Scandalo in copertina: il Rock'n'Roll tra censura e libertà artistica nel nuovo millennio
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Scandalo in copertina: il Rock'n'Roll tra censura e libertà artistica nel nuovo millennio

Niccolò Pala esplora la storia della censura musicale attraverso copertine iconiche e riflessioni sulla cultura popolare

Scandalo in copertina: il Rock'n'Roll tra censura e libertà artistica nel nuovo millennio
Rolling Stones
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31 Gennaio 2024 - 01.49


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di Rock Reynolds

In principio era il rock’n’roll. Quello autentico, incontaminato, onesto. Solo in principio. E, per dare una collocazione cronologica a un momento sfuggente, quel principio corrisponde all’uscita del primo 45 giri di Elvis Presley, “That’s All Right” per la Sun Records di Memphis, Tennessee. A ben vedere, persino quell’istante impalpabile tanto immacolato non fu, considerato che Sam Phillips, nume tutelare della prima casa discografica di Elvis, ci vide lungo e immaginò per il suo pupillo una strada lastricata d’oro. La parabola incredibile di quel giovanotto aitante, dalle movenze e dagli slanci vocali che timidamente facevano il verso agli atteggiamenti proibiti dei cantanti di colore del tempo, è indicativa di ogni fase di passaggio della storia del rock: quando quattro ragazzini di Liverpool diventarono il fenomeno Beatles e quando uno scapigliato Bob Dylan si fece conoscere al mondo, tutti immediatamente si misero alla ricerca dei loro cloni. E, quando scoppiò il fenomeno punk, il neonato era ancora in fasce e l’industria discografica ne aveva già fagocitato il fuoco ribelle.

E, considerato che il rock’n’roll, è per definizione la musica di rottura per eccellenza, l’autentico vessillo della controcultura, non sorprende che abbia legato ai propri destini pesanti critiche e censure.

Il successo del vinile e, con esso, l’avvento dell’album – soprattutto se concept, ovvero se portatore di un progetto organico – hanno segnato un’epoca di cui l’era digitale ha via via sbiadito i suoi elementi base. Il passaggio dall’LP al CD ha comportato il forte svilimento del ruolo della grafica che, in molti casi, aveva affascinato gli ascoltatori ancor più del contenuto musicale vero e proprio. Tale cambiamento epocale – provate a pensare se l’impatto di copertine come, giusto per fare un paio di esempi, Sgt. Pepper’s Lonely Hearts Club Band dei Beatles e In the court of the Crimson King dei King Crimson sarebbe stato uguale qualora i due album fossero usciti per la prima volta in versione CD e non LP – ha poi incassato il colpo fiale con la smaterializzazione completa della musica. Oggi nessun giovane presta realmente attenzione al pacchetto, anche perché la confezione non esiste più. Malgrado l’uso di un linguaggio considerato osceno sia sempre più la norma, oggi la censura lavora meno di un tempo. Perché? Forse perché il messaggio è diventato meno forte e, soprattutto, meno impattante rispetto a un tempo, quando il nuovo disco di un artista di grido aveva la forza per condizionare gli aneliti di un folto pubblico che in esso si identificava. È vero che ogni generazione ha i suoi eroi, ma faccio tanta fatica a individuarne qualcuno che possa resistere a più di qualche clic.

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Arte e critica. Arte e censura. Due binomi antichi. Il rock’n’roll, come ogni forma espressiva popolare, non ha potuto sottrarvisi fin dalle origini.

Scandalo in copertina (Arcana, pagg 219, euro 16) di Niccolò Pala è un testo snello e divertente attraverso cui dipanare questa materia ricca di aneddoti e di episodi più o meno noti. Il sottotitolo, “Censura, musica e immagini dagli anni Sessanta al nuovo millennio”, la dice lunga: dallo scoccare degli anni 2000, sostanzialmente non è successo nulla, per lo meno nulla su cui valga la pena di dilungarsi, anche perché è più o meno in quegli anni che è definitivamente svanita l’idea del “possesso” della musica. Forse, l’unica cosa davvero buona della scomparsa dei supporti fonografici è il ritorno stesso della musica alla sua entità primordiale, alla sua impalpabilità.

Niccolò Pala ci accompagna in una interessante carrellata di storie e copertine che, in un modo o nell’altro, sono state segnate dall’intervento della censura. Lo fa con simpatia, senza prendere troppo sul serio se stesso e pure certe intemperanze di musicisti talvolta gravati da un’idea sproporzionata del proprio ruolo nel mondo. 

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Persino per chi, come me, si nutre da sempre di musica e ha fatto del rock una ragione di vita, non mancano le sorprese.

Ci sono, ovviamente, copertine di album celebri che, agli occhi di un giovane d’oggi, parrebbero del tutto innocue, se non addirittura ingenue e innocenti. Mi riferisco, per esempio, alla raccolta di successi dei Beatles, Yesterday and Today (1966), con cui si apre il libro. La foto originale ritraeva i quattro con «pezzi di carne in grembo e bambole mutilate». Magari, non proprio di buon gusto ma certo non indecente. Come sarebbe successo molte volte negli anni a venire, la soluzione salomonica fu di ritirare la copertina considerata oscena e di sostituire la foto con immagini più tranquillizzanti, a seconda del paese di pubblicazione. L’autore lascia giustamente intendere che «la censura dovrebbe servire a emendare immagini indecenti e/o oscene», un principio che non pare abbia trovato sempre una sua applicazione logica, con scelte talvolta più pericolose dell’originale incriminato: della serie, la toppa è peggio del buco, come accadde con l’album dei Rolling Stones Sticky Fingers (1971). La celebre copertina, disegnata dall’icona della pop art Andy Warhol, mostrava la foto di un paio di jeans dotati di un’autentica cerniera lampo apribile, per lo meno nelle prime versioni oggi divenute collector’s item: il titolo, Sticky Fingers (dita appiccicose), associato all’immagine di copertina, nella Spagna franchista non passò l’esame dell’implacabile censore e sulla copertina finì, invece la foto «di un barattolo di melassa aperto… dal quale spuntano tre dita femminili»: più esplicito di così…

Nemmeno i Led Zeppelin riuscirono a sottrarsi alle sferzate della censura: Jimmy Page era sotto l’occhio attento dei critici per le sue presunte inclinazioni al satanismo e non è che Robert Plant fosse da meno quanto a pose e testi allusivi. La splendida copertina del disco Houses of the Holy (1973) mostrava dei bambini nudi sulle rocce della Giants Causeway, Irlanda del Nord, e qualcuno ovviamente vi individuò chissà quali oscenità. Erano tempi di vacche grasse per l’industria discografica, tempi in cui le major potevano permettersi di mettere la copertina di un disco nelle mani dei principali studi grafici e spendere una fortuna per realizzare quelli che risultavano in tutto e per tutto capolavori di pop art.

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Sex and drugs and rock’n’roll è uno slogan mai fuori moda e, di certo, negli anni Settanta e Ottanta era in gran voga. Un seno scoperto o un’allusione velata ai rapporti intimi potevano costare caro. Ma persino scontrarsi con il potere costituito era motivo di censura. La copertina di Sanctuary (1980) degli Iron Maiden mostrava una donna, presumibilmente morta dopo un accoltellamento, ai piedi di “Eddie”, la loro mascotte. Non sarebbe stato necessario ricorrere ai servigi di Sherlock Holmes per riconoscere in tale donna l’allora primo ministro inglese, Margaret Thatcher, non certo un’icona della classe operaia: il suo volto fu oscurato da una fascia nera. Nel 1990, fu lo stesso manager degli Iron Maiden, non particolarmente felice di essere stato ritratto nei panni della vittima di turno di Eddie, a pretendere che la copertina di No prayer for the dying venisse ridisegnata.

Di esempi come questi ne troverete a bizzeffe in Scandalo in copertina. Troverete pure interessanti riflessioni sull’ipocrisia imperante, soprattutto negli USA, in materia di morale comune. Chi non si è mai imbattuto nell’adesivo o nel timbro Parental Advisory: Explicit Lyrics imposto dal puritano PMRC? Il Parental Music Resource Center è un comitato fondato, tra le altre, da Tipper Gore, moglie di Al Gore, allo scopo di tutelare i giovani dall’accesso libero a prodotti musicali dal contenuto improntato a violenza, sesso e droga.

In fondo, continua a essere solo rock’n’roll… ma non ha smesso di piacerci.

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