L'Onu a Ginevra censura lo Stato di polizia di al-Sisi. A quando le sanzioni?
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L'Onu a Ginevra censura lo Stato di polizia di al-Sisi. A quando le sanzioni?

La dichiarazione rilasciata dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, esprime "profonda preoccupazione per la traiettoria assunta dai diritti umani in Egitto". E noi?

Manifestazioni in Egitto contro Al Sisi
Manifestazioni in Egitto contro Al Sisi
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

14 Marzo 2021 - 11.36


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Finalmente si accorgono dello scempio di legalità e di diritti che si consuma da anni all’ombra delle Piramidi. La dichiarazione rilasciata ieri a Ginevra dal Consiglio per i diritti umani delle Nazioni unite, esprime “profonda preoccupazione per la traiettoria assunta dai diritti umani in Egitto”.

I 31 Paesi firmatari, inclusi gli Stati Uniti e l’Italia, chiedono al Paese di Al Sisi di porre fine alla persecuzione di attivisti, giornalisti e oppositori politici, e il loro immediato rilascio. Si tratta della prima dichiarazione congiunta dal 2014 assunta dal Consiglio e la seconda da quando il Paese arabo è guidato dal presidente Abdel Fatah al-Sisi. 

Qualcosa si muove

La condanna è stata letta in un video dall’ambasciatrice della Finlandia Kirsti Kauppi.  A preoccupare i governi è “l’applicazione delle leggi sull’anti-terrorismo contro dissidenti pacifici” ma anche “contro attivisti per i diritti umani, persone Lgbtq, giornalisti, politici e avvocati”. Riconoscendo “l’importante ruolo svolto dall’Egitto nella questione migratoria e nel contrasto al terrorismo nella regione”, i firmatari lanciano un appello: “Chiediamo all’Egitto di garantire spazio alla società civile – inclusi i difensori dei diritti umani – affinché nessuno lavori più nella paura di subire minacce, arresti, detenzione o altre forme di repressione”.

È stato chiesto in particolare di rimuovere “il divieto di viaggio e il congelamento dei beni” a questi soggetti, “incluso lo staff dell’Eipr”, cioè l’Egyptian Initiative for personal rights, la ong di Patrick Zaky, lo studente dell’università di Bologna, ancora detenuto in un carcere egiziano, che negli ultimi mesi ha assistito all’arresto di vari dirigenti e collaboratori.

L’Egitto è un grande alleato degli Stati Uniti, ma la nuova Amministrazione Usa ha promesso di non tacere di fronte alla violazione dei diritti umani e all’abuso dellla legalità.  “Sono sette anni (al- Sisi è salito al potere nel 2013, ndr) che al Consiglio niente è stato fatto contro l’Egitto. La situazione è degenerata notevolmente, Questo è un passo cruciale”, ha commentato Amnesty International con Reuters. “Siano arrivati a un punto in cui è in gioco la sopravvivenza del movimento dei diritti umani in Egitto”.

La maggior parte dei firmatari sono Paesi europei, oltre ad Australia, Usa, Canada e Nuova Zelanda. Non si sono uniti né il continente africano né il Medio Oriente. L’Egitto ha risposto con “sorpresa e grande disapprovazione”, attraverso le parole del suo ministro degli Esteri.

Radiografia di uno Stato di polizia

In Egitto gli agenti penitenziari sottopongono i prigionieri di coscienza e altre persone detenute per motivi politici a tortura, a condizioni di detenzione crudeli e disumane e negano loro l’assistenza sanitaria per punire coloro che esprimono dissenso.

È quanto ha denunciato i Amnesty International in un recente rapporto, intitolato “Cosa vuoi che m’importi se muori? Negligenza e diniego di cure mediche nelle prigioni egiziane”, che sottolinea come l’insensibilità delle autorità carcerarie abbia portato alla morte o contribuito al decesso in carcere e a danni irreparabili alla salute dei prigionieri.

Il rapporto, dipinge un quadro cupo della crisi dei diritti umani in atto nelle prigioni egiziane, riempite dal governo del presidente Abdel Fattah al-Sisi di uomini e donne coraggiosi che sono stati in prima linea nella lotta per la giustizia sociale e politica. Il documento mostra anche come le autorità carcerarie non siano riuscite a proteggere i detenuti dalla pandemia da Covid-19 e discriminino regolarmente i detenuti provenienti da contesti socio-economici svantaggiati.

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Il personale e la direzione delle carceri ostentano un totale disinteresse per la vita e il benessere dei detenuti, stipati in carceri sovraffollate, e ignorano in larga misura le loro esigenze sanitarie. Lasciano alle famiglie dei prigionieri l’onere di fornire loro medicinali, cibo e denaro per comprare beni di prima necessità, come ad esempio il sapone, e infliggono loro ulteriori sofferenze negando le cure mediche adeguate o il tempestivo trasferimento negli ospedali”, rimarca Philip Luther, direttore della ricerca e dell’advocacy di Amnesty International per il Medio Oriente e il Nord Africa.

“Le autorità si spingono anche oltre, negando intenzionalmente assistenza sanitaria, cibo adeguato e visite familiari alle persone detenute per aver esercitato i propri diritti umani e ai detenuti politici. È deplorevole che le autorità egiziane stiano cercando di intimidire e tormentare i difensori dei diritti umani, i politici, gli attivisti e altri avversari reali o percepiti negando loro l’assistenza sanitaria. Quando tale diniego causa grave dolore o sofferenza ed è un atto deliberato a scopo di punizione, esso costituisce una tortura”.

Il rapporto racconta le storie di 67 prigionieri, detenuti in tre prigioni femminili e 13 prigioni maschili in sette province. Dieci di loro sono morti in carcere e due poco dopo il loro rilascio, nel 2019 e nel 2020.

Nel dicembre 2020 Amnesty International ha comunicato i risultati delle sue ricerche alle autorità egiziane ma non ha ricevuto alcuna risposta.

Condizioni di detenzione crudeli e disumane

Le autorità hanno sottoposto i prigionieri delle 16 prigioni esaminate da Amnesty International a condizioni di detenzione crudeli e disumane, compromettendo il loro diritto alla salute.

Gli ex detenuti hanno raccontato di essere stati rinchiusi in celle non ventilate, sovraffollate e in pessime condizioni igieniche. Inoltre, gli agenti penitenziari hanno negato loro biancheria e indumenti adeguati, cibo sufficiente, articoli per l’igiene personale, compresi gli assorbenti igienici, e l’accesso all’aria fresca e all’esercizio fisico. A molti sono state crudelmente negate le visite delle famiglie.

Abbiamo prove che le autorità carcerarie, in alcuni casi facendo riferimento a istruzioni dell’Agenzia per la sicurezza nazionale (Nsa), prendono di mira alcuni detenuti per punirli a causa della loro percepita opposizione o critica al governo”, aggiunge Luther.

Le rappresaglie comprendono l’essere tenuti in isolamento prolungato e a tempo indeterminato in condizioni disumane per più di 22-23 ore al giorno, non ricevere visite dei familiari per periodi fino a quattro anni e l’essere privati di pacchi di cibo o di altri prodotti essenziali inviati dai parenti.

Negligenza medica e rifiuto dell’assistenza sanitaria

Le ricerche di Amnesty International hanno rivelato che le direzioni delle carceri non forniscono ai detenuti un’assistenza sanitaria adeguata, sia per negligenza che per scelta.

Le infermerie sono generalmente poco pulite e mancano di attrezzature e di professionisti sanitari qualificati; i medici penitenziari somministrano solo antidolorifici a prescindere dai sintomi e addirittura aggrediscono verbalmente i detenuti, accusandoli di “terrorismo” e “delinquenza morale”. Due ex detenute hanno dichiarato di aver subito molestie e abusi sessuali.

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Gli ex detenuti hanno anche lamentato l’assenza di procedure chiare per chiedere assistenza medica in caso di emergenza e di essere stati completamente alla mercé degli agenti e degli altri funzionari del carcere, che spesso hanno ignorato le loro richieste.

A fronte dell’inesistenza di servizi di salute mentale all’interno delle carceri, l’accesso all’assistenza esterna è stato reso disponibile solo per pochi detenuti che avevano tentato il suicidio.

Le autorità carcerarie spesso rifiutano di trasferire i detenuti politici che necessitano di cure mediche urgenti verso ospedali specializzati fuori dal carcere e non mettono a disposizione i farmaci, anche quando i loro costi potrebbero essere sostenuti dalle famiglie.

Al prigioniero di coscienza Zyad el-Elaimy, ex parlamentare e figura di spicco delle proteste del 25 gennaio 2011viene negata la possibilità di ricevere regolarmente le cure, di cui ha bisogno costantemente per malattie preesistenti all’arresto.

Il sessantanovenne Abdelmoniem Aboulfotoh, ex candidato alla presidenza e fondatore del partito di opposizione Misr Al-Qawia, è detenuto arbitrariamente in isolamento dal febbraio 2018. Soffre di diabete, pressione alta e ipertrofia della prostata, ma le autorità carcerarie hanno ripetutamente negato le sue richieste di trasferimento all’esterno del carcere, ritardando gravemente l’accesso al personale medico interno. I pubblici ministeri hanno respinto i suoi reclami.

È scioccante che a tutti i 67 detenuti i cui casi sono documentati in questo rapporto sia stata negata un’adeguata assistenza sanitaria in carcere o non sia stato autorizzato neanche una volta il trasferimento in ospedali in grado di fornire cure specialistiche, causando così un significativo deterioramento della loro salute”, sottolinea Luther. “Questa grave inadempienza da parte delle autorità penitenziarie – aggiunge – avviene con la consapevolezza, se non la complicità, dei pubblici ministeri e nell’assenza di qualsiasi controllo giudiziario.

Morti in custodia

Amnesty International ha indagato su 12 persone morte in custodia o poco dopo il rilascio ed è a conoscenza di altri 37 casi verificatisi nel 2020, per i quali l’organizzazione non ha ottenuto il consenso delle famiglie per paura di rappresaglie.

I gruppi egiziani per i diritti umani stimano che dal 2013 centinaia di persone siano morte in carcere. Le autorità rifiutano di rivelare i dati o di condurre indagini efficaci, approfondite, imparziali e indipendenti su questi decessi.

Le orribili condizioni carcerarie, anche in isolamento prolungato, insieme al deliberato diniego di un’adeguata assistenza sanitaria possono aver contribuito o portato a molteplici decessi nel 2019 e nel 2020. Tra le cause, anche i soccorsi inadeguati o ritardati nei casi di emergenza.

Shady Habash, un regista di 24 anni, è morto il 2 maggio 2020 dopo che il personale del carcere di Tora non l’ha trasferito urgentemente in un ospedale esterno, pur sapendo che era vittima di avvelenamento per aver ingerito sostanze alcooliche.

Detenzione arbitraria di massa e sovraffollamento

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Le autorità egiziane si rifiutano di rivelare il numero dei detenuti presenti nei centri penitenziari del Paese. Si stima che il numero sia di 114.000, oltre il doppio della capienza massima carceraria di 55.000 persone indicata dal presidente al-Sisi nel dicembre 2020.

Il numero dei prigionieri è aumentato dopo la deposizione dell’ex presidente Mohamed Morsi nel luglio 2013, dando luogo a un grave sovraffollamento. Nelle 16 carceri esaminate da Amnesty International, centinaia di detenuti sono ammassati in celle sovraffollate, con una superficie media stimata di 1,1 metri quadrati per detenuto, molto inferiore al minimo di 3,4 metri quadrati raccomandato dagli esperti.

Le autorità continuano a ignorare gli appelli a ridurre la popolazione carceraria nel contesto della pandemia da Covid-19, mettendo in pericolo altre vite. Nel 2020, a seguito di grazie presidenziali e rilasci condizionali, sono uscite dalle prigioni 4000 persone in meno rispetto al 2019.

Scarsa risposta alla diffusione del covid-19 nelle prigioni

Di fronte alla pandemia da Covid-19, le direzioni delle carceri non sono riuscite a distribuire regolarmente prodotti igienizzanti, a tracciare e controllare i nuovi arrivati, né a testare e isolare i casi sospetti. Problemi di lunga data, come la mancanza di acqua pulita, la scarsa ventilazione e il sovraffollamento, hanno reso impossibile l’attuazione di misure igieniche preventive e di distanziamento fisico.

I detenuti con sintomi da Covid-19 non sono stati sottoposti a test sistematici. In alcune carceri i sospetti positivi sono stati posti in quarantena in celle piccole e buie, utilizzate per la detenzione in isolamento, senza accesso a cure adeguate. In altre prigioni sono stati lasciati nelle loro celle, mettendo in pericolo la salute degli altri detenuti.

Nessuna supervisione

Le autorità carcerarie operano con poca o nessuna supervisione indipendente. I procuratori hanno l’autorità di effettuare visite senza preavviso nei luoghi di detenzione, ma raramente lo fanno e generalmente ignorano i reclami dei detenuti.

Per protestare contro le condizioni detentive, sono stati intrapresi scioperi della fame cui le direzioni delle carceri hanno reagito con minacce e pestaggi. Le famiglie che hanno effettuato proteste pubbliche sono state arrestate. Difensori dei diritti umani e avvocati sono stati minacciati e arrestati.

Le autorità devono ridurre urgentemente il sovraffollamento, rilasciando immediatamente tutti coloro che sono detenuti arbitrariamente, valutare la possibilità di rilasciare i prigionieri a più alto rischio di complicazioni da Covid-19 a causa della loro età o delle condizioni mediche preesistenti e fornire a tutte le persone sotto la loro custodia un’assistenza sanitaria adeguata, compresa la vaccinazione contro il Covid-19, senza discriminazioni”, incalza il responsabile di AI. E conclude: “Le autorità egiziane devono consentire agli esperti indipendenti di accedere liberamente alle carceri e lavorare con loro per risolvere i problemi delle pessime condizioni di detenzione e dell’accesso all’assistenza sanitaria nelle carceri, prima che altre vite siano tragicamente perse”.

Le dichiarazioni di condanna sono già qualcosa ma di certo non bastano a far cambiare linea al presidente-carceriere egiziano. Dalle parole alle sanzioni. E questo il passaggio da compiere. Vero presidente Draghi?

 

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