

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Per Mosca è sempre stato fondamentale avere l’Ucraina sotto la propria sfera d’influenza per tutta una serie di fattori economici, militari e  anche sociali, basti pensare che ancora oggi in Ucraina il 17% circa della popolazione (7 milioni su 40) sono di etnia russa. Mosca infatti in più occasioni ha ribadito che il proprio intervento militare in Ucraina era volto alla tutela della popolazione di etnia russa presente nel Donbass e in Crimea. Chiaramente, gli interessi di Mosca in Ucraina non sono di natura esclusivamente umanitaria: la penisola di Crimea ricopre anche un ruolo strategico dal punto di vista militare, a Sebastopoli, capitale della Crimea, si trova la principale base della flotta del Mar Nero della marina russa, che si occupa delle operazioni nel Mar Nero e nel Mar Mediterraneo. L’importanza strategica di questa base e la possibilità di perderla nel caso di un governo Ucraino apertamente ostile sono state un’altra delle ragioni principali dell’intervento militare da parte di Mosca.  Esistono inoltre anche motivazioni di natura economica, l’Ucraina prima del 2014 era uno dei principali partner commerciali per la Russia, grazie anche alla dipendenza da parte di Kiev dal gas russo. Ad oggi le relazioni commerciali tra i due Paesi sono significativamente diminuite. L’Unione Europea è diventata il primo partner commerciale dell’Ucraina  e la Russia è scesa al secondo posto tallonata dalla Cina.

Le ragioni dell’Ucraina

Sin dal 1991 Kiev ha tentato di portare avanti una politica estera autonoma, ma allo stesso tempo tenendo presente la necessità di mantenere comunque buoni rapporti con lo “scomodo” vicino. Già nel 1994 l’Ucraina aveva intavolato trattative per entrare a far parte della Nato. Richiesta ufficiale per entrare a farne parte venne fatta nel 2008, poi accantonata dal governo di Viktor Janukovyč. Dal 2014 in avanti le relazioni tra l’Ucraina e la Nato sono sensibilmente aumentate ed è previsto che l’Ucraina entri in un futuro prossimo a far parte di questa organizzazione come vero e proprio membro, come dichiarato dai leader della Nato durante il vertice di Bruxelles nel giugno 2021. Nonostante l’Ucraina non sia ancora un paese membro a pieno effetto, i leader della Nato si sono esposti chiaramente con una serie di pacchetti di aiuti militari volti a contrastare le ingerenze da parte di Mosca. Gli Stati Uniti dal 2014 ad oggi hanno fornito circa 2,5 miliardi di dollari in aiuti militari a Kiev e numerose sono state le operazioni militari svolte in prossimità dei confini russi da parte dei paesi membri della Nato. Un’altra questione che si intreccia nei rapporti tra Russia, Ucraina e Stati Uniti è quella inerente alla costruzione del Gasdotto Nord Stream 2 verso la Germania, che aggirando l’Ucraina, taglierebbe fuori Kiev dalle lucrose tasse di transito del gas, stimate in svariati miliardi di dollari all’anno. Il Presidente Ucraino in carica Zelenskiy ha descritto il nuovo gasdotto come una potente arma geopolitica per la Russia, chiedendo al Presidente americano Biden di opporsi al progetto.

L’ombra nera su Kiev

Pensiamo a “Settore Destro (in ucrainoПра́вий се́ктор, Pravyi Sektor), un partito politico nazionalista ucraino che si distingue per idee neonaziste e di estrema destra. Pensiamo a L’Unione Pan-Ucraina “Libertà” (in ucraino Всеукраїнське Об’єднання “Свобода”, Vseukraїns’ke Ob’jednannja “Svoboda”), nota semplicemente come Svoboda, di idee prettamente nazionaliste.

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Pensiamo poi al Reggimento “Azov”, meglio conosciuto come Battaglione “Azov (in lingua ucraina: Батальйон «Азов»),  un reparto paramilitare presente in Ucraina, che assolve a compiti militari e di polizia, facente parte della Guardia Nazionale d’Ucraina ed istituito principalmente per contrastare le crescenti attività di guerriglia dei separatisti filo-russi del Donbass durante la Guerra dell’Ucraina orientale del 2014. L’”Azov” è composto principalmente da volontari provenienti da partiti e movimenti legati all’estrema destra ucraina ed integrati da volontari d’ispirazione nazifascista provenienti da diversi paesi europei tra cui Italia, Francia, Spagna e Svezia. Il simbolo del battaglione è il Wolfsangel, icona nazista già in uso alla 2.SS Panzer.Division “Das Reich”.

Un problema politico

Annota Oleksiy Bondarenko in un documentato report su Osservatorio Balcani e Caucaso transeuropa: “La crescente ondata di estremismo non è una caratteristica che può essere attribuita solo all’Ucraina. Quello che però più preoccupa sono i legami con la politica e un vago senso di timore e rispetto che, nel contesto della guerra in Donbass, i gruppi di estrema destra possono suscitare. Molti dei membri delle varie organizzazioni hanno direttamente partecipato alla guerra in difesa del paese.

Inoltre, anche se questi gruppi si pongono ufficialmente in opposizione all’attuale governo, i rapporti tra il ministro degli Interni Arsen Avakov e alcuni degli ambienti estremisti non sono un mistero. Ma non si tratta solo dei rapporti tra Avakov e il comandante di Azov, Biletsky. Altri personaggi con un passato più che vicino all’estrema destra, ad esempio, ricoprono ora ruoli di spicco nella polizia (riformata nel 2014). Un esempio è l’ex cittadino bielorusso Serhiy Korotkykh, membro di Azov e Segretario del reparto della difesa degli obiettivi strategici che, secondo alcune fonti, sarebbe legato a doppio filo alla nuova ‘Milizia Nazionale’. Si spiega forse anche così, in parte, la riluttanza delle forze dell’ordine a punire gli attacchi alle manifestazioni pacifiche da parte dei vari gruppi di estrema destra.

Il cuore del problema però è come sempre politico. In un periodo particolarmente delicato per il paese e con le elezioni presidenziali che si avvicinano, avere dalla propria parte gruppi e organizzazioni che hanno a disposizione capitale umano e militare in grado di destabilizzare la situazione risulta fondamentale. Per questo molti analisti considerano il ministro degli Interni, Arsen Avakov, con i suoi rapporti opachi con personaggi di spicco degli ambienti estremisti, come la persona più influente del paese dopo il presidente Poroshenko. Non si tratta probabilmente, a dispetto di alcune voci, di un esercito personale del ministro, ma piuttosto di equilibri delicati, di un dare e avere, che caratterizzano da sempre la politica ucraina.

Elementi che, se consideriamo che la guerra nel Donbass è tutt’altro che terminata, rappresentano un punto di forza nella personale rivalità tra Avakov e Poroshenko. Una rivalità per il potere e non di certo per il futuro del paese. L’impunità e il proliferare di queste organizzazioni (C14, Milizia Nazionale e altre) non è quindi solo ascrivibile alla crescita del nazionalismo, ma affonda le radici nel sistema politico ucraino e negli opachi legami tra ambienti estremisti e il mainstream della politica del Paese”.

Il report è del 2018. Tre anni dopo, l’ombra nera incombe ancora sull’ucraina. 

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