di Maurizio Boldrini
È il 2 febbraio del 1957. Sono le ore 20,50. Scatta una sigla, con una musichetta orecchiabile, che incanta subito i telespettatori del dopocena. Dentro sipari che si aprono l’uno dopo l’altro, appare un palcoscenico speciale pensato per il piccolo schermo, si presenta uno spettacolo inusitato: Carosello, dieci minuti di pubblicità. “Era nata la più duratura, la più nota e (sembra impossibile) la più seguita trasmissione di tutti i tempi. Era nato Carosello.
La televisione in Italia esisteva ufficialmente da tre anni, sperimentalmente da cinque, e il problema della pubblicità, pur tra aspre battaglie, era stato affrontato e definito in uno speciale statuto, dal tono estremamente rigoroso” scriverà Omar Calabrese in Serio Ludere. La fantasia italiana aveva mediato, con arguzia, tra due diverse correnti di pensiero: chi era del tutto contrario alle inserzioni pubblicitarie in nome della purezza del servizio pubblico e chi, al contrario, invocava che anche da noi si adottasse il modello delle tv americane con gli spot che s’insinuavano nei programmi.
Furono fissati canoni molto precisi. Carosello era una rubrica giornaliera che andava in onda a un orario fisso (subito dopo il tiggì della sera) con la lunghezza degli short che era fissata per regolamento (135 secondi ma solo negli ultimi 35 si poteva pubblicizzare il prodotto). Gli spazi erano venduti a pacchetti che potevano essere acquistati solo in periodi determinati dell’anno e a venderli era solo un’apposita società, la Sipra. Tutti i filmati venivano controllati e coordinati dalla Sacis. A metà degli anni Sessanta fu calcolato che Carosello avesse un’audience media superiore ai dieci milioni di telespettatori il giorno.
La Rai che sentiva soffiare il vento delle tv private allargò man mano, le maglie degli spazi pubblicitari inserendoli nella Tv dei Ragazzi poi e poi con break nelle diverse edizioni dei telegiornali. Man mano si allarga l’originale e iniziale formula di Carosello che diventa la vera antenata delle moderne rubriche settimanali.
Sono molte le ragioni che hanno reso mitica quella trasmissione. La prima è che fu adorata dai bambini. Fu coniato anche uno “speech” specifico per il pubblico dei minori: ” E dopo Carosello tutti a nanna”. Quella breve trasmissione aveva occupato il posto della vecchia fiaba della nonna o dei racconti al focolare. I semiotici hanno più volte spiegato che si possono applicare ai racconti di Carosello le stesse funzioni che Vladimir Propp, padre del formalismo russo, applicava alle fiabe pur nel variare dei nomi dei personaggi e delle unità di tempo e di spazio d’azione. Così, come ci ricorda Omar Calabrese, Calimero il pulcino nero prese il posto del Gatto con gli stivali, il Gringo della Montana fu il nuovo Tex Willer, Pippo l’ippopotamo dei pannolini Lines ripercorse, le orme del pur recente Topo Gigio (..) Se Carosello è potuto arrivare ai ragazzi fino a questo punto la ragione risiederà probabilmente in certi suoi specifici meccanismi di funzionamento adatti a quel pubblico”. Non è un caso che mentre la pubblicità si frantuma e si moltiplica (i bambini sono diventati un target specifico al quale destinare storie e prodotti specifici) siano tornate di gran moda le fiabe sia attraverso cartoons e film sia attraverso la produzione di libri illustrati per bambini.
La seconda ragione di questa fortuna stava proprio nel formato scelto e quindi negli obblighi che imponeva. Gli sceneggiatori, i registi, i creativi delle agenzie dovevano produrre uno spettacolo della durata di 100 secondi. Erano costretti alla brevità e la trama doveva, perciò, esser scarna e al contempo completa e, infine, dar luogo anche alla serialità; essere ripetitiva con canoni che portavano immancabilmente al lieto fine. In quella “televisione pedagogica” delle origini, grandi intellettuali, registi, attori di fama e di lustro si misurarono in quella prova. In un recente articolo su questo stesso giornale Marcello Cecconi ha ricostruito una parte di quei volti e di quei nomi. Tante le firme che segnarono la ventennale vita di Carosello. Alla storia della trasmissione sono dedicate decine di siti informativi, di pagine monografiche nelle grandi enciclopedie digitali e nella Rai. E tanti libri: da quelli sopra citati a “Il grande libro di Carosello” di Marco Giusti che tra i primi ha affrontato in maniera sistematica l’argomento a quelli di Vanni Codeluppi, Fabio Mellelli, Dario Cimarelli, Marco Malegoro. Questi titoli vanno aggiunti alle tante pagine dedicate a questa trasmissione nei testi sulla storia della televisione italiana di Umberto Eco, Aldo Grasso ed Enrico Menduni.
Calerà il sipario nel 1977, all’apparir delle private che porteranno tante novità di contenuto ma anche introdurranno lo spot selvaggio. Il modello americano prende da questo periodo il sopravvento su quella fortunata mediazione tutta italiana. E anche la Rai finirà per confluire nel grande affare della pubblicità a getto continuo.
Quando si parla di Carosello, non va considerato come una formula rimasta invariata per la sua fortunata vita. Carosello, come scriveva con accuratezza Alberto Alberoni, ha attraversato diversi periodi duranti i quali i gusti e i consumi degli italiani sono cambiati e conseguentemente sono cambiati i contenuti e i protagonisti della trasmissione. Quando nasce, nel 57, siamo ancora in piena ricostruzione e in piena epopea cinematografica e televisiva alla quale seguiranno gli anni del boom e quelli della contestazione e, infine, quelli molto complessi e ancora difficili da leggere, gli anni ’70.
Nel primo periodo vigeva l’utilizzazione del divismo cinematografico e televisivo; nel secondo (’63-’64) sorgevano i generi dell’animazione e dei racconti fantastici e nell’ultimo periodo che giunge fino al ’76 prevaleva la ricerca dello straordinario, dell’inusitato, della pubblicità che faceva ricorso anche alle tecniche care alle avanguardie artistiche. Poi tutto cambia. Cambia la televisione, la politica, il modo di consumare degli italiani e così questa trasmissione finisce negli armadi della memoria. Ma Carosello, da sotto la crosta del tempo, riappare ogni tanto con i suoi formati e con il suo breve e intenso modo di raccontare. Basta guarda alcune storie su Instagram o Tiktok, social o alcune serie di sit-com per capire come la TV non sia stata solo cattiva maestra. I giovani credono che tutto sia nato oggi. Ma questo non lo sanno.