Il Sultano Erdogan alle armi in Libia dà il via alla guerra del Mediterraneo
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Il Sultano Erdogan alle armi in Libia dà il via alla guerra del Mediterraneo

È iniziata con il voto del Parlamento turco sull'invio di un contingente militare in Libia. I deputati che hanno votato a favore della mozione in sessione d'emergenza sono stati 325, quelli contrari 184.

I jihadisti filo-turchi mandati da Erdogan ad attaccate i curdi nel Rojava
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Umberto De Giovannangeli Modifica articolo

2 Gennaio 2020 - 09.13


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La guerra del Mediterraneo è iniziata. E il suo campo di battaglia sarà la Libia.Nel pomeriggio, come ampiamente scontato, il Parlamento di Ankara ha approvato la mozione che autorizza l’invio di militari turchi in Libia, come richiesto dal governo del premier libico Fayez al-Sarraj, riconosciuto dalle Nazioni Unite. 

Lo riferisce l’agenzia di stampa Anadolu.

I deputati che hanno votato a favore della mozione in sessione d’emergenza sono stati 325, quelli contrari 184.

La mozione è stata sostenuta dall’Akp e dagli alleati del Partito nazionalista Mhp.

Contrari sono invece il principale partito di opposizione, il repubblicano Chp, il partito Iyi e i filo-curdi dell’Hdp. La misura prevede un mandato di un anno per il dispiegamento. “Una Libia il cui governo legittimo è sotto minaccia può diffondere instabilità alla Turchia”, ha dichiarato il deputato del partito Akp al potere, Ismet Yilmaz, sostenendo la mozione. “Chi non vuole agire a causa di un rischio getta in nostri figli in un pericolo ancora maggiore”, ha aggiunto. Probabilmente l’intervento armato in Libia inizierà con il sostegno militare, l’addestramento e i droni in volo, più che con un dispiegamento di truppe a terra.

L’urgenza di Ankara

Un’urgenza dettata dall’avanzata delle truppe del generale Khalifa Haftar: se la capitale cadesse, sarebbe la fine del governo di Fayez al-Serraj, con cui il presidente turco, Recep Tayyip Erdogan, ha concluso un accordo lo scorso 27 novembre, che riconosce alla Turchia la giurisdizione su una fetta di Mediterraneo orientale al largo di Cipro. Un tratto di mare che Erdogan non può permettersi di perdere, per evitare che la Turchia resti tagliata fuori da un hub energetico che collegherebbe l’Europa con i giacimenti ciprioti e israeliani. Nel testo sottoposto al Parlamento turco lo scorso 30 dicembre la missione, che in base a quanto rivelato dal ministro degli esteri Mevluti Cavusoglu dovrebbe durare un anno, non viene mai definita belligerante, ma appare più come una mossa per bilanciare le forze in campo e fermare l’avanzata di Haftar.

Guerra di tutti.

La mozione votata chiede il sostegno del Parlamento “al fine di garantire un cessate il fuoco, rilanciare un processo politico e favorire un ritorno alla diplomazia”. Il testo fa riferimento alla situazione umanitaria in Libia e alla lotta al terrorismo. “La situazione umanitaria è in predicato di peggiorare considerato che vengono presi di mira civili e infrastrutture civili. Gli scontri favoriscono le azioni di gruppi terroristici come Isis e al Qaeda e potrebbero causare fuga di civili ed emergenze umanitarie nel mar mediterraneo”. Tutti fattori che, secondo quanto scritto dalla presidenza turca, si prestano a costituire “minacce per la Turchia e la stabilità regionale”.  Si sottolinea la “necessita’” di inviare soldati per impedire che Isis e Al Qaeda “sfruttino la mancanza di stabilità per il traffico di esseri umani e il rafforzamento delle proprie milizie armate”; un intervento da svolgere “in linea con le norme del diritto internazionale”, nato dalla necessità  “di prendere tutte le contromisure possibili contro le minacce alla sicurezza della Turchia”. 

Obiettivo è “la rimozione degli attacchi agli interessi della Turchia in Libia”, minacce che arrivano da “gruppi terroristici armati illegali”. Anche se manca un esplicito richiamo, il riferimento è al gruppo militare Wagner, fondato dalla Russia, ma senza il coinvolgimento diretto di Mosca, di cui Erdogan ha più volte denunciato le azioni illegali compiute al fianco delle milizie di Haftar.  La richiesta di approvare l’intervento all’estero e’ stata effettuata in base all’articolo 92 della costituzione turca, che permette al presidente della Repubblica di sottoporre una mozione di questo tipo al parlamento in caso di “rischi e minacce” nei confronti della Turchia, giustificando la richiesta come necessaria a “prevenire e sventare” tali pericoli.

Scenari futuri

“Dopo che la mozione sarà approvata dal Parlamento potrebbe accadere che vedremo qualcosa di diverso, un diverso atteggiamento (da parte di Haftar; ndr) e diranno, ‘ok, ci tiriamo indietro’, rinunciando all’offensiva”, ha detto il vicepresidente Fuat Oktay. “E allora, se così fosse perché dovremmo andare lì?”. Di certo, Ankara anche in queste ore ribadisce che non vuole vedersi marginalizzata dalle zone marine del Mediterraneo orientale. “Non importa chi sia coinvolto, nessun piano nella regione che escluda la Turchia avrà chance di successo”.E a proposito dell’interventismo turco anche con Cipro, Oktay ha aggiunto che la Turchia ha sventato i piani di chi cercava di escludere Ankara dal Mediterraneo, di “confinare Ankara sulla terra”. Sulle scelte della Turchia pesa un insieme di dinamiche geopolitiche: in primis l’interesse nel settore delle trivellazioni e più in generale del gas. Proprio domani ad Atene ci sarà la firma dell’accordo intergovernativo tra Cipro, Grecia e Israele per la costruzione del gasdotto EastMed. Al Cairo sabato e domenica prossimi si riuniranno inoltre i leader di Grecia, Cipro ed Egitto con la partecipazione della Francia in un incontro la cui agenda incentrata su sicurezza, energia e sviluppi regionali. Ma anche la competizione intra-sunnita con i Paesi del Golfo che sono a fianco di Haftar (gli Emirati, ovviamente l’Arabia Saudita, ma soprattutto l’Egitto, che gioca una partita anche nell’EastMed).

L’Ue ci prova

Intanto cresce l’attesa per una possibile missione Ue, il 7 gennaio, con i ministri degli Esteri di Italia, Francia, Germania e Regno Unito. Sul terreno intanto non si ferma l’offensiva del sedicente Esercito nazionale libico (Lna) di Haftar. La Compagnia petrolifera nazionale libica (Noc) ha lanciato l’allarme “sulla possibilità di sospendere le operazioni nel terminal di Zawiya” il principale nell’ovest del Paese, con una perdita di almeno 300 mila barili al giorno. A rischio ci sarebbe anche la produzione nel campo di Al Sharara. Secondo Tripoli, altri raid di Haftar hanno colpito anche Abu Slim, a sud della capitale, provocando il ferimento di almeno 6 civili. Una situazione sempre più allarmante dal punto di vista umanitario, con l’Unhcr che “rinnova il suo appello a proteggere le vite dei civili, inclusi i rifugiati e i migranti detenuti”.

Il faraone contro il sultano

La guerra del Mediterraneo è anche uno scontro intersunnita. Erdogan contro al-Sisi. Oltre a interessi militari e politici, l’Egitto è spinto a partecipare attivamente nello scenario libico anche da interessi economici,. Il presidente egiziano ha di fatto mostrato la propria preoccupazione per i cittadini egiziani in Libia, lavoratori emigrati da decenni che, una volta iniziati gli scontri militari, hanno cercato protezione in patria pur senza avere la possibilità di essere riassorbiti nel tessuto lavorativo e sociale (scenario attualmente inattuabile per il fragile Egitto). Le stime dei lavoratori egiziani in Libia si aggirano intorno a una cifra che va dai 700.000 al milione e mezzo di unità. Lavoratori che versano sotto forma di rimesse in Egitto quasi venti miliardi di dollari, linfa vitale per le casse di uno stato in estrema difficoltà economica nonché politica e sociale. A far gola ad Al-Sisi c’è anche il futuro energetico dell’Egitto. Un paese che intende sviluppare la propria infrastruttura industriale ha sempre necessità di petrolio. Necessità che può essere soddisfatta da Haftar, qualora diventi leader riconosciuto della Libia. La vittoria del governo di Tobruk offrirebbe un’opportunità non da poco per l’Egitto, che intende rilanciarsi economicamente anche grazie alle fonti energetiche presenti in una regione nella quale vuole tornare a fare la voce grossa. Linfa vitale per le imprese del settore energetico egiziano, nei decenni passati tagliate fuori quasi del tutto dalla francese Total e dall’italiana Eni.

Di Maio fuori tempo

“A metà dicembre, il Ministro degli Esteri Luigi Di Maio, nel tentativo di riconquistare terreno in Libia, si è recato prima a Tripoli, per incontrare Fayez al Sarraj, a capo del Gna – Governo di Unità Nazionale riconosciuto dalle Nazioni Unite – e nella stessa giornata è volato in Cirenaica per un colloquio con il generale Khalifa Haftar che il 4 Aprile scorso ha lanciato un’offensiva militare sulla capitale, provocando in nove mesi 150 mila sfollati e più di mille vittime. Atterrato di nuovo in Italia, Di Maio ha ribadito che per la Libia non esista una soluzione militare e che sia necessario un percorso diplomatico, proponendo la nomina di un inviato speciale in tempi rapidi. Peccato che la visita – anzi, le visite – italiane non solo arrivino fuori tempo massimo, in un paese in guerra permanente, ma che la scelta di incontrare nella stessa giornata il capo del governo di Tripoli e quello dell’autonominato Esercito Nazionale Libico, sia stata raccolta tiepidamente e con malcelato scetticismo da entrambi gli interlocutori. Di Maio atterra in Libia quando il conflitto si è da tempo trasformato da guerra civile a guerra multipolare.
L’antica contesa Italia-Francia, con i governi italiani a sostegno di Tripoli (per ragioni note: migrazione e gas) e quelli francesi a sostegno di Haftar, è un ricordo ormai sbiadito. L’Europa, così come gli Stati Uniti, nel film della nuova stagione libica sono comparse, mentre gli attori protagonisti sono diventati la Russia, la Turchia e i potenti, e ricchissimi paesi del golfo (Emirati, Arabia Saudita e Qatar) che hanno aggiunto alla partita militare anche quella religiosa tutta interna al mondo sunnita”, rimarca Francesca Mannocchi su L’Espresso. Un’analisi corretta, documentata, che inchioda l’Italia e il suo deleterio “cerchiobottismo”. 

“L’Italia – ha annotato il generale Vincenzo Camporini, già Capo di Stato maggiore della Difesa in una intervista esclusivfa concessa a Globalist – finora ha condotto una politica per tenere l’anima immacolata.  Non c’è nulla di più ortodosso del sostenere un Governo voluto dalle Nazioni Unite. E’ stato, però, un sostegno, e lo è tuttora, quasi puramente verbale. Al di là dell’addestramento della Guardia costiera libica, che peraltro risponde direttamente ad una esigenza nazionale italiana, possiamo vantare lo schieramento di un ospedale da campo a Misurata in una ottica sempre di aiuti umanitari. Di fatto, stiamo lasciando il campo a chi è più spregiudicato di noi”. Ed Erdogan e al-Sisi, ma non solo loro, lo sono certamente.

Guerra aperta

Un alto ufficiale delle forze del generale Khalifa Haftar ha affermato che l’Esercito nazionale libico (Lna) “non permetterà la presenza di qualsiasi forza turca ostile sul territorio libico e ha aggiunto che” la formazione “è pronta a combattere”. Lo scrive il sito di Al Arabiya sintetizzando dichiarazioni di Khaled al-Mahjoub, capo della direzione Guida morale del Comando generale dell’Lna. L’ufficiale “ha sottolineato l’attuazione di misure militari di precauzione per essere pronti ad un eventuale scontro” con “le forze turche”, scrive ancora il sito.  L’abbattimento di un “drone turco” ad Ain Zara, una zona sud-orientale di Tripoli a 12 km in linea d’aria dal centro della capitale libica, viene annunciato dalla pagina Facebook della “Divisione informazione di guerra” del forze del generale Haftar.. L’informazione viene accreditata da tweet di Al Arabiya e Sky News Arabiya che citano proprie fonti. Già il mese scorso le forze di Haftar avevano annunciato l’abbattimento di un drone turco nella stessa zona. La guerra di tutti è iniziata.

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