John Connolly: quando il thriller non è semplice thriller
Top

John Connolly: quando il thriller non è semplice thriller

"The Nameless Ones" di John Connolly: un thriller avvincente con riferimenti alla guerra dei Balcani e un'intensa trama di vendetta.

John Connolly: quando il thriller non è semplice thriller
John Connolly
Preroll

globalist Modifica articolo

14 Febbraio 2024 - 00.03


ATF

di Rock Reynolds

«È solo rock’n’roll.» Quante volte l’abbiamo sentito dire. È un’affermazione talmente cara ai Rolling Stones da appropriarsene, ribaltandone il senso al fine di ottenerne uno slogan vincente, con l’aggiunta in parentesi delle parole «ma a me piace».

Perché nessuno prova soddisfazione nel veder sminuire il frutto delle proprie fatiche e, se è pur vero che di rock band che sbandierano il proprio disinteresse verso il giudizio della critica ce ne sono parecchie, persino i musicisti più “disimpegnati” aspirano, in segreto o meno, al riconoscimento del proprio valore.

La stessa cosa, in sostanza, può dirsi della scrittura e, soprattutto, di quella di genere. Mi è capitato di ritrovarmi al fianco di autori di thriller di grande fama che, di fronte a elogi sperticati, si schermivano, come se non gliene importasse granché e come se l’unica cosa rilevante fosse il responso commerciale. Un atteggiamento poco convincente persino per chi dichiara di avere unicamente a cuore il numero di copie vendute e, dunque, il successo popolare. Le due cose possono tranquillamente andare a braccetto, anche se lo fanno di rado. Ci sono thriller talmente superficiali nella loro arida esposizione del delitto e della relativa indagine da non arricchire minimamente il lettore. Ma, se per questo, c’è rock’n’roll e rock’n’roll: ci piace se è buono, se ha un minimo di profondità. Non bastano una sezione ritmica pulsante e una chitarra che snoccioli riff al fulmicotone. Così come non possono bastare un investigatore privato dal passato difficile e un assassino spietato.

Nell’ambiente letterario, si tende a guardare alla narrativa di genere, in particolare al thriller, con aria di superiorità, come se non potesse contenere nulla di impegnativo e arricchente. La cosiddetta “letteratura di serie A” deve essere gioco forza seriosa, intellettualmente elevata, verbosa: la ricetta perfetta per un brutto libro. Basterebbe tornare al senso stesso del racconto: avvincere l’ascoltatore (nato prima del lettore, con la narrazione orale) e ancorarlo alla realtà attraverso una sua manipolazione. Ci vuole una storia, insomma: una bella storia, possibilmente, per creare suspense e spingere il lettore ad arrivarci in fondo. L’autore di hard-boiled americano Mickey Spillane, papà del detective Mike Hammer, diceva sempre che si legge per giungere all’ultima pagina, non a metà. Quanta verità in questa semplice frase. Di romanzi elitari e noiosi è pieno il mondo: faccio fatica ad arrivare alla fine della prima pagina, figurarsi all’ultima. Ma attenzione: un thriller mal scritto può essere altrettanto indigesto. Serve un bel libro e la confezione di genere non è altro che l’abito scelto dall’autore: ci si può far vestire da uno stilista à la page, ma le sembianze di ciò che sta sotto non cambiano.

Leggi anche:  Giornata mondiale del Libro: iniziative in giro per l'Italia e l'Europa

Se l’alta letteratura è spesso snob, talvolta la letteratura di genere ha pretese assurde. Quando – e mi capita sovente – sento un giallista sostenere che il noir è il vero romanzo sociale, mi si drizzano i peli del collo: ogni romanzo dovrebbe esserlo e nessun genere può rivendicarne la titolarità esclusiva.

The Nameless Ones. I senza nome (Fanucci Editore, traduzione di Stefano Bortolussi, pagg 402, euro 9,90) è l’ultima fatica di John Connolly, scrittore irlandese che vive tra Dublino e gli Stati Uniti. Connolly è universalmente noto come uno degli autori di thriller contemporanei di maggior successo e, soprattutto, spessore. Il suo detective Charlie “Bird” Parker (il nome vi ricorda qualcuno?) si è ricavato uno spazio unico nell’immaginario dei lettori di thriller accanto a figure come Harry Bosch di Michael Connelly e Dave Robicheaux di James Lee Burke, forse per via delle immancabili idiosincrasie e delle tragedie che ne offuscano il passato. Ma la grande fama che John Connolly si è guadagnato è dovuta in larga parte al modo non esattamente convenzionale di raccontare storie criminali e a un talento narrativo raro.

The Nameless Ones. I senza nome prende le mosse ad Amsterdam, città fascinosa e gravida di umori foschi. Non è difficile immaginare quanta violenza possa annidarsi tra i canali di una capitale che ha fatto dello smercio di sesso e droga un’attività simile alla vendita di frutta e verdura, davanti agli occhi di tutti. C’è, naturalmente, molto altro e la storia raccontata da Connolly nasce dalla constatazione della forza di uno dei sentimenti che da tempo immemore alimentano le azioni degli esseri umani: rabbia, risentimento, spirito vendicativo. Protagonista della vicenda è una coppia di fratelli serbi, Spiridon e Radovan Vuksan, a capo dell’emanazione olandese di una potente organizzazione malavitosa del loro paese. I due fratelli decidono di vendicarsi di un boss locale il cui unico, vero sgarbo è stato uccidere una persona che avrebbero voluto ammazzare loro stessi, togliendogli quella soddisfazione. In realtà, la sete di sangue è di uno solo dei due fratelli. L’altro, come sempre, è un freddo calcolatore. I due Vuksan hanno vissuto in prima fila la guerra dei Balcani e si sono macchiati di nefandezze irripetibili. Sono diventati scomodi persino in una Serbia dominata dal malaffare, dalla nebulosità dei confini tra politica e crimine organizzato e dal nazionalismo più becero, ora che il paese è alle soglie dell’ingresso in Europa. A tentare di mettere fine per sempre alla follia omicida dei due fratelli Vuksan saranno Louis e Angle, i due strani amici di Charlie Parker che, di quando in quando, appaiono nella serie, giunta al ventiquattresimo episodio.

Leggi anche:  La crisi della narrazione nell'era digitale: il potere delle storie umane

Ovviamente, trattandosi di un thriller, non è che si possa aggiungere molto altro. Lo stile di John Connolly è asciutto, mai banale, sostenuto da dialoghi incalzanti e da una prosa che fa spesso ricorso a espressioni di sarcasmo sommesso, come se lo humour nero fosse un espediente naturale per l’autore. Si diceva in precedenza dell’affresco sociale che un buon romanzo può rappresentare. The Nameless Ones. I senza nome non è un romanzo storico e non racconta le vicende del terribile conflitto nei Balcani, un territorio tenuto insieme a fatica da Tito con il suo progetto di una Jugoslavia unita malgrado le forti spinte indipendentiste delle sue componenti e secoli di divergenze ma pure di convivenza pacifica. Se, però, volete saperne di più, gli spunti sapientemente seminati da Connolly in questo libro possono essere il trampolino di lancio per un approfondimento della materia. Potrebbe sembrare che Connolly detesti il popolo serbo. In realtà, nella pagina dei ringraziamenti finale, l’autore loda con sincerità quasi commovente la generosità dei serbi incontrati durante le ricerche fatte per sostanziare la narrazione.

Leggi anche:  Riflessioni sulla crisi contemporanea: dialogo, fraternità e sfide per l'umanità futura

Ci sono thrilleristi che hanno affrontato di petto la prova del romanzo storico. Mi viene subito in mente l’amico Jeffery Deaver, autore de Il collezionista di ossa e creatore dell’investigatore tetraplegico Lincoln Rhyme, un cardine della letteratura di genere. Deaver è da sempre convinto che uno degli ingredienti ineludibili di un grande thriller sia un tema in grado di dare sostanza a una trama a orologeria e a personaggi credibili. In una sola occasione, Il giardino delle belve, ha fatto un’incursione diretta nella storia, quella della Germania nazista nei giorni delle Olimpiadi di Berlino. Deaver va particolarmente fiero di quel romanzo, ma non ci ha mai riprovato perché è stato il suo libro di minor successo e pure l’unico che il suo fedele editore tedesco non abbia pubblicato: un’autocensura preventiva nel timore di stizzire un popolo di grandi lettori che, evidentemente, non aveva voglia di sentirsi parlare del proprio passato. Ce ne vorrebbero anche in Italia, ho il sospetto. Il compianto scozzese Philip Kerr ha costruito la sua intera carriera letteraria scrivendo romanzi ambientati nella Germania nazista, dall’ascesa al potere di Hitler alla caduta del regime e, per finire, alla desolazione postbellica. Le violette di marzo è il primo capitolo di una splendida saga avente al centro l’investigatore Bernie Gunther, non esattamente un fanatico nazista. C’è pure chi mette direttamente al centro delle proprie trame thrilling la politica internazionale contemporanea: Daniel Silva è un maestro in questo. La serie di romanzi aventi per protagonista l’ex-agente segreto israeliano Gabriel Allon è una lucidissima vetrina sul mondo e sulla meschinità della politica internazionale. La serie è giunta al ventitreesimo capitolo, con il romanzo Il collezionista.

Native

Articoli correlati